Prato

Le nove lingue che «colorano» le messe di Prato

di Fabio BarniPaese che vai usanze che trovi. Quasi impercettibili o evidenti che siano, differenze se ne trovano girando fra le chiese pratesi. C’è chi proviene dall’Africa e preferisce una messa più allegra e cantata e chi, arrivato dalla Romania, non può rinunciare d’un colpo alla sobrietà e all’intensità di una celebrazione che risente dell’influsso delle tradizioni orientali. E poi, di Paese in Paese, ci sono le comunità albanese, singalese, polacca, ucraina e addirittura cinese e pakistana. Tutte presenze stabili e numerose a Prato, nelle quali convivono anime diverse. Comprese quelle dei cattolici che spesso, per non dire nella maggior parte dei casi, preferiscono partecipare a una messa nella loro lingua anziché a quella, nelle rispettive parrocchie, in italiano.

La diocesi lo sa e si è attrezzata. L’impegno viene del resto da lontano. «La nostra Chiesa – spiega mons. Santino Brunetti, vicario episcopale per gli immigrati – da ormai venti anni è impegnata sul fronte della carità agli immigrati, ma non può tralasciare l’annuncio del Vangelo e la cura pastorale. L’organizzazione di cappellanie per gli stranieri, voluta dal Vescovo Simoni – continua Brunetti – ha due motivi profondi: il rispetto per la cultura e le tradizioni degli immigrati e, dall’altro, l’offerta di una cura pastorale che tenga conto delle reali esigenze spirituali ed umane». Per don Petre Tamas, infatti, coordinatore delle cappellanie, «bisogna considerare che ci sono immigrati che vogliono restare a Prato e che quindi possono gradualmente inserirsi nelle comunità parrocchiali, ma ci sono anche molti stranieri che rientreranno presto in patria: per loro, in particolare, poter offrire celebrazioni nella propria lingua è indispensabile per tenere viva la fede». Ma c’è anche un altro motivo, altrettanto importante: «Le celebrazioni eucaristiche in lingua – spiega don Santino – costituiscono un’occasione preziosa, talora unica, di incontro e di socializzazione tra connazionali: c’è chi, come le badanti per esempio, terminato il duro lavoro con gli anziani, non sa dove andare e cosa fare del poco tempo libero a disposizione, con tutti i rischi del caso».

Da qualche anno, ormai, la pastorale rivolta ai migranti «colora» la domenica pomeriggio. dopo pranzo, dalle 15 in poi con orari differenti da comunità a comunità, che le messe domenicali in lingua straniera (che poi è la lingua madre di tanti nuovi residenti della diocesi) si svolgono in parti diverse della città. A celebrare, troviamo sacerdoti che arrivano dalle stesse realtà d’origine degli immigrati che in loro trovano un punto di riferimento, non soltanto per i bisogni dello spirito.Spazi e tempi a disposizione delle comunità straniere si trovano, per esempio, in San Domenico. Anche alcune chiese parrocchiali dell’immediata periferia sono coinvolte. È il caso dell’Ascensione, al Pino, dove «risiedono» i fedeli cinesi. Amano ritrovarsi prima e dopo la messa, per una domenica pomeriggio che, in tutto, può durare anche tre o quattro ore. È anche il caso di Sant’Antonio a Reggiana che, pur con una frequenza minore, si apre alla messa degli albanesi.Un sacerdote connazionale a disposizione, che spesso è anche titolare di una parrocchia della diocesi, per le comunità straniere si traduce in due opportunità: non tagliare i legami con la terra e la cultura d’origine; facilitare l’integrazione e il confronto con la comunità che le accoglie.

(dal numero 26 dell’8 luglio 2007)