(Rimini, dall’inviata Sir) – L’uomo deve essere sempre e comunque rispettato. Al convegno dei direttori diocesani della pastorale sociale, in corso a Rimini, è stato ricordato, con questa sua frase, mons. Fernando Charrier, già presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, morto il 7 ottobre scorso dopo una lunga malattia. Un messaggio che mons. Charrier avrebbe dovuto portare di persona al convegno, al quale era stato invitato. Questa mattina lo hanno citato più volte mons. Giampaolo Crepaldi e mons. Paolo Tarchi, suoi successori alla direzione dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro. Mons. Crepaldi, direttore dal 1985 al 1994, ha ricordato le sfide principali di quell’epoca, a cominciare dalla necessità di dare nuovo slancio alla dottrina sociale della Chiesa in un contesto in cui con la crisi della Dc s’impose in maniera urgente un ripensamento dell’impegno sociale e politico dei cattolici. Sul Progetto Policoro, creatura del predecessore, mons. Mario Operti, si è soffermato invece mons. Tarchi: Nel 2000 ha ricordato gli animatori del Progetto erano solo 19. Coinvolgendo le diocesi del Sud Italia e formando una èquipe stabile e strutturata, gli animatori arrivarono a 94 nel 2008. È rimasto attuale invece, ha proseguito mons. Tarchi citando un’indagine voluta dal suo Ufficio nel 2008, la fragilità degli uffici diocesani del lavoro: Solo 15 dei 182 che risposero operavano a tempo pieno mentre un terzo non aveva a disposizione per le proprie attività nessun tipo di budget. Il lavoro, nel suo essere dignitoso, può diventare anche sede di un dialogo profondo e di una collaborazione proficua tra ragione e fede. Quella stessa collaborazione che auspica l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, ricordata a Rimini da don Domenico Dal Molin, direttore del Centro nazionale vocazioni, intervenuto al convegno dei direttori diocesani della pastorale sociale. Talvolta la sensazione, anche nel lavoro afferma è che i prodotti del suo ingegno siano in rotta di collisione con quello che è il mondo che il Signore spera per tutti noi. Il riferimento è al lavoro oggi troppo spesso limitato ad una pura dimensione di autosufficienza in un contesto in cui, sottolinea don Dal Molin, l’uomo viene considerato unico artefice del proprio destino. Eppure anche nel lavoro è possibile trovare quella vocazione che, intesa come chiamata di senso, è trasversale a tutta l’attività pastorale. Citando le stesse parole pronunciate ieri al convegno di Rimini dal card. Bagnasco sull’importanza di vivere una vocazione in una società decente, Dal Molin si sofferma sulla possibilità di adottare uno sguardo nuovo anche in una realtà che oggi ha più motivi per essere guardata con preoccupazione. Solo così, recuperando una prospettiva, è possibile conclude riscoprire nel lavoro un modo per andare oltre lo spaesamento attuale. (Sir)