Vita Chiesa

L’educatore di Ac, «umile servitore dello Spirito»

di Anna Maria CatarsiPresidente diocesanadell’Azione cattolica di PisaDomenica 19 febbraio l’Azione Cattolica regionale ha vissuto una giornata intensa, dedicata allo studio e alla riflessione sulla responsabilità vissuta in forma associata. Le presidenze delle associazioni diocesane, confluite presso l’istituto San Gregorio di Firenze, hanno messo a tema la formazione dei responsabili, impegno sempre presente, come uno dei cardini dell’attività dell’Ac.

La giornata è stata aperta dalla Celebrazione Eucaristica, presieduta dal vescovo ausiliario di Firenze. Nella sua omelia, mons. Maniago, prendendo spunto dal Vangelo di Marco che narra l’episodio del paralitico, ha invitato ad interrogarsi sul ruolo che nell’episodio hanno coloro che portano il malato. Sono uomini determinati e certi che Gesù saprà operare il miracolo della guarigione, e come tali non tralasciano nessuna azione pur di raggiungere il loro scopo. Li spinge una fede che nel loro cuore è certezza. Una riflessione che porta a guardare al nostro agire e questo ci rimanda a verificare la nostra fede-fiducia che è il Signore Gesù ad operare il miracolo.

I lavori sono poi stati introdotti da don Claudio Nora, assistente nazionale dell’Acr. Partendo dal Progetto formativo, il «libro» dell’AC, don Claudio ha posto alcune attenzioni. Innanzitutto ha messo a fuoco con brevi, ma incisi tratti, la figura dell’educatore. È colui che si allena a riconoscere in sé e negli altri l’azione del Signore, che si mette nella condizione di umile servitore dello Spirito per «discernere», per far emergere in sé e negli altri i tratti di una vocazione che dica ed esprima la chiamata del Signore, la sua Volontà, certo che essa è via piena per sé e per gli altri.

Un educatore attinge, anzi entra strettamente in sintonia, ha familiarità con la Parola di Dio e la sua attenzione educativa è rivolta al coinvolgimento di altri per un discernimento che, nel momento in cui diventa comunitario, ha i tratti della condivisione.

Certo che l’educatore deve anche avere delle competenze in ordine a tecniche comunicative, a capacità culturali sopratutto nel senso di saper cogliere il segno dei tempi, senza averne timore, ma guardando in positivo, cercando in continuazione di fare il gioco di squadra, soprattutto deve avere competenze per quanto riguarda metodi e scelte associative a partire dal Progetto Formativo stesso. Deve saper tradurre questo in una relazione sapienziale con quelle che sono le singole realtà diocesane sia ecclesiali che sociali in senso più lato. Ogni azione educativa deve essere calata nella propria diocesi, deve partire da lei, dalla lettura dei bisogni e delle risorse ed a lei tornare in termini di progettualità e di azione educativa. Nella tarda mattinata, l’assemblea rinfrancata dalle parole di don Claudio, si è ritrovata a gruppi, per settori, ha riflettuto sull’introduzione e ha scambiato esperienze. Si è messo in risalto la necessità di una formazione dell’educatore che sia permanente. Certo uno sforzo formativo del genere presuppone l’attivazione di sinergie che attraversano tutti i livelli associativi, incrociando in primis, quello regionale e quello nazionale. Diverso è parlare di capacità, altro è parlare di competenze. Le capacità possono in parte essere dono ricevuto, le competenze si acquisiscono e potenziano le capacità o ne attivano di nascoste. Fidarsi delle proprie capacità personali spesso fuorvia rendendoci spesso autoreferenziali e quindi alla fine incapaci di incrociare l’altro.

Nel pomeriggio i membri del consiglio si sono trovati per gruppi in modo unitario e, sulla base di uno schema predisposto, hanno affrontato il tema della formazione dei responsabili.

Colui che si trova a vivere un ruolo di responsabilità associativa a qualsiasi livello sia vissuto è chiamato ad essere capace di ascolto, di verifica e di coordinazione dei gruppi.

L’ascolto è azione da vivere a tutto tondo: all’interno dell’associazione, verso la realtà ecclesiale come verso il territorio in cui opera del quale deve conoscere risorse e povertà, attento al dialogo con il mondo civile, nei confronti del quale cerca di porsi riconoscendo ad esso la caratteristica di luogo comune, da abitare senza timidezze in quanto cittadini, ma anche con il necessario rispetto verso altre sensibilità o opinioni.

La familiarità con la verifica di ciò che si fa è elemento da ricercare, condurre i gruppi o l’associazione verso l’abitudine a questa azione è necessario per non perdere di vista gli obbiettivi e cadere in un generico darsi da fare. L’operare, l’organizzare, poi deve essere non settoriale, ma finalizzato ad operare sinergie. Possono esserci strumenti diversi da usare a seconda dell’età, ma l’obbiettivo delle relazione «buona» deve essere prima di tutto ricercato in associazione, anche nel dialogo, direi ancora meglio nelle prossimità tra generazioni ed età diverse.

Il livello del dibattito e della comunicazione nei gruppi sia della mattina che del pomeriggio è stato alto, perchè l’AC sente forte il tema della formazione umana e cristiana, che è poi anche associativa, come momento cardine del senso stesso di esistere e di essere AC.

L’assistente nazionale di ACR ha, poi ripreso le molte sollecitazioni venute dalla riflessione comune focalizzando alcuni punti: la differenza tra educatore ed animatore, l’importanza della vita associativa, vista come formativa di per sé, il problema dei giovani e i giovanissimi da immettere con attenzione in ruoli educativi, l’esigenza di elaborare un quadro di riferimento che definisca le caratteristiche che deve avere l’animatore, il laboratorio come metodologia attiva e trasversale.

L’assemblea è stata in ultimo chiamata ad approvare il Regolamento Regionale. Vi è stato un dibattito e la presentazione di alcuni emendamenti tendenti a rendere sempre più democratica la vita associativa. In chiusura l’assemblea ha approvato all’unanimità il documento regionale.