Prato

Letizia, da 18 anni con Madre Teresa

«Dopo aver visto lei non avevo più bisogno di sapere definizioni teologiche della santità. Chi vedeva Madre Teresa vedeva Cristo e la gioia di chi ama davvero». Così Letizia Cicconi ricorda i suoi incontri con Madre Teresa di Calcutta, fondatrice delle Missionarie della Carità, congregazione in cui Letizia è entrata a far parte quasi 18 anni fa col nome di sister Marie Bernadette. 42 anni, originaria della parrocchia della Resurrezione, Letizia, dopo gli anni della formazione trascorsi tra Inghilterra, Italia, Stati Uniti e Sud America, da 2 e mezzo è a Cuzco, in Perù dove l’abbiamo raggiunta telefonicamente. In un italiano dall’evidente calata spagnola, Letizia ci risponde con grande disponibilità e semplicità. Che significato ha la beatificazione di Madre Teresa per voi che siete le «sue» suore, le chiediamo? «Per noi è una grande gioia – ci risponde – ma anche l’occasione per aumentare il nostro impegno ed un impulso ad andare avanti. Non è tanto la persona di Madre Tersa che dobbiamo esaltare, ma quello che ha fatto, o meglio quello che ha fatto Gesù in lei. Ed è anche un orgoglio perché abbiamo vissuto con lei».Ma oggi cosa significa essere Missionaria della carità? «Per me oggi significa quello che significava ieri e che significherà nel futuro e cioè essere uno strumento nelle mani di Dio. Non dobbiamo risolvere tutti i problemi della società; la cosa più importante per me Missionaria della carità è che la gente si senta amata». Letizia durante il periodo del postulandato a S. Gregorio a Roma è potuta stare per molto tempo vicino alla Madre, per farle da interprete: «È stata la persona più semplice che nella mia vita mi ha insegnato a fare le cose con amore. Quando ero accanto a lei non ho assistito ad apparizioni mistiche, ma vedevo una persona tutta di Dio. Ho visto un altro Cristo in lei; certo, come tutti aveva i suoi limiti, ma la santità in madre Teresa non ha escluso la sua umanità. In lei non c’è stata dualità tra la sua parte umana e quella spirituale. Se le chiedevamo – racconta sister Marie Bernadette- se avesse avuto visioni, lei ci rispondeva che tutti i giorni aveva, e noi con lei, la visione di Dio nei poveri».Ricordando madre Teresa, Letizia sottolinea l’importanza dei piccoli gesti: «Quando è morta mia madre ho ricevuto un suo santino con una frase per mio padre; erano solo otto mesi che ero entrata nella comunità e questo gesto della Madre è stato molto bello; poteva stare con Reagan o andare a ritirare il premio Nobel per la pace ma allo stesso tempo non perdeva i dettagli, e solo chi ama può fare queste cose». E la tua vocazione quando e come è nata, le chiediamo? «Penso che l’esperienza che ho fatto in parrocchia, alla Resurrezione, è stata molto importante; don Giuliano Guarducci e il gruppo dei giovani di allora sono stati molto importanti per me. Anche due amiche che sono monache di clausura mi hanno dato un grande aiuto. Tutta la mia vocazione si è svolta nella mano di Dio che mi ha sempre sorretto; ma fondamentalmente rimane un mistero. Anche l’esempio della mia famiglia mi ha dato un grande aiuto; tutto ciò ha favorito la mia scelta di entrare nelle Missionarie della carità».A Cuzco (città imperiale degli Inca a 3500 metri di altitudine), Letizia è con altre tre consorelle indiane; svolgono le loro attività presso il carcere, le famiglie povere, gli ospedali e assistendo i poveri di notte. La zona è di grande richiamo turistico per i resti archeologici presenti e per la vicinanza del Machu Picchu. In futuro, è prevista l’apertura di una casa per bambini handicapparti.Dopo quasi 20 anni qual’è il tuo rapporto con Prato, le chiediamo? «È un rapporto affettivo – ci risponde Letizia -, con la sorella e il fratello e alcuni della parrocchia; prego sempre per Prato, sono orgogliosa di essere pratese». Letizia ci saluta con un appello, in particolare per i giovani: «Non abbiate paura a darvi nella radicalità, non perdetevi nel conformismo. L’importante non è credere o non credere ma amare; può sembrare un’eresia ma quando uno ama ha Dio con sé. Non accettate un cristianesimo fatto solo di preghiere, anche come coppie di sposi. Vi aspetto a Cuzco; qui vengono protestanti e anche agnostici e fanno molto ma di cattolici se ne vedono pochi. Il lavoro non manca ma prima di tutto si deve pensare a casa propria e, poi, non avere paura a compromettersi».