Opinioni & Commenti
Legge elettorale, ogni gruppo tira l’acqua al suo mulino
Le turbinose vicende della riforma della legge elettorale stanno arrivando, in questa settimana, ad un punto di svolta, dato che ne viene investita l’Aula del Senato e fermo restando che, se non verrà approvata sulla base di un accordo politico saldo, la Camera potrà anche solo in parte modificarla, vanificando ogni sforzo finalizzato alla conclusione dell’iter con un esito purchessia.
In questo quadro, ogni gruppo parlamentare sta continuando, come al solito da molti mesi a questa parte, a tirare l’acqua al proprio mulino, soddisfacendo il proprio interesse particolare, misurato sulla base di sondaggi (o di consultazioni primarie) in epoca ormai molto vicina alle elezioni politiche, con l’obiettivo di creare le condizioni vuoi per favorire anche nella prossima legislatura un governo di «grande coalizione», vuoi per congegnare un premio di maggioranza magari molto alto (tale da fare impallidire quella che fu, a suo tempo, definita la «legge truffa» del 1953) che non è detto che automaticamente si traduca in un premio di governabilità, e qui la variabile è data dalla sua misura e dall’attribuzione ad un partito ovvero ad una coalizione.
Ora, non vi è dubbio che la legge elettorale attualmente vigente ha portato all’elezione di un Parlamento sostanzialmente composto da «cooptati» ed ha fatto definitivamente esplodere il problema della selezione della classe politica, senza di per sé risolvere il problema della governabilità, ed, anzi, alimentando l’allontanamento tra cittadini ed istituzioni. Tuttavia, fin qui il passare del tempo ha dato pochi frutti; anche perché, se la legge elettorale è una legge che definisce le regole del gioco e, dunque, richiede l’adesione per lo meno della stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari, risulta chiaro, invece, che in questo periodo spiri tutto fuorché uno spirito «costituente»; anzi, sembra sempre più evidentemente in corso la lunga gara a chi rimane con in mano il cerino acceso della responsabilità della mancata approvazione di una nuova legge elettorale.
A questo punto, anche il «velo dell’ignoranza» dei presunti risultati elettorali viene sempre più a dissiparsi sotto la pressione dei vari sondaggi, più o meno pubblici e scientificamente fondati, a partire proprio dai quali le singole forze politiche vanno definendo il loro orientamento in merito; il fatto, poi, che alcune consultazioni primarie si svolgano prima che la nuova legge elettorale sia stata approvata confonde ancor più le acque, portando ad un percorso decisionale estremamente disordinato e confuso, in cui ogni assunzione di orientamento corre il pericolo di indebite interferenze, di essere, cioè, impropriamente influenzata dal tumultuoso avanzare degli eventi. In questo quadro, mentre, secondo un’elementare regola di buon senso, ribadita a più riprese dagli studiosi e dall’opinione pubblica, è strettamente opportuno modificare la legge elettorale non nell’imminenza delle elezioni, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha pronunciato poche settimane fa una sentenza di condanna della Bulgaria, in cui ha sancito il principio (valido per tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, compresa l’Italia) per cui, a tutela del diritto dei cittadini a libere elezioni, l’adozione di modifiche sostanziali alla legge elettorale non è consentita nell’anno precedente lo svolgimento delle elezioni stesse. Ciò in quanto la stabilità del diritto è un elemento importante per la credibilità di un processo elettorale, ed è essa stessa essenziale al consolidamento della democrazia. Infatti se le norme cambiano spesso, l’elettore può essere disorientato e non capirle, specialmente se presentano un carattere complesso, «a tal punto che potrebbe – dice la Corte – a torto o a ragione, pensare, che il diritto elettorale sia uno strumento che coloro che esercitano il potere manovrano a proprio favore».
Sicché la nostra «illuminata» classe parlamentare ha portato il Paese a dover scegliere se tenersi una legge da tutti gli schieramenti politici ufficialmente ripudiata – salvo praticarne nelle forme più bieche i margini di scelta per selezionare una classe parlamentare composta in misura ampiamente dominante da yesmen o yeswomen – oppure chiamarsi addosso una condanna per violazione della normativa europea sui diritti dell’uomo da parte della Corte europea – che arriverebbe fra qualche anno – o magari dalla Corte costituzionale, in applicazione del principio della tutela massima accordata ai diritti fondamentali, di cui fanno parte i diritti politici.
C’è da scommettere che qualcuno brandirà anche questo argomento per giustificare la mancata approvazione di una nuova legge elettorale, ma, proprio per questo, è doveroso svelare in anticipo questo ennesimo furbesco giochetto, proprio perché la Corte è arrivata buon’ultima a dare forma di principio giurisprudenziale a riflessioni fondate e motivate pubblicamente da molto tempo. Altro che condanna dell’antipolitica!: non è assolutamente così che una classe politica degna di questo nome deve intervenire. Ed è proprio ai parlamentari attualmente in carica che va addebitata la responsabilità politica di questo ennesimo cul de sac in cui hanno fatto precipitare il Paese. Un ricambio imponente di una siffatta classe dirigente, accompagnato da molta attenzione nella selezione del futuro personale parlamentare, sarà, più che utile, dovuto. Se si vuole restituire una Speranza all’Italia, bisogna partire da quel tasso di astensionismo elettorale che tutte le rilevazioni indicano sfiorare la metà del corpo elettorale. È il tempo della credibilità di una nuova – ma davvero, non nell’apparenza anche anagrafica – classe politica e della fioritura di una nuova stagione della politica e delle istituzioni italiane. Anche sull’esercizio di questa responsabilità e di un comprovato spirito di servizio, qui ed ora, deve caso mai riconoscersi la forza dell’ispirazione cristiana, che troppi sbandierano in troppe direzioni, fuorché in quella giusta: in alto!