Cultura & Società
Le città fondate dagli dei
di Carlo Lapucci
La città, che per noi è fatta soltanto di esseri viventi, per gli antichi si animava di altre impalpabili presenze che sarebbe lungo anche solo enumerare: divinità minori, geni, ninfe, folletti, streghe, erano ritenuti esseri capaci di entrare quotidianamente nella vita degli uomini abitando le stesse strade, piazze, case, fonti, giardini e case. Soprattutto le case erano animate di presenze invisibili. Sotto il focolare stavano i lari: divinità domestiche, geni d’ogni tipo, custodi d’ogni famiglia che si veneravano con Vesta e i Penati. Apuleio dice che i lari erano le anime di coloro che avevano menato una vita buona nella casa. Secondo Servio il culto dei lari discese dall’uso di seppellire i morti nelle case, nella convinzione di farvi soggiornare le loro anime, per cui divennero geni benevoli e propizi e come tali furono onorati. Questa concezione magico religiosa dura nei secoli e arriva fino a noi per mille credenze e superstizioni, come quella secondo la quale in una casa ci si sente.
Allo stesso modo la città, oltre le varie divinità maggiori e minori, portava misteriosamente nel suo seno le anime dei grandi trapassati, dei quali la terra ospitava gli spiriti. Questi non erano solo gli uomini nati o vissuti dentro quelle mura, ma anche le grandi anime antiche fondatrici di quel popolo. Era uso, per chi andava a fondare una nuova città come una colonia, prelevare dal luogo d’origine qualche manciata di terra e conservarla gelosamente nella convinzione che questa contenesse le anime dei trapassati. Giunti nel luogo destinato dove doveva sorgere la nuova città, tracciato il perimetro, si scavava al centro un pozzo, che i latini chiamavano mundus, vi si gettava quella terra e si richiudeva con una pietra. A Roma due notti l’anno veniva aperto il mundus: erano le notti dei morti, nelle quali i trapassati tornavano a visitare i loro discendenti.
L’altro elemento della fondazione consisteva nel tracciare il perimetro delle mura. Così avviene per la fondazione di Roma, nella quale Romolo segna con l’aratro il solco entro il quale doveva sorgere la città. In realtà egli non pratica un semplice segno di confine, ma fa un’operazione magica: delimita un cerchio entro il quale non possono e non devono penetrare forze estranee e ostili, secondo un rito che Varrone chiama etrusco. Se così non fosse stato, saltare con irrisione il solco da parte di Remo non sarebbe stato un sacrilegio da far pagare con la morte, come fece il fratello Romolo.
Il terzo elemento rituale era il fondatore, che non poteva essere una persona qualunque, ma un sovrano, un eroe, meglio ancora una divinità. Più grande era la sua forza, più durevole, potente, grande sarebbe stata la città. L’Italia, e la Toscana in particolare, sono ricche di questi straordinari fondatori, che trovano la documentazione delle loro gesta soprattutto nei poemi antichi e mitologici. La cosa poteva essere marginale, autorizzare un po’ d’orgoglio, un bel motivo sul blasone, ma il tempo l’ha fatta diventare un elemento non secondario nella storia di molte città.
Ultimo elemento era la consapevolezza, o la volontà, d’infondere nel luogo uno spirito potente e di fondare per i millenni o per l’eternità. Altri riti prevedevano addirittura la sepoltura nelle fondamenta di eroi o uomini valorosi, se non sacrifici umani.
Ad una figura mitica se ne può unire anche una cristiana. Abbiamo così doppie fondazioni di città come Pisa che si dice abbia avuto origine da Pelope e da S. Pietro. Comunque la materia è ricchissima e le leggende, anche se non sono tutte risalenti a tempi eroici, sono ben studiate e congegnate. Qualche eroe più furbo è riuscito a infilarsi anche in alcuni blasoni dei nostri comuni, senza pagare il biglietto. E c’è ancora.
Le leggende che narrano la fondazione delle città antiche, come tante altre hanno poca veridicità storica: a volte solo un esile filo le ricollega a eventi reali, altre, nel caso di eventi mitici nulla è da ricercare come dato storico. Tuttavia dietro i nomi degli eroi, dei popoli, dietro i fatti narrati si nascondono delle verità. Non è per caso che molte città abbiano come fondatori eroi provenienti dalla Grecia o dall’Asia Minore, dall’Egitto. Queste storie raccontano di rapporti molto stretti tra le popolazioni civili di quelle terre e l’Italia, che avvenivano con colonizzazioni, invasioni, penetrazioni di popoli sconfitti e fuggiaschi alla ricerca di un altro destino.
La stessa cosa può dirsi dell’altra provenienza di migrazioni che derivano dalla fondazione di Roma e dai suoi dissidi interni che spingevano frange della popolazione ad andarsene via e fondare un’altra città. Non molte sono le fondazioni cristiane delle città, perché il cristianesimo arriva praticamente su una società già strutturata e quindi con città già esistenti dove presto si abbatterà la furia delle invasioni barbariche che le distruggeranno e alcune le faranno scomparire.
