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L’eredità di padre Cordovani. La guerra? «Non è strumento di giustizia, ma un’ecatombe».

Sessanta anni fa, il 5 aprile 1950, moriva a Roma padre Mariano Cordovani, domenicano, maestro del Sacro Palazzo Apostolico e teologo della Segreteria di Stato vaticana. Un aretino che è considerato uno dei grandi maestri del pensiero cattolico nella prima metà del secolo scorso. Felice Cordovani nacque a Serravalle, nell’alto Casentino nel 1883. A quattordici anni entrò nella scuola del convento di Santa Maria del Sasso a Bibbiena. Un anno dopo vestì l’abito dell’Ordine domenicano e assunse il nome di Mariano. Nel marzo del 1904 fece la solenne professione di fede e tre mesi dopo fu ordinato sacerdote. Insegnò nelle università di Milano, Roma e Firenze, fino a diventare fra i più ascoltati teologi dei palazzi pontifici. Strinse un legame di sincera amicizia con Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI. Molti dei suoi corsi universitari di teologia cattolica furono raccolti in monumentali pubblicazioni, degne di essere lette ancora oggi. Due anni fa, nel 2008, anche il Casentino gli rese omaggio con un fascicolo ricordo.Ma in questo sesto decennale della sua scomparsa vogliamo mettere in rilievo la costante opera di padre Cordovani «affinché fosse superata nella società e nella stessa Chiesa la convinzione millenaria che giustifica la guerra e la forza come rivendicazione di diritti e soluzione dei conflitti fra popoli e nazioni». Se oggi abbiamo una costituzione conciliare come la Gaudium et spes che elogia quanti rinunciano alla forza, e se Benedetto XVI può affermare che «la non violenza per i cristiani non è mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona convinta dell’amore di Dio e della sua forza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità» (Angelus del 18 febbraio 2007), ciò lo si deve anche a illuminati uomini di pensiero come appunto padre Cordovani.Nei primi decenni del secolo scorso sulle piazze e nei Parlamenti si gridava ancora alla guerra giusta e addirittura alla guerra santa, ma Benedetto XV e con lui padre Cordovani, che ne condivise il pensiero, ribattevano con solide argomentazioni che la guerra rappresentava un’inutile strage. Quando poi all’indomani della prima Guerra mondiale fu costituita la Società delle Nazioni, e nella stessa Chiesa si aprì il dibattito sulla sua opportunità prima con l’accoglienza positiva di papa Benedetto e poi con la diffidenza del suo successore Pio XI, padre Cordovani non ebbe incertezze. In un opuscolo del 1924, quando era docente all’università del Sacro Cuore a Milano, scrisse che «per stabilire un pacifico ordine del consorzio umano era necessario il perseguimento di un’organizzazione internazionale» anche se era convinto «che senza la Chiesa e i suoi valori non esiste la pace, nemmeno sul piano temporale». E concludeva «che i limiti e i difetti di questi organismi internazionali (ieri la Società delle Nazioni, oggi potremmo dire l’Onu, ndr) non hanno origine dalla loro natura, bensì da come un’idea splendida viene messa in pratica». Una posizione che si traduceva in un invito affinché tutti – e in primo luogo i cattolici – «si adoperassero per l’opportuno perfezionamento dell’istituto».Ben più complesse si presentarono le questioni pochi anni dopo, con la guerra d’Etiopia, la Guerra di Spagna e la logica espansionista della Germania di Hitler. Nel 1939 padre Cordovani pubblicò Il Santificatore, terzo volume del Corso teologico per universitari. Senza incertezze scriveva: «La guerra non è più la soluzione di un problema, ma la complicazione di tutti i problemi. Quello che dovrebbe essere lo strumento della giustizia è diventato l’ecatombe di tutti e il macello del mondo. Una guerra vinta non ripara più il danno che nasce dall’averla combattuta; una guerra perduta è lo sterminio di intere generazioni. Le condizioni della teologia della guerra giusta non si verificano quasi mai, e se facessimo un processo teologico sulla letteratura di guerra, anche fra i cattolici, verrebbero fuori tanti errori colpevoli». Per il padre domenicano sia la guerra d’Etiopia che la guerra civile spagnola si potevano evitare con interventi decisi della Società delle Nazioni. In Cordovani era ormai maturata la convinzione che strumenti giuridici, come le sanzioni e un’autorità sovranazionale, erano in grado di evitare i conflitti armati. Purtroppo quelli furono anni in cui Cordovani trovò scarsi consensi nel mondo cattolico italiano, inebriato, come larga parte del popolo, dalle conquiste imperiali e dal generale consenso verso il regime di Mussolini. Fra i sostenitori del teologo aretino vi era Giorgio La Pira, che di Cordovani era stato collega alla facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo fiorentino dal 1933 al 1937 e aveva con lui stretta amicizia.Conclusa la seconda Guerra mondiale, Cordovani dava alle stampe nel 1945 una nuova edizione del suo Corso di teologia, in cui faceva notare che le critiche ricevute negli anni Trenta sul tema della guerra, «oggi nessuno potrebbe ripeterle» e ribadiva che nel mondo contemporaneo – specie dopo le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki – la guerra era solo un «atto di universale distruzione».Alle idee del domenicano si sono alimentati anche il cardinale Alfredo Ottaviani, don Primo Mazzolari e Amintore Fanfani che con il religioso trascorsero periodi di studio a Camaldoli. Lo stesso Giovanni XXIII nell’elaborare l’enciclica Pacem in terris riprese alcuni scritti del teologo, come la relazione che svolse nel 1949 a conclusione delle Settimane sociali sui rapporti nella comunità internazionali e sulla morale delle nazioni e dei popoli.Ricordare oggi padre Cordovani significa non solo celebrare un’illustre figura della nostra terra, ma anche pensare alla «pace» non come a uno slogan, bensì come a un continuo progetto culturale. L’omaggio di SerravalleLa chiesa di Serravalle, paese natale di padre Mariano Cordovani, ospita il monumento in onore dell’illustre teologo. Il busto è stato inaugurato il 30 settembre 1952 in occasione della traslazione della salma da Roma a Serravalle. L’orazione funebre fu tenuta da monsignor Giovanni Battista Montini, allora sostituto alla Segreteria di Stato. All’inaugurazione erano presenti Amintore Fanfani e Giorgio La Pira.di Alessandro Gambassi