Lettere in redazione
Lavoro, libertà e crescita economica
Lo videro il tesoro… era il lavoro, era la vanga dalla punta d’oro!». Parole vecchie forse ma senza dubbio più sagge di tutti i proclami di crescita economica basati su futili discorsi e carta straccia. Quale economia si può ipotizzare senza proteggere, promuovere, costruire un ambiente idoneo al lavoro e per tale si intende un contesto di semplicità, di correttezza, di sincerità, immediatezza nell’approccio ai problemi ed alla loro soluzione. Quello che letteralmente distrugge un buon ambiente di lavoro è l’ipocrisia; così predominante nella nostra società. Il prolungarsi dello stato di ipocrisia genera idiozia; anche questa generosamente spalmata un po’ ovunque ai nostri giorni. La crescita economica non si ottiene con l’aumento della verbosità dei politici e degli amministratori; né con speculazioni finanziarie che possano avvantaggiare pochi o pochissimi. In uno stato libero un normale cittadino, libero appunto, dovrebbe essere in grado di procurarsi un lavoro. In caso contrario ci sono due ipotesi: o i cittadini sono dei subnormali (dementi) o lo stato non promuove né garantisce la libertà, anzi inibisce l’iniziativa individuale e dei gruppi. C’è bisogno di libertà per «imprendere» senza essere soffocato, di imprendere senza essere offeso, schernito perché non abbastanza furbo da vivere sulle spalle degli altri, mortificato dalle vessazioni, dalla quantità di tasse e del modo farraginoso per assolverle. Perché i cittadini non reagiscono? Perché non sono liberi, perché non hanno la libertà dentro di sé. Esiste la libertà di compiere tante azioni, specialmente futili, di fare, fare ma essere liberi è un’altra cosa. Dalle ceneri dell’impero Romano sono nati gli stati, da quelle tribù Germaniche dove ogni uomo libero portava la sua spada, garanzia di libertà personale. Portare la spada era impegnativo, operare per difendere la propria libertà è molto impegnativo. Sono fiducioso che dalle ceneri dei nostri stati europei, così detti sociali (ma solo per pochi) verrà fuori una società più sana dove il lavoro non sia considerato un obbligo umiliante, ma un dono di vera crescita in conformità all’ordine naturale delle cose.
Forse è vero che l’iniziativa individuale, in questo Paese, non è sostenuta. Così come è vero che esistano disparità sociali. Anche per questo avremmo bisogno di crescita economica che certamente non si ottiene con i proclami o le speculazioni. Vero è anche che il lavoro non può essere considerato un obbligo umiliante. Vorrei però che la libertà (che è un valore assoluto, non c’è dubbio) si potesse difendere senza alcuna spada, ancorché simbolica.
Andrea Fagioli