Rispetto alla retribuzione media giornaliera di un lavoratore dipendente nel settore privato, pari a 83,2 euro, un dirigente guadagna quasi 340 euro in più al giorno; un quadro invece 111 euro in più; per un operaio, invece, il salario giornaliero è inferiore alla media di 16,2 euro. È uno dei dati contenuti nel rapporto dell’Iref, l’istituto di ricerca delle Acli, reso noto oggi, nella giornata di apertura del 44° Incontro nazionale di studi che si tiene a Castel Gandolfo (Roma) sul tema del lavoro scomposto. La disoccupazione sottolineano i ricercatori rappresenta il versante emerso di un’emergenza lavoro che in Italia sta acquisendo contorni inediti. Commentando i divari sulle retribuzioni, il presidente delle Acli, Andrea Olivero, osserva che al di là delle ovvie componenti organizzative che fanno riferimento a diverse mansioni, ruoli e responsabilità, sono dati che mettono in evidenza una divaricazione eccessiva delle retribuzioni, che non può non essere presa in considerazione in queste ore in cui si discute di sacrifici per il Paese. Restituire risorse ai lavoratori e alle famiglie del ceto medio secondo Olivero è l’unico modo per garantire la tenuta dei consumi e il rilancio del Paese. Occorre assolutamente ripristinare nella manovra economica il contributo di solidarietà e la misura patrimoniale. L’indagine mette inoltre in evidenza come il ricambio generazionale abbia un saldo negativo, destinato a peggiorare nei prossimi decenni, cosicché nel 2030 la situazione sarà nettamente peggiorata con sempre meno opportunità di lavoro per i giovani. E, ad aggravare la situazione, vi sono politiche pensionistiche tese ad allungare la vita lavorativa. Tra chi è occupato, ormai quasi un lavoratore su quattro (23,1%) ha un’occupazione non standard, cioè non a orario pieno e non a tempo indeterminato: si tratta di part time (11,8%) e atipici (11,3%). Ma tra gli effetti più pericolosi delle ristrutturazioni economiche la ricerca segnala la disoccupazione di lunga durata, superiore a 2 anni: a tal riguardo l’Italia è tra i primi Paesi europei, con un 45,7% sul totale dei disoccupati, che però cresce al 55% nel Mezzogiorno. E gli scoraggiati, ossia inattivi che dichiarano di non cercare lavoro perché sfiduciati rispetto alle possibilità di ottenere un impiego, sono il 10,2%, più del doppio della media europea (4,6%). Infine, le donne che interrompono l’attività lavorativa a seguito di una gravidanza: se la percentuale è rimasta pressoché invariata nel tempo (15,1%), tra le madri più giovani, nate dopo il 1973, la percentuale di coloro che interrompono il lavoro per costrizione è quasi uguale al totale delle interruzioni lavorative. (Sir)