Cultura & Società
Leone Piccioni e i grandi del Novecento
di Nino Alfiero Petreni
Ma oggi non siamo qui nel suo piccolo studio-salotto, pieno di quadri e libri per parlare di Pienza. Scopo dell’incontro è parlare del suo ultimo libro, Memoria e fedeltà (a cura di Santino G. Bonsera, Erreciedizioni, Quaderni del Circolo XIII, Potenza).
«Sai mi dice il libro contiene alcuni saggi sugli autori del Novecento a me più cari. I nomi li conosci; avevo da tempo maturato la decisione di pubblicare questi saggi scritti anni fa. Ne avevo deciso anche il titolo, Cose ultime, ma gli amici del Circolo di Potenza hanno preferito un titolo diverso. A Potenza ho molti amici, da oltre trent’anni partecipo al Premio letterario Basilicata come presidente della giuria della sezione Narrativa e letteratura spirituale e poesia religiosa. Il libro riporta le mie riflessioni sui grandi scrittori del Novecento, sul loro valore e sulle differenze con gli scrittori attuali. Il valore letterario di Cardarelli, Cecchi, Pea, Bilenchi, tanto per citare qualcuno di loro, è immenso e a parer mio non è nemmeno pensabile proporre un confronto con gli scrittori di oggi, valutati come dei miti, ma per me assolutamente inconsistenti. Io provo grande amarezza per lo stato della nostra cultura. Caso mai sono molto più brave le donne scrittrici. Marta Marazzoni, Margaret Mazzantini, Cristina Comencini, Paola Capriolo, Elisabetta Rasy, tutte loro fanno parte di un gruppo di scrittrici di grande dignità. Nella mia lunga vita letteraria ho avuto molti rapporti con i veri scrittori e quando ho scritto di loro mi sono sempre avvalso della conoscenza personale. La Capria elogia il mio modo di fare critica indicandolo come un metodo d’arte».
Che metodo critico usa, professore?
E Piccioni parla di loro con tanto affetto ed ammirazione che all’improvviso mi sembra di averli accanto, di sentire le loro parole, di conoscerli, non solo come scrittori, ma come persone, con le loro abitudini, le loro debolezze, le loro idiosincrasie ed i loro tic.
«Questo aggiunge Piccioni è il mio metodo attuale, raggiunto nel tempo dopo molti anni di esperienze. Mi sono sempre occupato di letteratura, anche se il lavoro a tempo pieno in Rai (vicedirettore generale, ndr) mi occupava molto. Ma per me la lettura e la scrittura erano necessità dell’anima. Leggevo durante la notte, la mattina presto e durante le vacanze. Gli incontri, le frequentazioni con Ungaretti, Montale, Landolfi, Longhi, Contini, Luzi, erano occasioni veramente preziose, altamente formative».
Osservo i molti libri arrivati ultimamente sul suo tavolo, tutti in attesa di una sua valutazione, un suo giudizio.
Professore lei è stato anche l’ultimo ad intervistare Cesare Pavese prima della sua morte, del suo suicidio. Come era Pavese e che ricordo ne ha?
«Fu un incontro molto cordiale. Pavese aveva letto un mio articolo su di lui apparso sul Popolo e volle ringraziarmi. Per questo nel giugno del 1950 fissammo un incontro per un’intervista per la rubrica che tenevo alla radio, Scrittori al microfono. Pavese aveva tradotto e fatto pubblicare da Einaudi i grandi scrittori americani: Hemingway, Faulkner, Cain, Dos Passos… Ma a parer suo essi non avevano avuto alcuna influenza sulla sua opera né sulla cultura italiana. Pavese ci teneva a separare il suo lavoro letterario da quello di redattore. Come uomo si capiva che Pavese aveva un forte sistema depressivo dentro di sé. La decisione finale per il suicidio gli venne dall’amore fallito con l’attrice americana Constance Bowling. Pavese contava infatti molto sull’esperienza positiva dell’amore per salvarsi dalla sua depressione. Ma Constance, dopo averlo cercato, ammirata dall’uomo, dal suo intelletto, lo abbandonò e ripartì per l’America. Pavese deluso scrisse poi: Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi. Due mesi dopo la mia intervista, nell’agosto del 50, Pavese si uccise».
L’incontro finisce qui, lascio il professore ai suoi libri al suo amato lavoro di critico, scrittore, saggista. Questa domenica 28 ottobre sarà a Potenza a ricevere la cittadinanza onoraria di quella città. Un riconoscimento meritato. E così caro professore, cittadino onorario di Pienza e di Potenza, arrivederci al prossimo saggio. Dopo gli scrittori anche i musicisti, i pittori, gli scultori, che lei in tutti questi anni ha amato, lanciato, valorizzato, la stanno aspettando. E così anche noi, suoi antichi fedeli lettori, aspettiamo fiduciosi.