Da Corleone in Sicilia, un paese che sorge in mezzo al nulla (o quasi) patria di santi, boss mafiosi ed eroi come Placido Rizzotto, alle terre di Gioiosa Ionica in Calabria, nel mezzo della calda Locride, coltivate dal Consorzio Goel. Nel mezzo Pentedattilo, borgo abbandonato sempre in provincia di Reggio Calabria che sorge su una roccia assolata a forma di cinque dita, due chilometri di tornanti al di sopra del mare azzurrissimo di Melito Porto Salvo. Sono solo alcuni dei campi di lavoro confiscati alla mafia, alla potente ndrangheta d! ove ogni estate, da quattro anni, lavorano centinaia di giovani toscani. E sono i luoghi visitati in tre giorni dal vice presidente della giunta regionale toscana Federico Gelli, che da quattro anni sostiene il lavoro di queste cooperative sociali coordinate dall’Arci, da Libera di Don Ciotti e da altre associazioni. Quella toscana è un’esperienza quasi unica in Italia. I posti quasi non bastano a coprire le richieste. E già questo la dice lunga sul successo di un’iniziativa che non ha neppure troppo bisogno della pubblicità per promuoversi: basta a volte il tam tam dei ragazzi. Da maggio a novembre anche quest’anno saranno infatti più di quattrocento giovani volontari toscani in campo’ per la legalità, giovani tra i 16 e i 30 anni, ragazzi ma soprattutto ragazze, 290 in Sicilia, 115 in Calabria e altri 45 in Puglia, sparsi in 23 campi diversi. Quattro anni fa arrivavano soprattutto da Firenze. Oggi l’esperienza coinvolge tutta la regione: 53 i c! omuni e otto le province da cui quest’anno sono partiti. A parte Massa Carrara e Lucca c’è proprio tutta la Toscana. Ragazzi di mondi e culture diverse, a volte già impegnati nel volontariato ma anche alla prima esperienza. Ragazzi che fanno attività nelle case del popolo e nelle parrocchie, da qualche anno anche gruppi dell’Agesci, l’associazione degli scout cattolici. Ragazzi che pagano dieci euro al giorno per sporcarsi’ le mani di terra. Ragazzi che per una settimana o quindici giorni volentieri prestano le loro braccia per dissodare i campi e dunque offrono un aiuto concreto con manodopera che si aggiunge a quella dei lavoratori delle cooperative del posto, giovani a volte svantaggiati reinseriti in attività lavorativa. Ragazzi che vogliono capire, che al mattino lavorano nei campi e la sera fanno magari animazione. Ragazzi che con il loro impegno permettono di tenere un riflettore sempre acceso e rompere l’isolamento di una terra su cui, a volte con fatica, si sta riaffacciando la speranza. Ragazzi che in questo modo potranno dotarsi dei migliori anticorpi di fronte ad infiltrazioni criminali che, ricorda il vicepresidente Gelli, «non riguardano solo la lontana Sicilia e Calabria, ma anche la Toscana, dove una trentina sono stati i beni confiscati alle mafie in questi ultimi anni». Questi ragazzi coltivano pomodori e peperoni, melanzane e zucchine, uva e alberi da frutto, a seconda del posto. Ogni campo ha la sua vocazione. Negli occhi gli legge la stanchezza fisica, ma anche tanta soddisfazione. Ci si alza la mattina presto: ore ed ore con la schiena curva, a strappare erbacce, riempire cassette o ad accudire le piante. Nel primo pomeriggio ci si riposa. Poi iniziano gli incontri o le visite ai luoghi della memoria: in Sicilia quest’anno l’Arci ha voluto dedicare i campi a Giuseppe Fava e a Peppino Impastato, giornalisti che hanno combattuto la mafia e che per questo sono morti. E alla sera sempre quest i ragazzi sono spesso protagonisti di attività di animazione nei paesi che li ospitano. In piazza o in luoghi simbolo, come può essere a Corleone in Sicilia una palazzina di tre piani confiscata alla famiglia Riina o un appartamento che era di Provenzano, dove i ragazzi anche dormono. Immobili messi a disposizione dal Comune, rispettivamente da un anno e da sette mesi.