Firenze

L’Esenzione Ici ai beni ecclesiali: polemica priva di fondamento

di Leonardo BianchiDirettore del Consiglio Pastorale DiocesanoIn merito al decreto legge che specifica le caratteristiche necessarie per l’esenzione dal pagamento dell’Ici, recentemente tornato agli onori della cronaca, va precisato che si tratta, in realtà, del seguito di una sentenza della Cassazione, legata alla legge del 1992 che istituiva l’Ici. Una norma risalente a 14 anni fa, approvata sotto il primo Governo Amato, che stabiliva chi doveva pagare, ma anche chi era esentato. Nell’elenco di questi ultimi figurano immobili di enti pubblici – ad esempio, scuole, musei, biblioteche -, ma anche gli edifici di culto della Chiesa cattolica e di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato, con i locali annessi (ad esempio, aule di catechismo e canonica). Sono esenti, inoltre, gli immobili di enti senza fini di lucro, che siano esclusivamente destinati ad attività culturali, ricreative, sportive, assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche e ricettive. In questo gruppo rientrano enti ecclesiastici, ma anche organizzazioni no profit, Onlus, cooperative sociali.La nuova disposizione precisa – per chiudere alcuni contenziosi che si erano creati – che gli enti che svolgono questo tipo di attività sono esentati dall’Ici «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse».

Che cosa vuol dire «natura commerciale»? Significa, per esempio, che questi enti sono esenti anche quando svolgono servizi che prevedono il pagamento di una retta. Ai fini fiscali, infatti, queste sono attività «commerciali»: ma se sono svolte a fini sociali e non di profitto, lo Stato ne riconosce un valore per la collettività consentendo una facilitazione fiscale. Per essere più chiari: sono esenti gli immobili utilizzati per ospedali, istituti per anziani, foresterie, case e ostelli per la gioventù, scuole ecc. I beni utilizzati per altro scopo, anche se appartenenti a enti religiosi, continueranno invece a pagare l’Ici come hanno sempre fatto: è il caso ad esempio di fondi o appartamenti dati in affitto. La nuova norma, insomma, non fa che confermare la situazione pre-esistente: i comuni non vedranno diminuite le proprie entrate, e le Diocesi (e gli altri enti religiosi) non godranno di maggiori benefici.

Nonostante questo, nelle ultime settimane si è assistito ad una campagna animata da pretestuose, par di ritenere, ragioni ideologiche di ispirazione anticlericale fondate magari altrove, che richiedono una reazione pacata e serena dinanzi alla comunità ecclesiale e cittadina più in generale. Da ultimo, oltretutto, lunedì scorso sono state approvate due mozioni in consiglio comunale a Firenze. Nella prima, presentata dallo Sdi, si chiede l’abrogazione della nuova norma sulle esenzioni Ici, mentre nella seconda, voluta dalla lista «Unaltracittà», si arriva a chiedere alle «istituzioni religiose» di «versare un contributo volontario pari all’importo dell’Ici cancellata dalla finanziaria per non rischiare altri tagli alla spesa sociale».

Nel riportare la notizia, i giornali citano ancora una volta il Convitto della Calza, come esempio di «albergo» che godrebbe di questo ingiusto «regalo». Eppure il Convitto della Calza paga, ha sempre pagato e continuerà a pagare in futuro l’Ici per gli spazi destinati ad attività ricettive ed alberghiere. Lo stesso dicasi per le case e i terreni di proprietà dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero: l’organismo ha preso in carico, in base al nuovo Concordato del 1984, tutti quei beni appartenenti alla Chiesa che potevano risultare redditizi, allo scopo di utilizzarne il ricavato per assicurare uno stipendio ai sacerdoti. L’Istituto gestisce appartamenti e fondi commerciali, sui quali paga regolarmente l’Ici. Risulta essere, anzi, uno dei maggiori contribuenti per molti comuni della provincia.

Le «istituzioni religiose», dunque, non risultano avere alcun indebito da restituire, e, soprattutto – ciò che sta particolarmente a cuore alla Chiesa fiorentina -, non sarà certamente per questo motivo che la spesa sociale del Comune di Firenze subirà contraccolpi. Con spirito pienamente costruttivo, ci si augura, invece, che dagli effetti legati all’approvazione di mozioni di questo calibro ci si guardi a salvaguardia della credibilità e del prestigio del Consiglio Comunale della nostra città.

Ici e immobili della Chiesa, com’è andata a finire?

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