Toscana

Le chiese toscane e il nuovo welfare

di Giovanni Santucci**Vescovo di Massa Marittima e delegato CET per la pastorale della saluteUn vescovo riflette su queste cose perché alla Chiesa sta a cuore tutto ciò che attiene il bene della persona e delle comunità, consapevole di avere qualcosa da insegnare e anche molto da imparare. Soggetti diversi per natura e per compiti (incluse le istituzioni civili) possono trovarsi a camminare insieme quando c’è una meta condivisa; lavorare per il bene comune in materia di politiche sanitarie e sociali riguarda da vicino molte delle realtà ecclesiali impegnate nei servizi alla persona.

Progettare il nuovo welfare regionale e territoriale non sarà un’operazione indolore; andremo incontro a una diversità di modelli, legati a scelte politiche, amministrative e di bilancio dei vari governi regionali. L’elaborazione di un “modello toscano” acquista significato nella misura in cui riesce a esprimere nell’oggi la nostra storia e la nostra civiltà. La scelta programmatoria della Toscana ha una sua intrinseca coerenza per il fatto di porre su un livello di pari dignità tutti i cittadini e tutti i produttori di servizi alla persona: pubblici, privato-sociali (o di terzo settore), privati. La pari dignità dei produttori di servizi non è scontata: circolano ancora remore di carattere ideologico e, in prospettiva, logiche di mercato potrebbero condizionare il passaggio al nuovo. Occorrerà seguire con attenzione le nuove modalità di integrazione attraverso le “società della salute” e i nuovi assetti territoriali basati sulle “aree vaste”.

La partecipazione alla programmazione delle politiche sanitarie e sociali da parte dei soggetti del terzo settore, incluse le “opere cattoliche”, ha senso se si sviluppa in base a due criteri prioritari: progettare a partire dai bisogni della popolazione (e non dall’esistenza di fornitori questo o quel servizio); capacità di porsi “in rete” per concorrere a una maggiore e migliore offerta di servizi sul territorio.Gli stessi criteri aiutano a declinare correttamente il principio di sussidiarietà, che perderebbe il suo significato autentico (ben chiaro nel magistero sociale della Chiesa) quando non puntasse all’altro e fondamentale principio, quello di solidarietà. Da sola, la sussidiarietà migliora i servizi già efficienti ma aumenta il divario di opportunità tra cittadini più o meno tutelati.

Le Chiese della Toscana vogliono essere parte attiva e propositiva in quella che viene definita progettazione “dal basso”. Per i cristiani, valorizzare la territorialità può essere occasione storicamente provvidenziale di fedeltà all’incarnazione: il Verbo che annunciamo si è reso visibile storicamente e localmente; noi dobbiamo esserne testimoni in questo tempo, sul nostro territorio. Per continuare, come Gesù, a curare, a salvare, ad annunciare una giustizia che assume i tratti della misericordia.

E così, mentre sul piano dell’organizzazione civile, si punta a integrare il sanitario e il sociale, la Chiesa porta avanti la sua missione facendosi carico di un’ulteriore integrazione, quella tra giustizia e carità. Con un patrimonio di valori da coltivare e diffondere attraverso l’azione pastorale, in vista del bene comune: centralità della persona, ruolo insostituibile della famiglia, attenzione prioritaria alla fasce deboli e agli “ultimi”, condivisone solidale.