Opinioni & Commenti

Le torture in Iraq: il cerchio cinico

di Franco VaccariAvevamo cominciato… dunque, avevamo cominciato…, ma quando avevamo cominciato a contare gli orrori? Quella foto…di quando era? di dove era? era forse dell’Afghanistan? Ma quale Afghanistan? L’invasione dei russi o l’arrivo dei talebani o quello degli americani? Ah! no, qui è più facile: sono neri di pelle, si riconoscono… beh! piano, mica tanto! Anche l’Africa… quanto è grande l’Africa…! ecco, qui sono finalmente riconoscibili: siamo nel Tibet! E un po’ più a est…guarda: ritorna quella nuda bambina del Vietnam che corre piangendo bruciata dal napalm, mentre nessuno la prende, ma qualcuno la riprende…

Una carneficina. Di urlo in urlo il latrato umano ininterrotto giunge quotidianamente alle nostre orecchie e forgia le nostre coscienze. Ma come?

Alla sera ci sono uomini e donne che tirano le somme della giornata, ma attardarsi in questo oceano scuro, denso di forze ignote e mostruose, non consente al sonno di fare il suo mestiere. Le immagini di sangue del giorno popolano la notte di quei tipici sogni catastrofici in cui nessuna azione può essere compiuta e l’Io è travolto da un mondo ostile. Il Vaso di Pandora si è rotto e tutti i germi delle peggiori malattie infettano il giorno e la notte. Le foto delle torture in Iraq e quelle ancora preannunciate – con un nuovo e sopraffino stile della trasparenza dell’informazione – saranno le ultime tossine contagiose? Perché dovrebbero esserlo?

Angoscia. Forse non detta, ma dissimulata: nel maggio degli studenti, troppo stanchi per fare uno sciopero – sono bastate le annoiate autogestioni dell’inverno – oppure nelle strategie comunicative rassicuranti: «tranquilli: il male è inevitabile, episodi di tortura sono nel conto, vedete piuttosto che tutto viene alla luce del sole?!».

Apprezzabile: anche in Scozia, quando aumentò la tassa sul whisky e vedendo il forte calo delle vendite, i pubblicitari rovesciarono il mercato con lo slogan: “bere un buon whisky oggi non tutti possono permetterselo. E tu?”. Fughe.Chi si trova nel teatro della guerra, chi vi è fisicamente e vi agisce, non è poi così lontano da queste dinamiche: in quella strettoia psichica e morale nulla regge, i delicati equilibri della vita si pervertono, i mezzi di difesa dall’angoscia saltano e la razionalità si mette a disposizione dell’allucinazione. Nulla serve. La situazione psichica della guerra è una macina per la mente: ne escono polvere e cenere. È la nevrosi traumatica di guerra: dalla paralisi del comportamento alla tortura.

Non vogliamo aggiungere altra indignazione. Lo scandalo è assai prima e l’interesse è, oggi, trasformare il trauma in sussulto della mente e dell’anima. Angoscia, paralisi, fuga, sorgono nelle vie delle città con parole differenti eppure uguali: «muoiano quelli!», «muoiano questi!», «muoiano tutti!»… «affari loro!». Il cinismo trova sostenitori impensati e si chiude in un cerchio di irrealistica sopravvivenza. Noi diciamo invece: «affari nostri». Anche nel Vaso di Pandora il mito lasciava, nel fondo, la speranza: i mali erano finiti e forse si poteva ricominciare. La speranza, dunque, operosa, responsabile, propositiva: non l’illusione. Pensare che tutto finisca da sé, che ciascuno di noi possa pensarsi fuori dalla mischia mondiale è l’illusione della fuga. Costruire una nuova offensiva di pace con gesti e percorsi concreti è la strada della speranza.

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