Opinioni & Commenti
Le donne icona delle vittime di una violenza che distrugge le relazioni e persino la vita
di Adriano Fabris
In questi giorni abbiamo letto e visto molte, troppe notizie di casi di violenza sulle persone. Si tratta di una violenza che pare essere in aumento e che sembra diretta a chi versa in condizioni di disagio e di debolezza. Pensiamo ai ricorrenti abusi nei confronti dei bambini. Pensiamo alla violenza esercitata nell’ambito ristretto, e all’apparenza sicuro, della famiglia. Pensiamo a ciò che, per stupido scherzo o per noia, viene fatto subire a poveri e barboni. Pensiamo alla violenza rivolta alle donne: a donne che non vedono riconosciuti, per motivi culturali o sociali, i propri diritti.
Delle donne, certamente, dovremmo soprattutto occuparci nella ricorrenza dell’8 marzo. Ma io vorrei fare qualcosa di diverso: vorrei trasformare queste donne, queste donne non tutelate, nell’icona di tutte le vittime innocenti di una violenza che oggi risulta sempre più insensata. E che, nonostante ciò, è qualcosa a cui sembra siamo ormai abituati.
Questi sono infatti i due caratteri che maggiormente ci colpiscono, oggi. Il fatto che la violenza, molto spesso, appare senza senso; il fatto che nei suoi confronti c’è, sovente, assuefazione. Almeno fino a che sono gli altri a esserne toccati.
Certo. Molte spiegazioni vengono offerte riguardo a ciò che sta accadendo. E tutte hanno almeno un pizzico di ragione. Si cercano e si trovano i colpevoli: giovani annoiati, immigrati extracomunitari (magari di una certa nazionalità), persone gravemente provate dalla crisi economica. E si prendono provvedimenti per individuare specifiche responsabilità e per porvi rimedio con soluzioni che hanno, sovente, più impatto mediatico che reale efficacia. Ottenendo quanto meno il risultato di tranquillizzare, almeno per un poco, l’opinione pubblica.
Ma il punto non è questo. Il punto è che oggi, molto spesso, la violenza sembra aver perso il suo reale spessore. È qualcosa che la nostra sensibilità può avvertire, in molti casi, solo come una rappresentazione virtuale: qualcosa, quindi, che possiamo anche non prendere sul serio. Nei confronti della violenza siamo diventati indifferenti. Almeno finché ne siamo spettatori e la vediamo subita dagli altri. Da tutti gli altri, senza distinzioni: innocenti o colpevoli, famigliari o estranei, italiani o stranieri. Tanto, appunto, si tratta solo di un ingrediente in più della nostra società dello spettacolo.
In occasione dell’8 marzo, allora, di fronte alla violenza esercitata nei confronti delle donne, presa come simbolo di una violenza rivolta a tutti coloro che possono essere percepiti come diversi, dobbiamo soprattutto sottolineare il carattere reale, dirompente della violenza stessa. Che è dirompente non solo per le persone che la subiscono, ma anche, e anzitutto, per chi la fa. Perché la violenza è in grado di modificare l’essere stesso di chi la compie. Perché la violenza incide sulle relazioni, ne distrugge il carattere positivo, impedisce che ne nascano di nuove. In una parola: qualsiasi gesto di violenza distrugge un poco la vita. Fa morire un po’ di se stessi facendo morire qualcosa dell’altro. Ecco perché, di fronte alla violenza, non si può restare indifferenti. Ecco perché bisogna fare altre scelte.