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L’edilizia al collasso: meno 20% in provincia.

L’edilizia è vicino al collasso. Uno dei settori trainanti dell’economia arranca sotto il peso della crisi. Oggi come un anno fa e forse di più. Questo è lo scenario prospettato nel primo anniversario degli Stati generali delle costruzioni, dalle quindici sigle nazionali promotrici dell’iniziativa: Ance, Filca Cisl, Feneal Uil, Fillea Cgil, Cna costruzioni, Confartigianato ed altre. «Siamo di fronte ad una crisi che non ha precedenti – afferma Gilberto Pittarello, segretario generale della Filca di Arezzo e responsabile degli edili per la Cisl –. Una crisi che complessivamente, in tutto il territorio nazionale, è costata il posto di lavoro a 210mila persone, con 9mila imprese sospese o scomparse. Non va meglio nella nostra provincia che, con una perdita di attività pari a circa il 20%, conferma di essere uno tra i territori della Toscana più in difficoltà». Gli investimenti in costruzioni nel nostro Paese sono calati del 18%. Tradotto in quattrini, significa 29 miliardi di euro di mancata produzione, cifre da manovra finanziaria. I bandi di gara dei lavori pubblici sono crollati di circa il 55%, mentre l’importo dei lavori messo a gara è diminuito del 24%. Cifre che si ripercuotono anche sulla filiera del lavoro edile, nei settori del legno, lapidei e cemento. «È una situazione che pone sicuramente anche problemi di legalità. Mai come ora è necessario tutelare i lavoratori e premiare le imprese serie. Chi evade il fisco – ribadisce Pittarello – non rispetta la sicurezza e i contratti e quasi sicuramente risparmia anche sulla qualità della costruzione. È necessario modificare le regole del patto di stabilità interno, mentre le amministrazioni pubbliche non devono ritardare il pagamento alle imprese per i lavori svolti». Durante i vari interventi è stata evidenziata l’urgenza dell’equiparazione delle modalità del trattamento della cassa integrazione degli edili a quello dell’industria. Infine la parificazione delle aliquote contributive per il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo. «Il 40% delle imprese a partita Iva – conclude Pittarello – è costituito da migranti. Ma non c’è nulla di cui dobbiamo essere felici perché si tratta spesso di lavoratori subordinati costretti a diventare falsi autonomi sotto il ricatto dei datori di lavoro, che in questo modo risparmiano sui contributi».