Vita Chiesa

Le indicazioni dei vescovi per usare bene i mass media

div class=firma>di Riccardo BigiUna Chiesa che impara ad usare bene i mezzi di comunicazione. A questo mira il nuovo direttorio su «Comunicazione e missione» che i Vescovi italiani hanno discusso durante l’ultima assemblea della Cei. Un documento che, secondo il vescovo di Volterra Mansueto Bianchi, delegato della Conferenza episcopale toscana per le comunicazioni sociali, «affronta in maniera chiara e decisa un tema, quello della comunicazione, che è fondamentale per capire la società di oggi e che la Chiesa non può trascurare»

Monsignor Bianchi, a che punto è la stesura del documento?

«Il Direttorio è stato approvato, salvo un aspetto normativo conclusivo che riguarda la partecipazione di sacerdoti alle trasmissioni televisive: nel momento in cui vanno in tv, i preti espongono non solo se stessi ma tutta la Chiesa, per cui è bene che ci siano norme precise che regolamentano la loro presenza. L’impressione è che a volte preti e vescovi siano in qualche modo strumentalizzati: meglio sarebbe lasciare questo compito a laici competenti e preparati, visto che la testimonianza cristiana nel mondo è il loro ruolo specifico».

Quali sono le novità del Direttorio?

«La vera novità di questo documento è quella di rivolgersi al mondo della comunicazione come a un ambito essenziale della dimensione missionaria della Chiesa. Si dice in maniera chiara che, per evangelizzare, la Chiesa deve imparare a comunicare il Vangelo agli uomini e alle donne di oggi. Il titolo dell’ultima nota pastorale, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, in qualche modo anticipava già questo concetto: era un titolo con molti richiami biblici e teologici, ma anche con un chiaro riferimento al tema della comunicazione».

Si tratta quindi di dar vita a un’evangelizzazione che, entrando nel campo dei mass media, della comunicazione, della cultura, cerca di incidere in maniera maggiore nella vita delle persone…

«Tutti sappiamo quanto i mezzi di comunicazione pesino nel formare le coscienze delle persone. Per evangelizzare, per avere una presenza significativa e incisiva, la comunità ecclesiale deve comprendere e dialogare con la nuova cultura generata dai media. Il mondo dei mezzi di comunicazione è divenuto l’ambiente in cui l’uomo d’oggi vive, si informa, si esprime. Di questo dobbiamo essere consapevoli, e tenerne conto nella nostra missione evangelizzatrice»

Il Direttorio presenta anche una nuova figura, quella dell’«animatore della cultura e della comunicazione». Qualcuno teme che si chieda alle parrocchie di individuare persone a cui affibbiare un nuovo incarico. Sarà così?

«I parroci possono stare tranquilli, non si tratta di questo, ma di creare nelle comunità cristiane una sensibilità per i temi della comunicazione: il succo, direi, è che le parrocchie devono imparare a comunicare, utilizzando bene gli strumenti di comunicazione sempre più perfezionati che la tecnologia oggi mette a disposizione. In questo senso, si chiede a persone particolarmente interessate o competenti di farsi carico di far crescere questa attenzione, questa sensibilità».

Da un lato quindi la Chiesa che deve diventare «estroversa», per usare l’aggettivo che fu coniato al Convegno di Palermo; dall’altro, la necessità per i cristiani di farsi attenti della comunicazione che si riceve, di farsi critici e responsabili nell’uso dei mass media.

«Questo è un altro punto importante: essendo strumenti potenti, i mezzi di comunicazione presentano anche rischi. Non dobbiamo demonizzarli, ma imparare a maneggiarli in maniera accorta e avveduta, dobbiamo essere esigenti nei confronti di ciò che leggiamo, vediamo, ascoltiamo».

Una domanda che ricorre spesso: non rischia, la Chiesa, di essere arrivata in ritardo su questi temi?

