Toscana

Legge sui «Piccoli Comuni»: Una «ciambella» per i municipi che non vogliono fondersi

Saranno 125 su 276 i municipi toscani interessati dalla cosiddetta legge Realacci, la nuova normativa sui piccoli comuni: i 123 sotto i 5.000 abitanti oltre a due (Pratovecchio Stia, in Casentino, e Crespina Lorenzana, in provincia di Pisa), frutto di fusione tra centri che precedentemente non raggiungevano tale soglia. Secondo il comma 2 dell’articolo 1 della legge recentemente approvata in via definitiva dal Senato, infatti, «per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti nonché i comuni istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti». Sono esclusi quindi i piccoli ex municipi che si sono accorpati con altri al di sopra di tale limite: è il caso per esempio – ma non l’unico – di San Giovanni d’Asso, fuso con Montalcino che superava di poco la fatidica quota di popolazione. Ma lo stesso comma 2 dell’articolo uno prevede poi le tipologie per le quali i suddetti comuni possono effettivamente beneficiare dei finanziamenti previsti: una lunga lista che a un primo sguardo sembrerebbe non lasciar fuori nessuno, ma è tutto da verificare con attenzione. Vedremo.

Comunque sia c’è da dire che la Toscana, quanto al numero di piccoli comuni presenti nel territorio, si colloca ben al di sotto del dato nazionale. Innanzitutto perché, rispetto al totale del Paese, è relativamente scarso il numero complessivo di municipi, se si pensa che due regioni territorialmente non troppo più grandi, Piemonte e Lombardia, ne contano oltre mille ciascuna. È una delle eredità positive del Granducato: non a caso, infatti, la maggior frammentazione si ha nelle terre appartenute a Lucca e mai passate sotto i Medici e i Lorena.

Conseguenza pressoché diretta è che i comuni toscani, mediamente più grandi dal punto di vista territoriale, siano anche più popolati: infatti la percentuale di quelli al di sotto dei 5.000 abitanti rispetto al totale si ferma al 44,57% contro il 69,78 a livello nazionale. Al di sotto ci sono solo l’Emilia Romagna con il 42,04% e la Puglia con il 33,33. Come corollario abbiamo poi il fatto che la popolazione interessata si riduce a una percentuale a una sola cifra: i toscani che vivono nei piccoli comuni (dati Istat 2017) sono infatti solo 295.773 su 3.742.437, pari al 7,90%, a fronte di un dato nazionale attestato al 16,51. Sotto troviamo in questo caso solo la Liguria (7,57) e ancora una volta la Puglia (5,43).

Naturalmente anche nella nostra regione le differenze tra una provincia e l’altra non mancano: i piccoli comuni sono infatti numericamente in maggioranza soprattutto a Grosseto (19 su 28) ma anche a Massa Carrara (11 su 17), nella già ricordata Lucca (18 su 33) e sia pur di pochissimo a Livorno (11 su 20) e a Siena (18 su 35). Viceversa, i municipi più popolati prevalgono soprattutto nella provincia di Prato (6 su 7), in quella di Firenze (oggi Città metropolitana; 34 su 42), e ancora a Pistoia (16 su 20), Pisa (21 su 37) e Arezzo (20 su 37).

Ma che conseguenze potrà avere la legge per i piccoli comuni sui prossimi progetti di fusione? Un’opportunità questa, lo ricordiamo, adeguatamente incentivata con contributi statali aggiuntivi ed esclusione dal patto di stabilità che, dal 2014 ad oggi, ha già portato la nostra regione a ridurre il numero dei propri municipi dagli originari 287 agli attuali 276, anche se altri 11 referendum hanno dato invece esito negativo.

Certamente la nuova normativa mette una pietra tombale sulle fusioni obbligatorie per i centri sotto i 5.000 abitanti, prospettate dal cosiddetto ddl Lodolini di fine 2015, che scatenò un vespaio di polemiche. Ma quelle volontarie? C’è chi ha già colto la palla al balzo affermando che con l’approvazione in via definitiva della legge Realacci non c’è più bisogno di procedere oltre con i processi di unificazione. È il caso, per esempio, dell’ex sindaco di Pergine Valdarno Massimo Palazzeschi, in prima fila per il «no» al referendum che domenica 29 ottobre vedrà i propri concittadini esprimersi, assieme agli elettori di Laterina, per un futuro comune unico (Laterina Pergine Valdarno) o il mantenimento dello status attuale.

E non saranno i soli: in quella stessa data, infatti, andranno sotto l’esame delle urne le proposte inerenti le fusioni tra Pieve Fosciana, Fosciandora e San Romano in Garfagnana per la costituzione del comune di Appennino in Garfagnana, Rio Marina e Rio nell’Elba per dar vita al comune di Rio, oltre ad alcuni centri del Casentino in un curioso gioco ad incastro. Le due proposte di fusione sul tavolo, infatti, comprendono entrambe il comune di Chiusi della Verna: la prima, di iniziativa popolare, prevede il suo accorpamento con Bibbiena e Ortignano Raggiolo per la costituzione del comune di Casentino La Verna, l’altra, promossa dai Consigli comunali interessati, lo vedrebbe assieme a Castel Focognano e Chitignano nel nuovo ente di Chiusi Verna Chitignano Castel Focognano: nome chilometrico che ci auguriamo venga adeguatamente ridotto, casomai ad aver successo fosse questa seconda ipotesi. Gli elettori di Chiusi della Verna, quindi, si troveranno nella scheda la possibilità di una triplice scelta: le due diverse ipotesi di accorpamento o il mantenimento dello stato attuale.

Certamente, se dai cinque referendum del 29 ottobre emergesse nel complesso un segnale di stop alle fusioni, si potrebbe anche concludere che la legge Realacci possa aver avuto un effetto nel mantenimento delle identità locali. Ma, lo ribadiamo, il problema per la Toscana sarebbe tutto sommato relativo: sono ben altre le regioni chiamate, con tutto il rispetto, a darsi una riordinata. Prova ne siano i 30 abitanti di Moncenisio, in provincia di Torino, o i 34 di Morterone, in quella di Lecco. Tantissimi condomini sono molto più affollati.