Allora il cristianesimo sarà la forza propulsiva per la sopravvivenza, ricostruzione, la ripresa della vita nelle sue varie forme. Il fenomeno dei borghi, che sorgeranno alla vigilia della ripresa economica dell’Occidente e nel periodo seguente, seguirà questa spinta cristiana. Le sedi dell’attività nuova di elaborazione, trasformazione che si strutturano spontaneamente ai crocevia di strade importanti, agli scali fluviali, nei centri di floride attività agricole, porteranno in genere i nomi dei Santi, senza la pretesa, per ovvi motivi, di farne dei fondatori: la leggenda può molto, ma non tutto.
Pure la tendenza a chiamare una città col nome di una persona persiste. Alessandria, fondata nel secolo XII dal Marchese di Monferrato Guglielmo il vecchio, fu chiamata Cesaria, ma le fu imposto il nome attuale in onore del papa Alessandro III, capo della Lega Lombarda contro l’Impero.
Ma già il Cristianesimo aveva cancellato quasi del tutto l’idea arcaica e magica di una città come organismo vivente, compatto, stretto intorno a un significato e a un destino, che veniva imposto nell’atto di fondazione. Lo spirito del fondatore, attraverso i gesti rituali, si trasmetteva nella realtà concreta, nella terra, nelle mura, negli edifici, facendo un tutto unico con gli abitanti, i quali non erano solo tali, ma figli di quella nuova realtà. La città però chiede tutto al suo «figlio» anche la vita: ognuno deve rendere conto a tutti dei suoi atti. Il mondo privato ha uno spazio esiguo, come del resto era anche nei nostri paesi fino a non molto tempo fa. Gli interessi dell’individuo coincidono in gran parte con quelli della città, che spesso era anche uno stato per il quale si viveva e si moriva. Proprio la morte cementa questo vincolo indistruttibile: la terra diventa la terra di padri, quella dove sono sepolti gli antenati e nella quale hanno sede le loro anime, che la proteggono visitando periodicamente le case dei vivi e ispirando le menti di coloro che operano e governano.
Si può capire quale sia la differenza tra lo spirito di una città fondata con questi principi e sopravvissuta ai secoli, e una realtà urbana moderna che si basa su un complesso di interessi, opportunità dove domina la parte individuale, dove si rende conto delle azioni solo alla legge (o alla stampa), dove pochissimi si conoscono tra loro e il muro che separa un appartamento da un altro allontana di chilometri la vita di chi le abita, tranne che per l’audio della televisione.
Le città sorte in tempi recenti in Toscana non videro né eroi fondatori, né atti di fondazione con sacrifici umani: Pienza, San Giovanni Valdarno, Firenzuola, Grosseto, Livorno sorsero spontaneamente per motivi economici o politici, anche militari. La storia ha visto città che vivono pochi anni, nate e distrutte per opportunità politiche come Castro, eretta dal papa Paolo III Farnese nel 1537 e fatta capitale d’un ducato. Mutata la politica la città, già divenuta fiorente e forte, fu lasciata in abbandono e dopo il 1589 cominciò a decadere e restò inespugnabile fortezza in mezzo alle Maremme, sempre pronta a sollevarsi. Innocenzo X arrivò mise fine alla sua esistenza e fu spiantata dalle fondamenta. L’opera fu portata a termine nel 1649.
Oggi non si costruisce più per l’eternità, né avrebbe senso dal momento che si vedono scomparire due città in cinque minuti sotto le armi nucleari, o altre essere distrutte integralmente sotto bombardamenti a tappeto. La vita contemporanea al tempo stesso distrugge lentamente anche quel poco del nucleo originario, di spirito singolare, che corrisponde a un modo di pensare, di vivere d’una comunità; distrugge purtroppo anche l’amore per la propria città, che pochi ormai sentono come propria. Dice Pascoli: La mia patria or è dove si vive. I cimiteri sono quasi day-hospital, dai quali si sloggia in pochi anni. Non di rado si assiste impassibili o indifferenti all’opera di chi, per meschini interessi o incoscienza, sfigura, stravolge, insudicia, pensando che sia cosa che non lo riguarda. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non è il caso certo di tornare ai tempi di Enea, Telamone, Amulio, Romolo e Remo, ma una via di mezzo si potrebbe anche trovare.
Fondazioni divine in Toscana
Facciamo qui una breve rassegna delle più note leggende che riguardano la fondazione di città toscane tra le più antiche o le più grandi, mentre per l’ampiezza della materia, ci ripromettiamo di riprendere l’argomento in modo da fare un quadro, se non completo (dato l’argomento ormai dimenticato e sfuggente) in un successivo articolo su Toscanaoggi.
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