Italia
L’Europa dimentica le sue radici cristiane
DI GIULIO VILLANI
È con senso di responsabilità e spirito di servizio che le Chiese del continente hanno manifestato apprezzamento per le iniziative europee, ma al tempo stesso hanno espresso la loro lettura critica. A cominciare dal Papa il quale il 10 gennaio scorso rivolgendosi al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede ha così parlato «Tra i motivi di soddisfazione va senz’altro menzionata l’unificazione progressiva dell’Europa, di cui è simbolo la recente adozione, da parte dei paesi che vi fanno parte, di un’unica moneta… So inoltre che ci si sta interrogando circa l’opportunità di una Costituzione dell’unione. A tal proposito è fondamentale che siano sempre meglio esplicitati gli obiettivi di questa costruzione europea e i valori sui quali essa deve basarsi. Per questo, non senza una certa tristezza, ho preso atto del fatto che, fra i partner che dovranno contribuire alle riflessioni sulla Convenzione istituita nel corso del summit di Laeken lo scorso mese, le comunità dei credenti non sono state citate esplicitamente. La marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera, mi sembra essere al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettive. Riconoscere un fatto storico innegabile non significa affatto disconoscere l’esigenza moderna di una giusta laicità degli stati e dunque dell’Europa».
La rivista «Il Regno» dei Dehoniani di Bologna, nel fascicolo quindicinale Attualité (15 gennaio 2002), ha pubblicato un’intervista curata da Gianfranco Brunelli a mons. Attilio Nicora, vicepresidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea, il quale oltre ad un commento interpretativo delle parole del Papa allarga il discorso richiamando alcuni temi connessi alla presenza delle comunità religiose negli organismi operativi dell’Eu: il modello in cui queste possono riconoscersi; il loro costruttivo coinvolgimento; il loro profilo culturale mons. Nicora nota che il Papa evidenzia il salto di qualità dell’Ue che passa da competenze di tipo prevalentemente economico a qualcosa che investe temi come quelle delle culture, della cooperazione internazionale, dei diritti fondamentali; al tempo stesso richiama rigorosamente, in un quadro evolutivo, il problema, ormai ineludibile, del ruolo delle Chiese e delle confessioni religiose. Una linea osserva Nicora che tendesse al massimo a ricondurre anche le Chiese nell’ambito della società civile lascerebbe ancora aperto l’intero problema. Esse infatti si qualificano originalmente nella loro identità trascendente. Una dimensione quindi che va tenuta presente sotto il duplice profilo: culturale e giuridico. Ed è questo il modello in cui possono riconoscersi.
Riguardo alla dichiarazione degli episcopati europei alla vigilia di Laeken, si osserva che le conclusioni del Consiglio europeo appaiono generiche e riduttive: si parla di un «forum» di istituzioni, indistinto, senza riferimento alcuno alle Chiese e alle confessioni religiose, senza precisare il loro specifico coinvolgimento, collocandole quindi in un «eccetera eccetera» inaccettabile.
Le Chiese d’Europa non pretendono un ruolo deliberante, ma pensano a una presenza di confronto e di dialogo, non sulla linea di una reciproca benevolenza, ma garantito nelle sue procedure con una precisa definizione del loro rapporto all’interno dell’Unione.
Ci si domanda ancora come questa possa pienamente realizzarsi ignorando l’incidenza che sul patrimonio storico-culturale dell’Europa hanno le componenti religiose sotto il profilo culturale e quello giuridico. Esse infatti concorrono nella società europea «alla formazione del tessuto ideale ed etico e alla promozione della pace. Per non parlare del fatto che sono depositarie di una parte rilevante del patrimonio storico artistico e che rendono servizi preziosi nel campo educativo, sanitario, assistenziale. Perciò ci si domanda se l’Europa voglia nascere ignorando davvero questi contributi. Per quanto riguarda l’aspetto giuridico è da «superare la concezione di un diritto alla libertà religiosa come un diritto a un semplice esercizio individuale e collettivo, riconoscendo invece che le confessioni religiose hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti in conformità agli ordinamenti giuridici degli stati membri».
Sull’argomento delle radici cristiane dell’Europa va registrato il messaggio del capo dello Stato Carlo Azelio Ciampi al presidente della fondazione «De Gasperi» (21 febbraio 2002) in cui ricorda che i valori universali del cristianesimo sono parte integrante dell’identità europea.
E in panorama più ampio occorre riferire le voci di due autorevoli esponenti politici: Karl Lamers, responsabile per gli esteri della Cdu («Avvenire» 23 febbraio 2002) e Jean-Luc Debaene, vicepresidente della «Convenzione» in atto («Avvenire», 28 febbraio 2002).
Secondo Lamers si devono approfondire i valori comuni che sono alle radici della storia e della identità dell’Europa, indissolubilmente legati alle Chiese e soprattutto al cristianesimo. Più problematiche le parole di Dehaene, il quale non pensa che la «Convenzione» potrà fare riferimento esplicito ai valori cristiani. Egli è d’avviso che la Carta dei diritti proclamata al vertice di Nizza rappresenti una formula equilibrata di riferimento a quei valori, rispettosa del pensiero comune.
La «Convenzione» di Bruxelles può costituire un evento decisivo per il futuro dell’Unione Europea. C’è da augurarsi che nella elaborazione delle sue proposte in vista di una Carta costituente, tenga nel debito conto le aspettative delle chiese, ispirandosi a criteri oggettivi e costruttivi. L’essere informati su quanto accade in proposito può rappresentare anche un invito alla preghiera per coloro che hanno a cuore l’oggi dell’Europa e il suo domani.