Prato
Lavoro: Nerbini, illegalità è fonte di ingiustizia
Ma anche problemi sociali, "diritti negati, soprusi". Intervista al vescovo di Prato dopo l’aggressione ai lavoratori pakistani a Seano
Si dice profondamente addolorato per l’aggressione agli operai pachistani e ai sindacalisti in sciopero, ma anche colpito dal fatto che diritti faticosamente conquistati vengano calpestati in questo modo. È molto duro il vescovo di Prato e delegato della Cet per la pastorale sociale e del lavoro Giovanni Nerbini nel commentare quanto è accaduto davanti alla confezione Lin Weidong, azienda a conduzione cinese che si trova a Seano di Carmignano, territorio in diocesi di Pistoia, ma inserito all’interno del distretto tessile pratese.
Nella notte tra domenica 8 e lunedì 9 ottobre due operai e due sindacalisti aderenti al Sudd Cobas sono stati colpiti a colpi di spranga mentre stavano compiendo un picchetto per protestare contro le inumane condizioni di lavoro alle quali sono sottoposti i lavoratori della confezione: dodici ore al giorno per sette giorni la settimana con paghe da fame e senza un regolare contratto. Una realtà denunciata più volte negli ultimi anni dal sindacato di base all’interno del distretto illegale del fast fashion. Secondo il portavoce del sindacato Sudd Cobas gli assalitori erano quattro italiani.
Monsignor Nerbini, cosa ha pensato alla notizia di questa aggressione?
«Sono rimasto molto male e addolorato per due motivi. Il primo certamente è per il vile gesto compiuto nei confronti di persone in sciopero, il secondo è per la superficialità con la quale, oggi, nel 21º secolo, si trattano i diritti sociali così faticosamente conquistati da chi ci ha preceduto. Non ci rendiamo conto del cammino fatto dall’umanità e di quanti lavoratori hanno sofferto per ottenere un lavoro degno. Invece, ancora una volta, si usa la violenza contro i deboli».
Non è la prima volta che Prato, la città del tessile, fa i conti con lo sfruttamento dei lavoratori stranieri sul proprio territorio. Un fenomeno denunciato anche da papa Francesco durante la sua storica visita nel 2015. Non è cambiato niente?
«Quel giorno, era il 10 novembre 2015, dal pulpito di Donatello papa Francesco ci invitò a stabilire patti di prossimità per estirpare, cito le sue parole, “il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità”. Prima il vescovo Agostinelli e poi io, abbiamo raccolto il suo invito a creare in città momenti di incontro e confronto su questo tema. Ma evidentemente non basta. Non basta la presa di coscienza. Servono altri tipi di interventi».
Come giudica il ruolo dei sindacati confederali? Sembra che a fianco dei lavoratori stranieri ci siano solo quelli di base.
«Penso che tutto il mondo sindacale debba riprendere in mano la difesa del lavoro, dei lavoratori e la tutela delle regole del mercato. E la società, la politica, devono sostenere i sindacati in questo sforzo. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul lavoro mancato, calpestato e screditato, ma su quello vero, su quello immaginato dai nostri padri costituenti. E poi dobbiamo cambiare prospettiva».
Ci spieghi il suo punto di vista.
«Il mancato rispetto delle regole, dei diritti dei lavoratori, della concorrenza da parte di certi imprenditori non va visto come una posizione di vantaggio di certa imprenditoria straniera, in particolare cinese, nei confronti di chi invece le regole le segue. L’illegalità invece è fonte di ingiustizia sociale, di diritti negati, di soprusi nei confronti dei lavoratori. Questo è l’aspetto che dobbiamo considerare».
Lei è arrivato a Prato cinque anni fa. Tra i suoi primi impegni annunciò quello di costruire ponti con la comunità cinese. A che punto siamo?
«Non nascondo che ci sono grandi difficoltà. Il problema maggiore è riconducibile alla parola integrazione. Chi non si integra rimane fuori non solo dalla società, ma anche dal modo di vivere e di fare di un Paese. Integrarsi non vuol dire imparare la lingua, ma rispettare le leggi e conoscere la cultura del luogo dove si vive. Promuovere l’integrazione significa responsabilizzare, far capire che ci sono diritti e doveri».
Lei è delegato Cet per la pastorale sociale e del lavoro. Avete affrontato anche questo argomento?
«Stiamo lavorando su vari progetti. Siamo vicini alle elezioni regionali e con la commissione stiamo pensando di mettere insieme una serie di questioni da sottoporre alla politica, in modo da avere un confronto dialogico con i partiti. Intendiamo confrontarci su questioni primarie come il lavoro, la sanità e il mondo giovanile».