Lettere in redazione

Le pensioni d’oro dei parlamentari

Il settimanale «L’Espresso» del 3 febbraio scorso dedica diverse pagine al vitalizio di cui godono ex-parlamentari. Vi sono riportati nomi e cognomi di personaggi e le relative pensioni, più o meno d’oro, che intascano mensilmente.

Pensioni da tre a dieci mila euro pagate a migliaia di persone (a cui vanno aggiunte quelle di reversibilità) per le quali apposite leggi consentono la maturazione del «diritto» dopo soltanto cinque anni di contribuzione, che poi si riducono a due con particolari accorgimenti.Bene ha fatto l’autore di quell’articolo a informare i cittadini di quanto avviene nel «palazzo» del potere, perché ognuno tragga le proprie conclusioni. Io, che sono andato in pensione dopo trentasei anni di lavoro, mi domando come possano esistere certe storture in un paese che si definisce democratico. Il nostro sistema pensionistico, per molteplici motivi, è in crisi e giustamente in questi giorni si sta discutendo, facendo proposte per assicurare ai giovani, quando andranno in pensione, un trattamento decente, anche se non scevro da sacrifici e rinunce. Si parla di sacrifici ma intanto «lor signori» non ne fanno e tutti d’accordo, senza distinzione di colore, si aggiustano stipendi e pensioni. Non è questo il modo di agire. Al cittadino non rimane che protestare, ma è impotente. Perché «loro» se la cantano e se la suonano. Questa è l’Italia che non vorrei.Lettera firmataCastelnuovo Val di Cecina (Pi) Condivido la sua indignazione. Qui non si tratta di fare della facile demagogia. È giusto che l’eletto abbia delle solide garanzie, anche economiche, per l’espletamento del suo mandato. Ma quelle denunciate sono palesi ingiustizie nei confronti del Paese. Agli onorevoli la pensione non viene calcolata con il sistema «contributivo», come si sta imponendo a tutti gli altri lavoratori, sulla base cioè di quanto effettivamente versato. Con un solo mandato (che si riduce a 2 anni, 6 mesi e un giorno in caso di scioglimento anticipato delle Camere) si ha diritto ad un consistente vitalizio (3.108 euro al mese), cumulabile con qualsiasi altro reddito, e garantito nella sua rivalutazione dall’aggancio automatico allo stipendio degli onorevoli. E se formalmente, dopo le riforme varate negli ultimi anni, per andare in pensione ci vogliono 60 anni alla Camera e 65 al Senato, di fatto tra deroghe per chi è stato eletto prima delle riforme e riduzione dell’età pensionabile in base agli anni di mandato, non sono rari i casi di maxipensioni erogate a persone ancora giovani e nel pieno delle attività lavorative. Emblematico è il caso del 51enne sindaco di Roma, Walter Veltroni, che riceve ogni mese, come ex-parlamentare, 9 mila euro lordi, cumulabili ad altri redditi. Veltroni – a dire il vero – si è detto imbarazzato da tanta generosità dello Stato e ha chiesto di rinunciarvi, cosa però non possibile. La Camera eroga 2.005 pensioni per una spesa di 127 milioni di euro l’anno e il Senato 1.297 per 59 milioni 887 mila euro. Come si vede non è un problema di conti dello Stato, perché alla fine le somme in gioco sono modeste (ma sommate ad altri costi della politica sono comunque ragguardevoli). È però un problema di equità e di credibilità politica.Claudio Turrini

L’inchiesta dell’Espresso