Vita Chiesa
Le coppie conviventi: «Guardiamole con simpatia»
I dati statistici dicono che in Italia sono oltre mezzo milione i giovani che convivono senza sposarsi. Una scelta che, secondo quanto hanno detto i padri sinodali durante il Sinodo sulla famiglia, e che Papa Francesco riporta nella sua esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, «molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti». Si tratta quindi di situazioni, si legge ancora nel documento del Papa, che «vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza».
Proprio questo è stato il tema scelto per la giornata regionale organizzata a Loppiano dalla Commissione regionale di pastorale familiare. «A giudicare dalla partecipazione e dall’interesse si vede che l’argomento è molto sentito, e che c’è un grande bisogno di formazione e di confronto» sottolinea Angela Borgia, incaricata regionale insieme al marito Giulio per la pastorale della famiglia. Oltre 250 partecipanti, provenienti da 13 diverse diocesi della Toscana, hanno dato vita a una giornata intensa e vivace, grazie anche agli stimoli offerti dai due relatori: monsignor Basilio Petrà, docente alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale e presidente dei Teologi moralisti d’Italia, e Franco Vaccari, psicologo, insegnante e presidente di Rondine, la cittadella della pace.
A sottolineare l’urgenza di una riflessione sul tema delle convivenze anche don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, che – prete della diocesi di Grosseto – non è voluto mancare all’appuntamento regionale. «Già da alcuni anni – spiega – le statistiche ci dicevano che tra le coppie che vengono in parrocchia per chiedere di sposarsi, la percentuale di quelle già conviventi si stava alzando fino a superare il 50%. Ma credo che in Toscana i dati siano ancora più alti. Questa situazione apre nuovi orizzonti pastorali e richiede un grande coinvolgimento della comunità, che deve essere pronta a quell’azione di accoglienza e accompagnamento che il Papa ci richiede e che non può vedere soli i preti». Oggi alle parrocchie si rivolgono fidanzati, famiglie ferite, coppie non sposate che magari chiedono il battesimo di un figlio: per questo è necessario, a livello parrocchiale come a livello diocesano, un «gioco di squadra» che vede insieme sacerdoti, coppie, a volte anche professionisti che possano dare un contributo formativo sul fronte delle scienze umane.
Proprio come il contributo che Franco Vaccari ha dato alla giornata di Loppiano, inquadrando il tema delle coppie conviventi nella realtà sociale, culturale, economica del nostro tempo: una realtà di tempo dilatato, in cui i figli ritardano sempre di più l’uscita dalla casa dei genitori, e allo stesso tempo una realtà di tempo abbreviato, in cui non si accetta più l’attesa e tutto deve essere immediato. Richiamando il concetto di «società liquida» coniato da Bauman, Vaccari ha parlato di «società sfumata» in cui i contorni tra bene e male, giusto e sbagliato, sono sempre più incerti, mobili: tutto ruota intorno al soggetto, all’individuo, e al presente: anche perché sul futuro grava la più totale incertezza. Di fronte a due giovani che scelgono di convivere dunque possiamo guardare a quello che manca: il coraggio di sposarsi, di fare scelte definitive, di impegnarsi di fronte alla società… Oppure possiamo guardare in positivo: è una coppia che non si arrende, che nonostante tutte le spinte contrarie decide di costruire qualcosa insieme. I sondaggi, ha sottolineato Vaccari, ci dicono che per i giovani italiani spesso la convivenza non sostituisce il matrimonio, ma rappresenta un passaggio, il desiderio di prolungare l’esperienza di coppia fuori dalle rispettive famiglie di provenienza: «Noi – ha affermato Vaccari – dobbiamo fare il tifo per chi fa questo tentativo, guardarlo con simpatia perché tiene accesa la possibilità di una vita insieme». e se è vero che la vita ha bisogno di «riti di passaggio», oggi anche questi riti vengono sfumati: c’è un momento in cui i due si dichiarano «conviventi» ma la convivenza inizia senza un momento pubblico, sociale.
Spunti di riflessione che non potevano che suscitare dibattito durante i lavori di gruppo, da cui sono emersi tutti gli interrogativi che si vivono là dove – nelle parrocchie, nelle associazioni – il tema di come rapportarsi con le coppie conviventi non è più una discussione astratta ma diventa oggetto di scelte concrete e di risposte da dare quotidianamente. Come conciliare, è il primo dubbio, l’atteggiamento pastorale di accoglienza che ci chiede Amoris Laetitia con la morale cristiana e con i documenti del Magistero che definiscono come «intrinsecamente illeciti» alcuni comportamenti? Come evitare che, nell’accogliere le persone conviventi, si dia l’impressione di accettare la convivenza come modello sociale? E ancora, come fare perché l’«accogliere e accompagnare» diventi non solo un atteggiamento caritatevole, ma anche un modo per aiutare le coppie ad aprirsi alla possibilità del matrimonio?
L’altro grande tema riguarda i conviventi che non bussano alle porte delle parrocchie: come andarli a cercare? Come far percepire loro che esiste una proposta cristiana per la loro vita di coppia?
Il suggerimento di Vaccari è quello di porsi con l’atteggiamento che si ha nel dialogo interreligioso: una «Chiesa in uscita» deve avere il linguaggio dell’incontro, che non può essere lo stesso che si usa all’interno delle comunità. Per il teologo Basilio Petrà è importante che si guardi alle persone non per la loro condotta di vita, ma per il loro desiderio di incontrare il Signore: non dare l’impressione di volerle accalappiare. L’obiettivo non deve essere spingerle a «mettersi in regola», ma accompagnarle a fare esperienza di incontro con Dio: le regole verranno dopo, perché i comandamenti sono per la vita.
Il programma della giornata prevedeva le conclusioni del vescovo di Fiesole Mario Meini, delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale della famiglia: «Dopo una giornata del genere però – ha affermato – non si possono fare conclusioni, non c’è niente che si chiude, c’è piuttosto un impegno da rilanciare a tutti i livelli». Amoris Laetitia, ha sottolineato il vescovo, «è un punto di non ritorno: non possiamo pensare che sia un momento passeggero nella vita della Chiesa. Quando il Papa parla, si ascolta, ci si mette in discussione e si cerca di convertirsi. Ci è chiesta una conversione pastorale che richiede anche una conversione spirituale: lasciare che lo Spirito Santo ci trasformi per acquisire quello “sguardo di Gesù” che ci viene richiesto».
Sul tema specifico, Meini ha messo in guardia dal rischio di «ghettizzare» i conviventi creando percorsi specifici per loro: «Dobbiamo avere una mentalità inclusiva, inserirli nella vita pastorale, farli sentire a pieno titolo parte della comunità». Non ci sono però ricette precise: «Non si tratta di elaborare strategie, ma di lasciar fermentare in noi la visione che Amoris Laetitia ci propone».