Italia
Lezioni di cucina italiana in Ciad
di Francesca Galluzzi
Il primo giorno in Ciad inizia presto, alle sei di mattina in una luce fantastica partiamo dal centro accoglienza delle suore di N’Djamena verso Doba, nel sud del paese, 600 km di strada per fortuna asfaltata. Suor Paola guida la jeep fuori dalla capitale ed inizia lo spettacolo.
La gente è tutta su quella strada, cammina ai bordi o anche in mezzo, va in moto, in bici, a piedi. Trasportano fascine di legna, canne, ciotole e pentole per fare la bili bili, la bevanda alcolica a base di miglio che come suor Paola ci spiega subito, è insieme alla prostituzione la piaga del paese.
Lungo la strada banchetti espongono bottiglie, vendono l’essence, la benzina; le donne portano tutte un bambino sulla schiena, legato strettamente. All’apparenza tutti sono molto giovani. Il paesaggio cambia continuamente, brousse, risaie, campi coltivati a miglio, cotone, possenti alberi di mango, ma, come un filo continuo ci accompagna la presenza di minuscoli villaggi fatti di capanne di sterco o mattoni, col tetto di paglia, nessuna finestra. La povertà si percepisce anche nella sporcizia, nell’immondizia sparsa qua e là, nei mercati polverosi, nella strada tutta buche.
La casa delle suore a Doba, nello spazio recintato dell’Eveché appare come un’oasi di pulizia e tranquillità.
Il giorno dopo, mentre mi riposo nelle ore più calde del dopo pranzo, mi sembra perfino impossibile che sia novembre. La mattina siamo andate con Suor Paola a fare la spesa al mercato di Doba per acquistare tutto quello che serve ad iniziare il nostro piccolo corso di cucina. Al mercato siamo le uniche bianche e non passiamo certo inosservate, i più buffi sono i bambini che continuano a fissarci per ore e solo dopo un po’ hanno il coraggio di tendere la mano per salutarti e dire bonjour. I venditori del mercato la merce ce la fanno pagare 4 volte il prezzo locale, come abbiamo scoperto quando abbiamo affidato il compito di acquistare l’olio di arachidi e altri ingredienti che ci serviranno domani al corso di cucina a Rosalie, una ragazza di Doba che suor Paola sta cercando di strappare alla vendita della bili bili, nella migliore delle ipotesi, o alla prostituzione, nella peggiore. Al mercato c’è gente di ogni tipo, anche se i venditori differiscono a seconda delle merci: le donne hanno la verdura, le spezie, le uova, una fila di ragazze accucciate a terra vende latte di capra, in recipienti in pieno sole e la temperatura che sale di minuto in minuto.
La parte in muratura del mercato, quella più fresca e confortevole, vede invece la presenza massiccia di commercianti uomini arabi: vendono vasellame come il corot, che è anche l’unità di misura di tutto, vassoi di latta smaltati, secchi, stoffe, abiti, scarpe. Uomini sono anche tutti i sarti, che realizzano gli abiti tradizionali che le donne si fanno cucire dalle pagne, le stoffe stampate a colori sgargianti.
Il giro al mercato è comunque proficuo e con gli utensili acquistati in Italia il giorno dopo possiamo iniziare il corso di cucina, che è anche il motivo per cui siamo venute fino a qua.
Suor Paola non sa esattamente quante donne verranno e se verranno: il corso si svolge al centro culturale Celestino, all’interno dell’Eveché, è stato annunciato in Cattedrale e prevede il pagamento di una piccola e simbolica quota. Alle otto di mattina le donne in attesa davanti all’ingresso del centro sono già una mezza dozzina, coloratissime nei loro vestiti, con foulard avvolti in modo creativo intorno al capo. Prima di iniziare Suor Paola fa le presentazioni, spiega il motivo del corso che, come dice in francese, «ci permette di condividere i talenti».
Le donne ridono e parlano fra di loro. All’apparenza sembrano giovani, le più anziane sono vedove e hanno poco più di 40 anni, quindi nostre coetanee. Presentandosi dicono a quale comunità ecclesiale di base appartengono, parlano con un filo di voce della loro vita e dei loro figli includendo nel conto quelli che «sont partis», sono morti. Dopo il giro di presentazione ciascuna di loro riceve un grembiule e finalmente si comincia con la prima ricetta, del programma, i muffins.
Ognuna alla sua postazione segue le indicazioni di Antonella, tradotte da me in francese: si lavora insieme, si ride. La parte più complicata è la cottura con un forno a carbone assolutamente improbabile, che ci hanno aiutato ad accendere e davanti al quale si sono poi messe a sedere, in attesa, come davanti a una TV. Quando i pasticcini escono dal forno li hanno assaggiati senza mostrare troppo entusiasmo , ma poi li hanno messi in borsa per portarli ai loro bambini.
Il secondo giorno c’è un po’ di timore che già qualcuna abbia abbandonato, invece no, tornano tutte anzi ce n’è una in più. La seconda proposta sono i tarallini, la cui lavorazione è stata infinita: dopo avere impastato, bollito e poi cotto nel forno circa 500 tarallini non ne potevano più né le italiane né le africane ma sono state queste ultime a risolvere la situazione preparando il tè per tutte, caldo e zuccherato. Alla fine di questa lunghissima mattinata Suor Paola ha invitato noi e le donne ad andare a offrire i tarallini al vescovo Michele Russo, che è pugliese. Così una processione di donne colorate è partita dal centro Celestino, fra canti e danze, con un vassoio di tarallini ben accolto dal vescovo.
Il corso è proseguito altri due giorni con la realizzazione delle chiacchiere e dei panzarotti. Le donne hanno molto apprezzato queste ultime due proposte, anche per il modo di cottura (fritte nell’olio) che è alla loro portata e che ben conoscono. Così utilizzando ingredienti acquistabili localmente, speriamo che possano far diventare quello che abbiamo loro insegnato una piccola fonte di reddito alternativa alla bili bili.
Nella seconda settimana, il corso è continuato con altre 10 donne selezionate fra i movimenti cristiani; finchè l’ultimo giorno i due gruppi si sono riuniti e hanno costituito un Bureau des femmes che certamente si inventerà qualche cosa di positivo.
È stato un momento di grande convivialità nel quale le donne di Doba hanno offerto alle suore alcantarine e a noi tre ospiti italiane il loro pranzo tipico, la boulle di farina di riso e le due salse, quella di carne e quella di spinaci. È stato il momento dei ringraziamenti e della commozione, con l’augurio reciproco di ritrovarsi ancora a lavorare insieme fra donne.
Un’avventura che di certo non scorderemo facilmente, così come non scorderemo la radiosa Félicité con le sue bambine, la grande, decisionista Pascaline, la malinconica Mariane, l’instancabile Harriette, la saggia Bernadette, l’impenetrabile Rosalie e tutte le altre, rimaste più nell’ombra ma che ci hanno accompagnato in questa esperienza.