Cultura & Società
Le comparse nel dramma divino della Passione e della Risurrezione
Come il Presepio rappresenta nella nostra interpretazione un compendio dell’umanità posta di fronte all’evento dell’Incarnazione, con figure soprannaturali e umane le quali hanno atteggiamenti, manifestazioni, gesti che rivelano il carattere e l’animo delle varie persone davanti a un fatto che li sovrasta, così la Via Crucis, pratica devota che si ripete in preparazione della Passione e della Pasqua, presenta figure, che rappresentano il mondo umano, intorno alla vicenda del Redentore, e che si esprimono ciascuna secondo la propria indole, il proprio mondo interiore, le loro qualità e difetti.
Di solito si pone attenzione sui protagonisti della storia trascurando il fatto che l’umanità è rappresentata forse più fedelmente da coloro che, presi nel vortice d’un avvenimento che ha coinvolto il cielo e la terra, hanno risposto con le deboli forze umane, ma con spontaneità, rivelando gli abissi di amore, generosità, partecipazione e purtroppo anche di malvagità, insensibilità e indifferenza che sono nascosti nel cuore umano
Le varie figure tratteggiate dai Vangeli, a volte con pochissime parole, si sono ingigantite però nella fantasia popolare creando intorno leggende a volte suggestive, a volte ingenue, qualche volta profonde, ma tutte indirizzate a individuare la scintilla prodigiosa che genera ogni spirito al contatto col divino. Le figure di primo piano come Pietro, Giuda, Pilato, Caifa, Giuseppe d’Arimatea, le Tre Marie, hanno parti fondamentali e una dotazione leggendaria di primo piano; ma sono le presenze minime a rappresentare i drammi e i vari misteri della vita.
L’Ancilla ostiaria. Un’ancilla ostiaria, una fantesca che stava di custodia alla porta dell’atrio del palazzo del Sommo Sacerdote, fu colei che riconobbe Pietro come uno dei seguaci di Cristo e con le sue domande petulanti lo indusse a mentire rinnegando il suo Maestro. Il Vangelo (Matteo XIV, 66) descrive brevemente ma con grande efficacia l’episodio.
La fantasia popolare ha ricamato molto su questa donna linguacciuta ed è nata una leggenda per cui l’ancilla ostiaria fu condannata a non morire mai e a portare i doni ai bambini fino alla fine del mondo. Sarebbe dunque lei la Befana, che ancora visita le case dove ci sono ragazzi portando loro regali. Altre leggende raccontano invece che la Befana sia la Nonna del Re Erode che ha chiesto di espiare la Strage degl’Innocenti, colpa del suo nipote. Altri dicono che sia invece Claudia Pocula, la moglie di Pilato.
Ahasvero. A qualcuno è accaduto, chi sa quando, d’incontrare un viandante vecchio e lacero, con una lunga barba e un respiro affannato. Se invitato a sostare e a riposarsi, rispondeva che non poteva e continuava la sua strada appoggiandosi al grosso bastone e ai calzari rovinati. È l’Ebreo Errante, detto anche Ahasvero, Isacco Lakedem, Giovanni Buttadèo, colui che, quando Cristo passò con la croce e si appoggiò alla sua casa, lo respinse dicendo: – Cammina!
Fu condannato ad andare ramingo per il mondo fino alla fine dei secoli, senza potersi mai fermare con soli cinque soldi in tasca e ritornando ogni cento anni negli stessi luoghi da cui passò la prima volta. Era nato sette anni prima di Cristo nella tribù di Neftali e si era posto al seguito dei Re Magi, andando poi a raccontare quello che aveva visto a Erode, il quale ordinò la strage degl’Innocenti. Questa figura si sovrappone ad altre come il Ciabattino di Gerusalemme o il Legnaiolo di Gerusalemme che fabbricò la croce su cui morì Cristo.
Barabba. Di Barabba il Vangelo dice solo queste parole: «Ora c’era uno, chiamato Barabba, messo in prigione con dei sediziosi, che avevano commesso omicidi durante una rivolta» (Matteo, XV, 7). Essendo uso che fosse liberato un carcerato per la festa di Pasqua, Pilato ricorse all’espediente di chiedere al popolo chi volesse che fosse mandato libero: Cristo, che considerava innocente o Barabba che era un omicida. Il popolo preferì che fosse salvo Barabba.
