In Libia sono circa 4.000 i rifugiati eritrei, somali ed etiopi da mettere in salvo. Sono impauriti, chiusi in casa dall’inizio della crisi libica, con le scorte di cibo quasi esaurite. Se escono in strada vengono aggrediti, derubati o rapiti, perché scambiati per mercenari africani al soldo di Gheddafi. Per il solo colore della pelle. Un dramma nel dramma, di persone fuggite da situazioni di conflitto nel loro Paese, che si sono ritrovati poi in un’altra guerra civile. Un appello all’Europa perché si faccia carico di questa situazione e provveda ad una evacuazione umanitaria, è stato lanciato oggi a Roma, nella sede della rappresentanza del Parlamento europeo, durante una conferenza stampa promossa dalle comunità eritrea, somala ed etiope a Roma, dall’Agenzia Habeshia e dal Cir. L’iniziativa è anche una risposta alla richiesta del vicario apostolico di Tripoli mons. Giovanni Martinelli, che ha stilato una lista iniziale di 2000 rifugiati eritrei in grave difficoltà, assistiti dalla sua Chiesa. Il governo italiano ha già fatto un primo passo portando in salvo due giorni fa 58 eritrei, tutti nuclei familiari con moltissimi bambini. Ma ogni giorno si aggiungono notizie di nuovi gruppi in difficoltà, compresi 2000 somali a Tripoli e qualche centinaia a Bengasi. Secondo quanto riferito da Aden Sabrie, somalo, giornalista della Bbc in costante contatto telefonico con i connazionali in Libia, a Bengasi sono già stati uccisi 5 somali. Dobbiamo fare presto. Quei pochi che riescono a varcare la frontiera con l’Egitto – prosegue, accennando ad una trentina di somali che ci sono riusciti – non trovano all’arrivo un ambasciatore o il loro governo che li aiuti, perché sono rifugiati. In questo momento, ha detto Savino Pezzotta, presidente del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), eritrei, etiopi e somali sono quelli che rischiano di più. Apprezziamo molto il primo sforzo fatto dal governo italiano, perché sembra un cambiamento di atteggiamento. Ma crediamo che l’Europa non possa rimanere indifferente. Domani si svolgerà infatti la riunione straordinaria del Consiglio europeo sulla Libia, ci auguriamo che possano farsi carico della situazione dei rifugiati. Don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, andrà la settimana prossima a Crotone ad incontrare i 58 eritrei. Ha anche ricordato altri 300 eritrei, comprese donne e bambini, che nei giorni scorsi cercavano di fuggire dal porto di Tripoli e invece sono stati rinchiusi dalla polizia in un carcere a 40 km dalla capitale. Tutti racconti confermati dalle testimonianze dei parenti: Mio fratello è riuscito ad uscire dal carcere pagando ha raccontato Simon, rifugiato eritreo, in Italia da tanti anni -. Ora vive con 20 persone e non esce mai di casa. Anche la madre di Lulla Gebrekrustos (26 anni, eritrea, ha viaggiato sui barconi mentre era incinta della figlia, che ora ha 7 anni) è chiusa in casa a Trablos, vicino Tripoli. Mia madre lavorava da 7 mesi in una famiglia dice al SIR -. Ora ha perso anche il lavoro, perché la famiglia ha timore di tenere in casa un’eritrea. Vive in una casa con una ventina di persone, hanno difficoltà a reperire cibo, non escono mai perché hanno paura. Spero solo che riesca a venire in Italia. Stesse situazioni sono state descritte da Marakun Rachiele, della comunità etiope: Vorrei che ci si rendesse conto che se scappiamo da un Paese che amiamo, dalla nostra famiglia, è perché lì qualcosa non va a livello politico e sociale. Chiediamo al governo italiano di aiutare anche gli etiopi.Sir