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Libano, l’obiettivo primo è mantenere la tregua

di Romanello Cantini Quando il 6 giugno di ventiquattro anni fa, l’esercito israeliano decise di invadere il Libano impiegò solo due giorni per arrivare alle porte di Beirut. Quest’anno, dopo quaranta giorni di raid aerei, di cannoneggiamenti dal mare, di combattimenti sul terreno il quasi mitico Tsahal non è riuscito ad avanzare che di qualche chilometro in territorio libanese.

Dopo quattro guerre vinte contro gli Stati arabi, questa volta il duello tra Israele e Hezbollah finisce di fatto in pareggio. Al di là del dibattito che la mezza sconfitta o la mezza vittoria sta suscitando in Israele, è evidente che uno degli eserciti meglio equipaggiati del mondo ha dimostrato la sua debolezza nei confronti di una guerriglia fortemente motivata, bene addestrata e altrettanto rifornita di armi moderne. Per la prima volta nella sua storia Israele cessa di contare solo sulle proprie forze ed è costretto ad accettare l’intervento di una istanza internazionale come l’Onu per assicurare la propria autodifesa e marcare con certezza i propri confini. Di fatto la fine del solipsismo dello Stato israeliano nell’iniziare e nel finire le proprie guerre spinge ora Israele a fidarsi meno del proprio potenziale militare e a rivalutare il lato politico delle sue esigenze di sicurezza con una maggiore attenzione alla ricerca delle alleanze e del consenso internazionale al di fuori della sindrome del cavaliere solitario senza macchia e senza paura.

La resistenza che Hezbollah ha saputo opporre ad Israele pone ora dei problemi ulteriori per il suo disarmo. Paradossalmente il disarmo dei guerriglieri di Nasrallah sarebbe stato più facile prima della guerra quando il Partito di Dio era solo uno delle tante briciole della società libanese. Appare più difficile ora che agli occhi dei libanesi gli Hezbollah si sono coperti della polvere della gloria durante la guerra ed hanno assunto, a torto o a ragione, il ruolo nazionale delle sentinelle dei confini della patria e hanno anche in qualche modo vendicato anche le distruzioni che sono andate ben oltre il Sud del Libano e hanno toccato più o meno direttamente tutta la popolazione libanese.

Per adeguarsi a questi sentimenti della popolazione i vari leader libanesi, dal premier Siniora al capo dello Stato Lahoud, si sono sprecati in elogi di una milizia spesso giudicata una semplice organizzazione terroristica oltre i confini.

È quindi ora molto impopolare imporre nel Libano un disarmo degli Hezbollah. Il Partito di Dio può contare su tre ministri dentro il governo e su quella componente sciita che rappresenta il 40% della popolazione. Secondo Bechir Gemayel, il leader dei cristiano maroniti, la potenza militare degli Hezbollah è superiore a quella dell’esercito regolare. Il capo dell’esercito libanese, che in ipotesi dovrebbe disarmare gli Hezbollah, è il presidente della Repubblica Emile Lahoud che la Siria ha voluto, con le buone o con le cattive, riconfermato alla sua carica per quasi dieci anni.

Il compito del disarmo non sembra nemmeno poter essere affidato al corpo di pace dell’Onu che sarebbe disertato da molti, a cominciare dall’Italia e dalla Germania, se gli fosse affidato un compito così pericoloso.

Tuttavia, anche di fronte a una prospettiva che sembra al momento senza sbocchi, nessuno può assumersi apertamente la responsabilità di respingere una deliberazione dell’Onu in un Medio Oriente in cui tante risoluzioni sono di fatto già carta straccia o il prestigio del Palazzo di vetro è al suo minimo storico.

Senza una pacificazione reale è impossibile a lungo anche la sopravvivenza di una tregua che già sfiora il miracolo. Gli stessi Caschi blu potrebbero finire per trovarsi sotto la parabola dei proiettili di una nuova guerra con i razzi che sono oramai capaci di sorvolare con la loro gittata di quasi cento chilometri e con i missili capaci di raggiungere tutto il territorio libanese.

Per il momento è pregiudiziale per tutti conservare soprattutto la tregua che costringe gli stessi Hezbollah a dar prova di affidabilità e insieme a perdere quota in quel protagonismo bellicoso che oggi li rende così popolari. Ma a medio termine la soluzione del loro disarmo dovrà ancora essere perseguita anche se purtroppo con un omaggio più o meno subdolo ai loro più discutibili meriti in patria e magari con il loro assorbimento nell’esercito regolare come si usa in genere con gli ex-garibaldini di tutti i tempi.

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