La leggenda poi ha fatto di questa figura un tipo umano colpito da una fortuna infelice: colui che si è salvato lasciando Cristo al suo posto e passa da una vicenda all’altra sempre più tormentato da tale sorte, da prima considerata felice, poi sempre più insopportabile, per cui si sottopone a imprese tormentose, lavori avvilenti, per espiare quella che è stata solo la sua sventura.
Siccome della vita successiva non si conosce nulla Barabba, è stato la figura ideale per essere oggetto di vicende che lo vedono malvagio e disperato, pervicace nel male e volto alla redenzione alla quale finalmente arriva convertito e martire come nel più famoso film a lui dedicato.
Molte sono anche le opere letterarie che lo riguardano: è il protagonista del dramma di Christopher Marlowe (1664-1593) L’Ebreo di Malta dove appare come una figura fortemente negativa, e del romanzo Barabba del narratore svedese Pärk Lagerkvist. Da questo fu tratto nel 1961 il film Barabba di Richard Fleischer.
Il Cireneo. Un ebreo ellenizzato che abitava a Gerusalemme s’imbatté per caso nella scorta dei soldati romani e la folla di curiosi che portava Cristo sul Golgota. Essendo Gesù estenuato e incapace di portare la Croce, fu costretto dalle guardie a prendersela sulle spalle e portarla fino al luogo del supplizio. Si chiamava Simone di Cirene e di lui parlano i tre Vangeli sinottici (Matteo XXVII, 32; Marco XV, 21; Luca XXIII, 26). Il suo episodio è quello che occupa la V stazione della Via Crucis.
La figura di colui che fu obbligato ad aiutare Cristo non ha ispirato molto la leggenda. Marco indica insolitamente oltre al suo nome Simone anche la provenienza: Cirene e i suoi figli: Alessandro e Rufo. Il ritrovamento nel 1941 nella Valle di Cedron presso Gerusalemme d’un sepolcreto intatto del I secolo d. C. con l’iscrizione: Alessandro di Cirene, figlio di Simone, insieme ad altri elementi, fa credere che si tratti della tomba della famiglia del Cireneo, il che daterebbe il Vangelo di Marco come anteriore all’anno 58.
Disma e Gesta: il buono e cattivo ladrone. Il Vangelo ricorda i due ladroni che furono crocifissi uno a destra e uno a sinistra di Gesù, ma non specifica i loro nomi che si trovano nel Vangelo di Nicodemo (X, 6): il buon ladrone è Disma, crocifisso a destra, mentre Gesta è il malvagio sta alla sua sinistra. Il testo evangelico riporta anche il dialogo che avvenne sul Calvario.
«Uno dei due ladroni che erano stati crocifissi lo insultava dicendo: – Non sei tu il Cristo? Salva te e noi. Ma l’altro lo rimproverava dicendogli: – Non temi tu Iddio, tu che soffri la stessa condanna? Per noi è giustizia perché riceviamo degna pena dei nostri delitti, ma lui non ha fatto niente di male. Poi soggiunse: – Gesù, ricordati di me quando ritornerai nella maestà del tuo regno. E Cristo gli rispose: – In verità oggi tu sarai con me in Paradiso» (Luca XXIII, 39 e segg.).
Si può dire che Disma è il solo uomo di cui Cristo abbia affermato esplicitamente che si trova in Paradiso, anzi è considerato nel numero dei Santi ed è anche patrono dei ladri (pentiti), dei moribondi, dei condannati a morte, degli antiquari e della città di Gallipoli. La festa è il 25 marzo.
Naturalmente il fatto che i ladri hanno un loro collega sicuramente in cielo ha sollevato nei secoli non poca ironia e tante sono le storie che si sono narrate su questo argomento. Sono nate leggende soprattutto sulla vita di Disma di cui si trova eco anche nel Vangelo di Nicodemo.
