Toscana

Legge urbanistica regionale: la rivolta degli ordini professionali

Prima il dissenso dei sindaci, in merito al ripristino dei poteri della Regione sull’approvazione dei piani, e ora quello degli ordini professionali. La proposta di legge urbanistica regionale non sembra avere vita facile. Coi sindaci, rappresentati dall’Anci (l’Associazione dei comuni italiani) un accordo decoroso, è stato raggiunto. Con gli ordini professionali lo scontro, almeno per ora, è muro contro muro.

Questo è emerso dal convegno del 27 novembre scorso organizzato da Gianfranco Venturi presidente della Commissione territorio e ambiente del Consiglio regionale presso la quale è iniziato il dibattito sulla proposta di legge urbanistica approvata dalla Giunta nell’ottobre scorso.

Della proposta di legge il punto maggiormente discusso è la distinzione tra aree urbanizzate, in pratica il nucleo urbano edificato, con esclusione dei borghi periferici, ed aree non urbanizzate o rurali. Nelle seconde è vietata la nuova edilizia residenziale, in pratica vengono cancellate dai piani le zone residenziali di espansione, mentre le altre espansioni (aree industriali, centri commerciali, zone turistiche alberghiere, etc.) vengono sottoposte al parere di una conferenza di pianificazione nella quale intervengono i comuni circostanti, la provincia e la Regione con diritto di veto. Nelle prime, invece rimane la competenza del comune con procedure semplificate per il recupero. Lo scopo dichiarato è quello di limitare il consumo di suolo e stimolare gli interventi di rigenerazione urbana.

I segnali di dissenso da parte degli ordini si sono fatti sentire in un crescendo. Prima, a marzo di quest’anno l’Ordine degli architetti di Firenze, poi a luglio quello dei Comitati toscani dei geometri e dei periti, successivamente, ad ottobre la Rete degli Ordini degli architetti toscani, per finire col documento unitario presentato al convegno dagli Ordini degli agronomi, architetti, geometri, ingegneri, periti agrari, e periti industriali della Toscana,  in rappresentanza di circa 40mila professionisti, collegati con molte altre figure professionali (imprese, fornitori etc.) che entrano nel processo edilizio, quasi a dire: siamo una potenza in termini di consenso elettorale.

Se gli agricoltori sono la categoria che la legge blandisce maggiormente: libertà di colture, facilitazioni nella realizzazione di annessi agricoli etc., quella degli ordini è la meno ascoltata, anche perché i suoi obiettivi sono in forte contrasto con quelli della Regione e dell’assessore all’Urbanistica, Anna Marson che persegue un suo disegno nel quale è incluso il “blocco dell’ulteriore consumo di suolo”, come ebbe a scrivere in un articolo di circa dieci anni fa sulla riforma urbanistica dell’onorevole Maurizio Lupi, allora in discussione in Parlamento.

Del consumo di suolo, che in Toscana ha visto dal dopoguerra ad oggi almeno raddoppiate le aree urbanizzate, sono responsabili un po’ tutti, non solo i “biechi speculatori”. Il consumo di suolo è in buona parte il risultato dalla distribuzione sparsa dell’abitato sul territorio che, in buona parte, dipende da due fattori: la preferenza per abitazioni monofamiliari con giardino (la villetta) e la necessità di ridurne il prezzo attraverso la ricerca di localizzazioni sempre più distanti dai centri abitati, dove il costo del terreno è più basso. Ovviamente tutto questo è stato favorito da costi di trasporto relativamente bassi, e non ultimo da una tendenza dell’urbanistica che vedeva nelle basse densità un modo per contrastare la rendita.

Ma la residenza non è la sola a consumare suolo, vi sono anche i servizi (vedi i centri commerciali) e i capannoni industriali anch’essi in cerca di aree a basso costo e di facile accessibilità. Insomma tutto quello che in qualche modo ha reso possibile l’attuale livello di benessere e che sembra improvvisamente relegato al ruolo di male assoluto del territorio.

Sulla limitazione al consumo di suolo anche gli ordini professionali si dicono d’accordo, anche perché con tutto l’invenduto che c’è pochi si mettono a edificare nelle nuove aree, e d’altra parte questo è un obiettivo fatto proprio dalla Commissione europea che ha fissato per il 2050 lo stop definitivo alle espansioni urbane. Ma non sono favorevoli al rigido controllo soprattutto nelle aree non urbanizzate, pensando che norme poco flessibili finiscano per uccidere definitivamente il settore edile già in grave crisi, dal quale tra l’altro dipende il loro lavoro.

Criticano l’aumento degli obblighi che pesano sulla edilizia privata come quello di cedere il 20 percento delle aree o della superficie utile degli edifici realizzati per edilizia popolare, cosa che ovviamente potrebbe finire per disincentivare gli investimenti nel recupero urbano, anche se l’incentivo alla fine sta nel possibile aumento del volume realizzabile e quindi della densità edilizia.

Tutto in questa proposta di legge sembra portare ad una densificazione degli abitati, dato che l’unico modo per mettere molte persone in un’area limitata è quello di aumentare la densità, con i relativi problemi che questo comporterà come è stato evidente a Firenze quando con la precedente amministrazione si sono autorizzati interventi di densificazione degli isolati con le conseguenti proteste dei comitati. Per non parlare della rendita che, cacciata dalle aree non urbanizzate, andrà a rimpolpare quella delle aree urbanizzate attualmente in calo.

Il dibattito sembra entrato nella parte sostanziosa, quella che riguarda il mercato, i possibili effetti sul settore edilizio, sulla densità edilizia e sulla rendita delle aree urbane, aspetti che erano stati messi in ombra dalla diatriba tra Regione e comuni riguardante l’accusa di accentramento. La parola passa ora al Consiglio regionale che dovrà approvare la proposta di legge.

* Ricercatore, Dipartimento di Architettura Università  di Firenze