Opinioni & Commenti
Le Br, i sovietici e i servizi segreti: Cossiga tacque per salvare il Pci
di Giovanni Pallanti
Francesco Cossiga (1928-2010) è morto all’Ospedale Gemelli di Roma il 17 agosto scorso. Molti articoli di giornale e dichiarazioni di esponenti della politica hanno tentato di descrivere la figura del presidente emerito della Repubblica.
Ci sono riusciti? Ho conosciuto Cossiga al congresso nazionale della Democrazia cristiana nel 1973 a Roma. Praticamente tutta la mia vita politica dal 1968 (avevo 18 anni) fino al 1999 è stata segnata dall’amicizia con questo grande uomo politico.
Nel 1998 mi volle segretario regionale toscano dell’Udr: il partito di ispirazione cristiana e democratica che doveva essere «distinto e distante dalla destra e alternativo alla sinistra». Se questo partito avesse continuato a vivere probabilmente la politica italiana oggi avrebbe un assetto diverso. Invece, sotto la spinta degli Stati Uniti d’America, dopo l’appello di Giovanni Paolo II a porre fine al massacro in Kosovo, l’Udr fu decisiva in Parlamento per la costituzione del governo D’Alema.
Finita la guerra in Kosovo finì anche la storia dell’Unione democratica per la Repubblica.
Francesco Cossiga, quando lo conobbi nel 1973, aveva lasciato il gruppo di un eroe democratico cristiano della guerra antifascista: Paolo Emilio Taviani che poi lui nominerà, da presidente della Repubblica, senatore a vita insieme a Giulio Andreotti.
Cossiga aderì alla sinistra di base di cui io ero il leader della componente giovanile. In quella corrente c’erano uomini che presto sarebbero arrivati alla guida della Dc e della Repubblica: Giovanni Marcora, Ciriaco De Mita, Luigi Granelli, Giovanni Galloni e Giovanni Goria. Di Cossiga posso testimoniare per conoscenza diretta che la sua fede cattolica era «granitica e aperta» come ha scritto sulla prima pagina dell’«Osservatore Romano», il 20 agosto scorso, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Il cardinale Bertone, nello stesso articolo, dice: «ieri sera, il Santo Padre, parlando del suo illustre e caro amico, mi ha detto che (a Cossiga ndr) stavano a cuore soprattutto tre traguardi che tenacemente perseguì e raggiunse: la proclamazione di San Tommaso Moro a patrono dei politici cattolici, la beatificazione dell’abate Antonio Rosmini e quella del cardinale John Henry Newman».
Questi erano i riferimenti ideali, filosofici e religiosi dello scomparso presidente della Repubblica. Egli fu anche presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Interni nel governo Andreotti quando fu rapito e ucciso dalle Brigate rosse l’onorevole Aldo Moro, suo grande amico.
Come presidente del Consiglio dei ministri (1979-’80) fu decisivo, assieme al cancelliere tedesco Helmut Schmidt, per lo schieramento dei missili Pershing in Europa, il che costrinse alla trattativa con l’Occidente l’Unione Sovietica guidata da Gorbaciov.
Come ministro degli Interni nel 1978 fu intransigente difensore della Repubblica chiudendo ogni possibile trattativa con le Brigate rosse per la liberazione di Aldo Moro. In questo fu affiancato da suo cugino Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano. Su questa vicenda Cossiga non ha mai parlato sul serio, spiegando fino in fondo il suo comportamento, né con i giornali né con i libri che ha pubblicato fino a poco prima di morire. Quando fui prescelto come segretario toscano dell’Udr (a quest’incarico puntavano anche gli onorevoli Tiziana Parenti e Giuseppe Bicocchi) ebbi una conversazione con Cossiga molto chiara anche su questo argomento. Sapeva o no, aveva capito o no che dietro l’omicidio di Moro compiuto dalle Brigate rosse italiane c’erano i sovietici e i servizi segreti, da loro delegati ad avere rapporti con le Br italiane, della Germania orientale e della Cecoslovacchia? Questo gli domandai. Lui mi rispose di sì. Io replicai: perché non lo avesse mai reso pubblico a differenza del presidente della Repubblica di quegli anni Sandro Pertini. Cossiga rispose che quella rivelazione avrebbe politicamente distrutto il Partito comunista e rafforzato la parte filosovietica di quel partito.
Anche Giovanni Paolo II, probabilmente con le stesse motivazioni di carattere internazionale, rese pubblico quasi alla fine del suo pontificato, tramite un libro-intervista del suo segretario Stanislaw Dziwisz, che dietro l’attentato in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981 c’erano i servizi segreti dei Paesi comunisti. Cossiga era un avversario duro e leale dei comunisti, ma il suo vero proposito era sempre stato la salvezza della Repubblica. Come Alcide De Gasperi e come Aldo Moro, Francesco Cossiga sapeva bene che in piena guerra fredda fra blocco occidentale e blocco sovietico l’Italia era un paese di confine. Il rapporto anche solidale in situazioni di emergenza fra Dc e Pci, anche se tra di loro strategicamente alternativi, era fondamentale per impedire un fortissimo indebolimento del sistema politico italiano che avrebbe aperto varchi ad avventurieri senza cultura politica e senza etica, lontani dai valori della Costituzione della Repubblica, come purtroppo è successo dopo tangentopoli.
Per comprendere meglio la parabola politica di Cossiga, grande difensore della Repubblica, bisogna ricordarsi che il Partito comunista di Berlinguer lo mise in stato di accusa davanti al Parlamento per alto tradimento per avere come capo del Governo consigliato all’onorevole Carlo Donat Cattin di far fuggire il suo figlio Marco, terrorista di Prima linea, in Francia. Nonostante questo il Partito comunista contribuì ad eleggere, insieme alla Dc, Francesco Cossiga alla presidenza della Repubblica nel primo scrutinio il 24 giugno 1985. La storia, per molti aspetti tragica, di questo uomo politico recentemente scomparso la si può comprendere appieno solo esaminando le tante battaglie di quella che è stata definita la guerra fredda tra l’Est e l’Ovest del mondo.