Il fabbro di Gerusalemme. Il Fabbro di Gerusalemme è una figura del tutto leggendaria della tradizione cristiana: l’uomo che fece i chiodi per la crocifissione di Cristo era un artigiano provetto di Gerusalemme e li volle fare secondo la regola dell’arte: forti, grossi, taglienti e crudeli. Quando si accorse che aveva fatto il tormento più doloroso per l’essere migliore della terra, pianse di disperazione e da allora non ebbe più pace e ancora va ramingo nel mondo di sventura in sventura.
Vi sono molte composizioni drammatiche, rappresentazioni popolari, dove la Madonna incontra i vari artigiani che preparano supplizi per la passione di Cristo: i chiodi, la croce, la corona di spine. Il fabbro viene rappresentato come il più crudele e dichiara di voler fare i chiodi più duri e grossi perché siano più dolorosi. Varie leggende narrano le varie pene che toccarono a questi barbari artefici.
Longino e la santa lancia. La Santa Lancia con cui il militare Longino trapassò il cuore di Cristo perché ne fosse certa la morte, fu oggetto di culto a Gerusalemme, ma per sottrarla agli invasori arabi, venne segretamente nascosta ad Antiochia e sotterrata. Là fu ritrovata nel 1098 e portata a Costantinopoli per essere esposta alla venerazione dei pellegrini. Nei trambusti della IV Crociata la punta della lancia seguì il destino della Corona di Spine e finì, come pegno di Baldovino II per un prestito di una grossa somma di danaro, nelle mani dei Veneziani. Fu riscattata da San Luigi IX re di Francia (1215-1270) che sborsò l’intera somma del debito entrando in possesso della preziosa reliquia che fu custodita ne La Sainte Chapelle. L’asta della lancia rimase a Costantinopoli sopravvivendo all’invasione turca. Nel maggio del 1492 il Sultano Bajazet II la mandò in regalo al Papa Innocenzo VIII in una custodia preziosa con l’avvertimento che il resto della reliquia ce l’aveva il re di Francia. La ragione del dono era questa: fatto prigioniero dai Cavalieri di Rodi il fratello del Sultano Diem, suo nemico e rivale, era stato consegnato al papa il quale, grazie al regalo, era pregato di non liberarlo e tenerselo per sempre. Vi sono anche altre versioni dei fatti.
La storia di Longino, santo, soldato e martire, è narrata nella Legenda aurea e la festa cade al 15 di marzo. Si narra che, colpendo il costato di Cristo sarebbe diventato cieco, ma le gocce di sangue, cadendogli sugli occhi, gli ridonarono la vista. Convertitosi al cristianesimo fu battezzato dagli Apostoli in Cappadocia e quindi, come riferisce San Gregorio di Nissa, fu consacrato vescovo. Professò la sua fede davanti al prefetto Ottavio e finì i suoi giorni con la tortura e il martirio.
La Veronica e il suo velo. Pare che addirittura sia nato prima il velo con l’immagine del personaggio del quale i Vangeli non parlano: Veronica fu colei che sulla Via Dolorosa avrebbe asciugato il volto a Cristo che vi lasciò l’impronta delle sue sembianze. L’episodio costituisce la VI stazione della Via Crucis e assicura la diffusione e la tenace persistenza di questa figura e del suo gesto. Il drappo si trova in San Pietro a Roma, nella loggia berniniana che raccoglie anche una parte del legno della croce e la lancia di Longino.
Veronica si trova nella Legenda aurea nel capitolo della Passione, dove guarisce col velo l’imperatore Tiberio. La Chiesa Orientale la identifica con la donna emorroissa guarita da Cristo e fu onorata come santa con la festa il 12 luglio. L’episodio che la riguarda ha sempre commosso per la gentilezza del gesto e per il suo toccante significato.
L’immagine conservata in San Piero risale circa all’VIII secolo e si trova replicata, anche con pretesa di autenticità, in molte altre versioni. Come soggetto è stato trattato dai massimi pittori ed è sempre frequente nelle immagini sacre. Ritengono alcuni che il nome della donna derivi dalle parole vera (latina) ikon (greca) immagine: Veronica, vera immagine del volto di Cristo.
È patrona di fotografi, cucitrici in bianco, lavandaie, guardarobieri.