Italia
Liberazione di ostaggi: la via della trasparenza
«Pagare un riscatto è un dilemma terribile. La vita viene sempre al primo posto. Ma certo il non pagamento è il presupposto per restare a operare in un Paese. Una volta che paghi, salvi una vita, ma rendi più pericolosa la permanenza degli altri operatori. Per tutto questo, non bisognerebbe essere incauti nelle partenze»: così Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, ha risposto su «La Repubblica» alla domanda se sia giusto o meno pagare, come potrebbe essere stato fatto per liberare le cooperanti italiane Greta e Vanessa.
Il punto è proprio questo, e occorre partire dal sottile diffuso malcontento che si respira tra la gente, quella «gente comune» che oggi, spesso, fa fatica ad arrivare a fine mese e si interroga se sia giusto che lo Stato (sempre che venga confermato ufficialmente) paghi 12 milioni di euro per due ragazze che, a loro stesso dire, per lo meno sono state un po’ incaute a recarsi in Siria, oltretutto finanziando il terrorismo islamico.
Ci si interroga quindi se non sia opportuno accentuare restrizioni e controlli sull’invio, da parte delle Ong riconosciute a livello governativo, di volontari ed operatori in zone particolarmente rischiose. Occorrerebbe anzitutto monitorare tali nazioni, creando una griglia dove distinguere nettamente Paesi «ok» e Paesi «vietati» per gli evidenti rischi.
In secondo luogo, sarebbe forse opportuno introdurre una sorta di autorizzazione governativa, rivolta non tanto a stabilire i soggetti e le modalità autorizzate a portare aiuto ad una popolazione o ad una località, quanto piuttosto prevedere «criteri oggettivi di sicurezza» che le Ong debbano essere chiamate a rispettare. Lo Stato non imporrebbe «veti», ma potrebbe esigere dalle Ong un preciso piano di «sicurezza interna» ed «esterna»; potrebbe chiedere la predisposizione di adeguate assicurazioni su vita, salute e anche a copertura dei costi di un intervento umanitario (leggasi esborso per liberazione, da non intendere come «riscatto», ma quali spese necessarie per giungere alla liberazione). Non si tratta, come è ovvio di chiamare le cose («riscatto») con un nome diverso («esborso per liberazione»), ma di tener conto delle mutate condizioni internazionali e in particolare della sfida portata dal fondamentalismo islamico alla sicurezza dei cittadini occidentali. In quest’ottica, non guasterebbe una linea comune d’azione, ratificata in sede europea.
Inoltre le Ong dovrebbero poter dimostrare di non essere in alcun modo conniventi con le parti in lotta, specie le più radicali e violente (come nel caso degli estremisti islamici), bensì orientate a soccorrere la popolazione civile senza preferenze. Si dirà che è già così, o almeno che così si adoperano le Ong. Ma sono proprio i brutti sospetti che accompagnano la vicenda delle cooperanti italiane, su una presunta connessione con una delle parti in armi in Siria, a rendere tutti più avvertiti e guardinghi.
Infine, occorrerebbe che l’opinione pubblica conoscesse un limite economico oggettivo e dichiarato di eventuale intervento dello Stato in caso di sequestro. Si tratterebbe non di dirsi disponibili a pagare un riscatto, bensì della eventuale disponibilità dello Stato stesso a contribuire con aiuti umanitari per sollecitare e facilitare la liberazione di cooperanti o altri soggetti rapiti in missioni umanitarie. Il limite economico dovrebbe essere pubblico e le Ong stesse dovrebbero assumere il doppio impegno di assicurarsi per rimborsare lo Stato in caso di intervento, oltre che coprirsi per la propria oggettiva responsabilità. Si dirà che già questa scelta sarebbe una forte sollecitazione per i malintenzionati. Certo, è un rischio oggettivo. Ma va anche detto che i cittadini sono sempre meno inclini ad accettare quell’aura di mistero che accompagna certe pratiche diplomatiche. Senza sottovalutare, ricordando i giorni terribili del «delitto Moro», che il Paese non ha bisogno di dividersi fra trattativisti e non. Il mondo è diventato sempre più complesso e bisogna affinare la riflessione. Ricordando anche che i sequestri di persona, proprio in Italia, sono stati stroncati nel momento in cui lo Stato ha scelto la linea della fermezza.
In ogni caso la trasparenza non può che fare bene a tutti.