«Sì e no. No perché il Direttorio che arriverà fra poche settimane non è una voce che cade nel silenzio: la Chiesa ha riflettuto spesso su questi temi, il primo documento che affronta in maniera diretta il valore e il peso dei mass media è l’Inter mirifica, che risale a quarant’anni fa. E poi ci sono stati altri documenti e iniziative. Ma in un certo senso devo rispondere anche di sì, perché la Chiesa ha fatto un po’ fatica ad appropriarsi dei linguaggi della comunicazione. È un mondo di cui giustamente si mettono in luce i rischi e i pericoli, ma dal quale non possiamo restare fuori».

Forse c’è stato in passato un eccesso di paura, di diffidenza…

«Se guardiamo alla storia della comunità ecclesiale, in realtà non è così: ci sono giornali, settimanali, cinema parrocchiali… C’è stato un momento in cui c’è stato un grande impulso, da parte della Chiesa, a impegnarsi nel campo della comunicazione».

A un certo punto però i cristiani sono stati travolti, superati da uno sviluppo della comunicazione che viaggiava sempre più veloce…

«Ecco, a questo posso dire di sì: c’è stato un’evoluzione del fenomeno dei mass media, e la Chiesa forse non è riuscita a tenere il passo».

In molti (genitori, catechisti soprattutto) attendono questo direttorio con sollievo: loro per primi si rendono conto di quanto l’impegno delle parrocchie finisca spesso per scontarsi con la presenza invasiva dei mass media, che rischia di vanificare gli sforzi facendo passare nei ragazzi messaggi, valori, modelli di tipo ben diverso.

«Non c’è dubbio che il problema sia sentito. Questo però non ci deve porre in una condizione di contrapposizione con i mass media: dobbiamo piuttosto imparare a interagire con la cultura mediale. La relazione personale, il contatto diretto con le persone, è una prerogativa alla quale non dobbiamo rinunciare: dobbiamo ricordare però che anche questa relazione si svolge all’interno di una cultura che è profondamente influenzata dalla presenza dei mezzi di comunicazione».

Questo documento si interseca con l’altro tema affrontato dai vescovi durante l’assemblea, quello della parrocchia: anche a questo argomento è dedicato un documento…

«Anche il testo sulla parrocchia è stato approvato, anche se con alcuni piccoli ritocchi, e sarà reso pubblico a breve. Posso dire che questa volta siamo di fronte a due documenti che mi piacciono molto, tutti e due coraggiosi, senza senza essere spavaldi: tracciano linee chiare, senza perdersi in equilibrismi. Con il documento sulla parrocchia, viene ribadita l’importanza di questa presenza della Chiesa sul territorio, ma anche la necessità di uscire dai confini consueti, di raggiungere spazi e ambiti dai quali oggi la comunità cristiana è assente».

Si può dire, in un certo senso, che i vescovi indicano due strade su cui la Chiesa deve camminare per essere missionaria, per evangelizzare: la presenza sul territorio, rimarcata dalla parrocchia, e l’attenzione al mondo della comunicazione?

«Si tratta senz’altro di due documenti profondamente collegati, che nascono da una stessa ottica di fondo, che è quella della dimensione missionaria della comunità ecclesiale. Il direttorio sulla comunicazione, si può dire, è un’estensione del documento sulla parrocchia: anch’esso si rivolge alla vita della comunità cristiana, cogliendone un aspetto particolare che è quello della comunicazione».

Il prossimo convegno ecclesiale nazionale, che sarà a Verona nel 2006, raccoglierà i frutti di questo lavoro di riflessione…

«Sarà il culmine di un cammino che mi sembra davvero significativo. Ho l’impressione che stavolta si sia toccato un tasto, quello della parrocchia, che era il tasto giusto, e a questo tasto la chiesa sta rispondendo ottimamente. Basta guardare alla fioritura di testi, saggi, riflessioni tutti di altissimo livello usciti in questi mesi sulla parrocchia. Lo stesso vale per la comunicazione: molti forse sentivano il bisogno che i vescovi si pronunciassero, dopo che il tema era stato affrontato più volte a tanti livelli. Il segno di questo interesse si era già avuto con il convegno delle Parabole Mediatiche del 2002 a Roma, che ebbe una partecipazione mirabile».