Lettere in redazione

Lavoro giovanile e difficoltà del momento

Sono vecchio e sono quasi giunto in cima alla montagna della vita. Leggendo il «Primo piano» di Toscana Oggi n. 6 del 12 febbraio 2012 (Giovani e lavoro: La disoccupazione oscura ogni futuro) ho visto con piacere che l’Azione cattolica si è attivata per il lavoro dei giovani e guardando indietro nella valle della mia trascorsa esistenza ricordo con piacere la fanciullezza vissuta nell’Azione cattolica quando il suo motto – Preghiera, Azione, Sacrificio – costituiva un programma molto impegnativo ma adeguato ai duri tempi della guerra prima e del dopo guerra poi e che sostanzialmente, al di fuori delle diverse credenze religiose e appartenenze politiche (e forse anche per forza di cose), formava una base educativa abbastanza diffusa.

Condivido naturalmente, per averle vissute, le angosciose e angoscianti esperienze dei giovani (e non solo) nella ricerca del lavoro (dai 16 ai 25 anni ho lavorato saltuariamente, spesso al nero, lontano dalla famiglia, ecc.) ma forse nel periodo della ricostruzione i giovani che avevano vissuto l’infanzia e la fanciullezza durante la guerra in mezzo a paura, sacrifici e privazioni, erano molto più temperati ad affrontare difficoltà e più disponibili a lavorare pur di guadagnare un salario che spesso era utile se non necessario anche per le famiglie di origine, che frequentemente non avevano la possibilità di mantenere i loro figli senza nulla fare. Trovato il lavoro poi c’era molta attenzione a mantenerlo e si facevano anche sacrifici personali rinunciando anche a qualche diritto, come ha fatto, ammirevolmente, per esempio, la signora andata a lavoro con una gamba ingessata (Toscana Oggi n. 7 del 19 febbraio, lettera «Fare il proprio dovere sul posto di lavoro»).

Era vivo allora il culto del lavoro che era ritenuto il mezzo più sicuro e più naturale per guadagnarsi da vivere ma anche per migliorare la propria condizione e quella generale e questo fu toccato con mano nel miracolo economico italiano attenuto lavorando duramente 6 giorni alla settimana e anche oltre, che portò benessere individuale e poi anche sociale come mai era stato in Italia. Poi purtroppo arrivarono i vari predicatori, affabulatori, imbonitori del «tutti diritti e niente doveri», della inosservanza delle regole, della furbizia deteriore che esaltava gli evasori fiscali, e strizzava l’occhio ai corrotti, del 6 politico e del voto di gruppo nelle scuole e università, dove chiaramente veniva sfruttata la fatica e l’impegno altrui, delle promozioni scolastiche di massa ecc. (ma si potrebbe durare per molto) fino all’allucinante affermazione, in ambiente lavorativo, che «il salario è una variabile indipendente».

Conseguentemente quindi si è avuta la negazione di principi fondamentali per il viver civile illudendo e deresponsabilizzando intere generazioni, narcotizzando e indebolendo la capacità e la volontà di intraprendere e creare lavoro vero (non falsi posti di lavoro) anche per altri. C’è stato quindi, contrabbandato per progresso, uno stravolgimento educativo e dell’istruzione che ha formato molti tavolorotondisti e girotondisti ma pochi adatti a svolgere ben retribuite attività lavorative spesso ritenute, purtroppo, indecorose e/o di basso livello sociale. E di questo ne è prova il fatto che oltre centomila offerte di lavoro specializzato e non, non trovano copertura (notizia del Centro studi Cna di Mestre). Altra prova è il fatto che a fronte di quasi due milioni di giovani italiani «né, né» (che né studiano, né lavorano), ce ne sono più che altrettanti stranieri regolari che lavorano regolarmente.

Le chiedo venia per le mie un po’ dure elucubrazioni ma ho dentro di me tanta tristezza per questa difficile situazione. Però sono convinto che quando la casa brucia non si può attendere solo la pioggia (leggi posto fisso e/o lavoro ideale) per spengere l’incendio.

MarcelloFirenze

Carissimo Marcello, eccolo accontentato: firmiamo la lettera, come richiesto, con il solo nome di battesimo. Lettera che tra l’altro pubblichiamo integralmente nonostante una lunghezza che va ben oltre gli spazi consueti. Ma lo sa perché lo facciamo? Senz’altro per i contenuti, ma anche per un aspetto formale: la sua è una delle pochissime lettere che ormai ci arrivano per posta ordinaria. Per di più scritta a mano con una calligrafia invidiabile e una precisione impressionante. È una boccata d’umanità, un po’ di «calore» in mezzo al «gelo» di tanta posta elettronica e di messaggi on line.

Andrea Fagioli