«Abbiamo bisogno di individuare un modello parrocchiale e di pastorale in cui qualunque sacerdote riesca a trasmettere la fede e a generare famiglie cristiane». È l’esempio di una parrocchia «rivitalizzata», vera «fontana del villaggio» quella che monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno, ha presentato nelle sue relazioni al convegno diocesano di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, organizzato come ogni anno nel santuario francescano della Verna.«Dobbiamo uscire dall’occasionalità per avere una struttura educativa vera e propria. Non ci si può rifugiare nel passato perchè facendo così la sfida è già persa. Occorre capire che dobbiamo affrontare la “novità” di questo mondo», ha detto il presule. L’idea lanciata è quella di una parrocchia che monsignor Giusti definisce «sostenibile». «Sostenibile nel senso che deve recuperare davvero gli elementi conciliari e “sostenibile” nella prassi pastorale – spiega il vescovo -.Una parrocchia che non parte dalla preoccupazione del pastore di riuscire a svolgere il suo compito, ma dall’agire pastorale dell’intera comunità ecclesiale». Un obiettivo per il quale la guida della chiesa livornese lavora ogni giorno in una realtà «strana dove da una parte ci sono parrocchie con il 20% di fedeli che frequentano la S.Messa e dall’altra altre dove non si raggiunge l’1%, da una parte parrocchie giovani e dall’altra parrocchie senza giovani». Per arrivare a comprendere i lineamenti della parrocchia «sostenibile» monsignor Giusti parte dalle fondamenta: l’Eucarestia. «La parrocchia è prima di tutto “comunità eucaristica”. Non è semplicemente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d’unità capace di fondere insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserirle nell’universalità della Chiesa». Eucarestia quindi come fonte e punto di riferimento di tutto. Una centralità da «celebrare» ogni giorno proprio come accade nelle comunità monastiche. «Anche le S.Messe celebrate in mezzo alla settimana hanno la loro importanza e non devono essere trascurate», sottolinea monsignor Giusti. «Non c’è niente di più missionario che celebrare l’Eucarestia. L’Eucarestia è la “salvezza in atto”, in cui il Signore vive sacramentalmente con i discepoli, ancor prima che storicamente, la Pasqua. In questo senso con l’ultima cena è come se Gesù ci avesse anticipato quello che sarebbe successo poi con la Resurrezione, prima vive il Sacrificio sacramentalmente e poi storicamente, come a dirci cos’è più importante. Così la redenzione non può che passare per l’Eucarestia e la pastorale deve partire da essa».Le prospettive sociologiche e psicologiche, non possono che essere messe in secondo piano di fronte a questo modo di vedere le cose. «La parrocchia non deve limitarsi a raccontare l’incontro con Cristo, ma deve essere il luogo dell’incontro con Cristo. In una realtà in cui le persone credono solo a “quello che toccano”, non si può prescindere da questa strada. In una società che esalta il piacere non possiamo limitarci a fare i censori di quello che ci circonda, ma dobbiamo accettare la sfida e proporre la “gioia”». Ecco spiegata la centralità dell’Eucarestia: «È la possibilità di avere un’esperienza concreta di Gesù». Un’ «esperienza concreta» che oggi più che mai può avvenire solo in parrocchia. «Se in passato la fede si “costruiva” anche in casa e in parrocchia arrivavano dei ragazzi già in cammino, oggi non è più così». Ecco allora che emergono ben nitidi i tratti della parrocchia realmente «sostenibile». «Una parrocchia che deve avere una funzione educatrice che si manifesta quando si riunisce per la celebrazione dell’Eucarestia nel giorno del Signore. Inoltre, porta a maturità i carismi e le vocazioni presenti nella comunità. Sul modello delle prime comunità cristiane realizza strutture sociali concepite all’insegna della fratellanza, in una vita spirituale comunitaria capace di unire l’amore di Dio e l’amore del prossimo».di Lorenzo Canali