Vita Chiesa
Le cinque parole della Gmg
di Fabio Zavattaro
Consegnata alla storia la XXIII Giornata mondiale della gioventù e messa in agenda la data della prossima, Madrid terza settimana di agosto del 2011, proviamo a leggere questo avvenimento di Sydney attraverso alcune parole. E la prima non può che essere entusiasmo. Quello dei ragazzi, sicuramente. Ma anche quello della gente australiana e, ovviamente di Papa Benedetto. Si perché proprio il Papa, lasciando la città, ai volontari ha detto: è stata una splendida esperienza, «in questi giorni siamo stati testimoni diretti della gioia che trovano nella propria fede tante migliaia di giovani… Abbiamo potuto gustare il calore e la generosità dell’ospitalità australiana, e insieme gettare uno sguardo sullo splendido paesaggio di questo bel continente». L’entusiasmo del Papa è stato contagioso; i giovani lo hanno capito e seguito in questa prima Gmg voluta e pensata da lui. Se qualcuno, prima del 12 luglio, pensava che la formula fosse ormai da mettere in soffitta, Benedetto XVI ha risposto imprimendo il proprio stile, rivolgendo ai giovani discorsi complessi, non difficili ma impegnativi. E i ragazzi, hanno compreso cosa il Papa voleva da loro; hanno camminato con lui per le strade di Sydney. «Quanti buoni semi sono stati seminati in questi pochi giorni», ha detto il Papa ai benefattori e allo staff organizzativo della Gmg. Di qui l’auspicio che «l’investimento di speranza» che molti hanno posto nei giovani, «porti frutto nelle loro esistenze, per la vita della chiesa di Cristo e per il futuro del mondo».
La seconda parola, allora, è un verbo: rinnovare. Più volte il Papa ha chiesto ai giovani di «rinnovare la faccia della terra». Come papa Wojtyla che li chiamava speranza della Chiesa, del mondo, «mia speranza». Benedetto XVI è ancora più esigente: non sono solo la sua speranza, questi giovani venuti da tutto il mondo; ma sono i possibili artefici di un cambiamento, di un mondo nuovo dove pace, giustizia, amore non siano solo parole usate e abusate. E chi pensava che atti liturgici come l’adorazione eucaristica fossero cose «sorpassate», certamente sarà rimasto impressionato da quei 250 mila ragazzi in ginocchio, in silenzio. O dal vederli attorno ad un sacerdote, per una messa mattutina celebrata sopra una panchina, nella zona di Darling Harbour, tra ristoranti affacciati sulla baia e negozi, con i grattacieli di Sydney come sfondo.
La terza parola è ecologia. Già nel primo discorso il Papa aveva voluto parlare del viaggio come occasione per arrivare a capire i doni del creato. Ma il vertice della creazione è l’uomo. E, dunque, per papa Benedetto non basta impegnarsi a favore della natura e dell’ambiente se poi «lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, diventa luogo di violenza indicibile». Sì la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. «Le ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo» non devono farci perdere di vista che «non solo l’ambiente naturale, ma anche quello sociale, l’habitat che ci creiamo noi stessi, ha le sue cicatrici; ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto». È nelle nostre comunità, nelle vite personali, che possiamo anche incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. «Libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità». Questo è un altro campo dell’impegno dei giovani per il rinnovamento, per costruire una civiltà dell’amore.
La quarta parola è perdono. L’impegno della Chiesa verso le vittime degli abusi sessuali non può non partire da questa parola. Insieme alla vergogna che il Papa esprime per queste «ferite» che alcuni preti hanno portato alla fiducia che giovani e famiglie hanno nei confronti dei sacerdoti e della Chiesa. Così non può lasciare Sydney il Papa, senza incontrare quattro vittime, due uomini e due donne, un «gesto paterno», un atto concreto per esprimere i sentimenti già più volte manifestati sul dramma degli abusi sessuali. Con loro ha pregato, ha ascoltato le loro storie, ha manifestato dolore e vicinanza.
L’ultima parola non può che essere: giovani. Sono stati loro a fare di questa Giornata «un evento ecclesiale globale, una grande celebrazione della gioventù, una grande celebrazione di ciò che deve essere la Chiesa, il Popolo di Dio in mezzo al mondo, unito nella fede e nell’amore e reso capace dallo Spirito di recare la testimonianza del cristo risorto sino ai confini della terra». Con una piccola aggiunta: la gioia. La pronuncia più volte il Papa, la parola gioia. La ribadisce quando ricorda l’incontro con i giovani che hanno avuto esperienze difficili: «È stato un momento di gioia e di grande speranza, un segno che Cristo ci può sollevare dalle situazioni più difficili, ridandoci la nostra dignità e permettendoci di guardare avanti, verso un futuro migliore». L’appuntamento di Sydney ha mostrato «che la Chiesa può rallegrarsi dei giovani di oggi e essere colma di speranza per il mondo di domani».