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L’attenzione alla donna: il «grazie» non basta

di Giulia Paola Di Nicola Giovanni Paolo II ha osato porre sul tappeto delle discussioni teologiche e delle attenzioni dei cardinali la questione delle relazioni tra i generi. La “Lettera del Papa alle donne”, preparata in vista di Pechino (1995), e prima ancora la “Mulieris Dignitatem” (1988) sono documenti rivoluzionari che hanno rinnovato le categorie portanti della cultura cristiana grazie ad uno scavo antropologico e teologico con quale il Papa ha accolto e reinterpretato quanto le donne nel secolo appena passato sono andate scrivendo e costruendo alla luce della Parola. Si è trattato di una lettura nuova dei segni dei tempi ma, allo stesso tempo, di una “rivoluzione incompiuta”. LE “CONQUISTE”. Tra i punti più innovativi (con riferimento alla Lettera alle Donne) per i quali offrire un sincero ringraziamento a Giovanni Paolo II, occorre sottolineare: la convinzione che il misconoscimento della dignità e dei diritti delle donne rappresenta un impoverimento per la società tutta, privata troppo a lungo della sua risorsa preziosa; la consapevolezza che “il grazie non basta”, se non è accompagnato dal giusto riconoscimento dei diritti, in conformità da un lato alla dichiarazione universale dei diritti della persona e dall’altro alla specifica condizione di svantaggio delle donne. Ne consegue il richiamo ad una “effettiva uguaglianza dei diritti della persona e, dunque, parità di salario, rispetto, parità di lavoro, tutela della lavoratrice madre, giuste progressioni nella carriera, uguaglianza fra coniugi nel diritto di famiglia, riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri del cittadino in regime democratico”; l'”ammirazione per le donne di buona volontà che si sono dedicate a difendere la dignità della condizione femminile attraverso la conquista di fondamentali diritti sociali, econo mici e politici… in tempi in cui questo loro impegno veniva considerato un atto di trasgressione, un segno di mancanza di femminilità, una manifestazione di esibizionismo, e magari un peccato!”; il debito di riconoscenza verso le donne che in punta di piedi hanno costruito la storia, dando “un contributo non inferiore a quello degli uomini e il più delle volte in condizioni ben più disagiate. Penso, in particolare, alle donne che hanno amato la cultura e l’arte e vi si sono dedicate partendo da condizioni di svantaggio, escluse spesso da un’educazione paritaria, esposte al misconoscimento ed anche alla sottovalutazione del loro apporto intellettuale”. Ed ancora, l’approfondimento del principio antropologico e biblico dell’aiuto reciproco non solo per quel che riguarda la famiglia, ma anche per tutta l’opera umana della cultura e della costruzione della società; il riconoscimento e il rammarico per le responsabilità oggettive di “non pochi figli della Chiesa”. Questo “coraggio della memoria” e questo “franco riconoscimento delle responsabilità” costituiscono effettivamente un modello paradigmatico di applicazione della giustizia e del perdono nelle relazioni tra popoli, Chiese e gruppi sociali; la sottolineatura, già presente nella Centesimus annus, che l’impegno di tutti a rimuovere le discriminazioni è “un atto di giustizia, ma anche una necessità. I gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia… Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa, perché contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la ‘civiltà dell’amore'”.

Infine, la denuncia della sottovalutazione della maternità, spesso più penalizzata che socialmente sostenuta, della prostituzione e della violenza sessuale. Ancor più profondamente, il Papa, soffermandosi sulla “lunga e umiliante storia – per quanto spesso sotterranea – di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità”, vi collega il male intrinseco dell’aborto; l’invito a non arrestarsi alla denuncia delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma ad impegnarsi “per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile”.

LE SPERANZE. Il ritardo della Chiesa in questo campo è già costato caro e non promette bene per il futuro. È vero che il Concilio Vaticano II ha rappresentato una svolta decisa, ma la questione femminile sollevata dalle donne un secolo prima vi era appena sfiorata. Molteplici (presenza femminile nella Chiesa e potere decisionale dei vertici maschili; diaconato e matrimonio; insegnamento e riflessione teologica; la questione dei ministeri; il potere della Tradizione e quello della Chiesa) sono i temi di discussione sui quali si dovrebbe essere in grado di riflettere apertamente senza intaccare l’unità della comunione ecclesiale, sapendo che se è possibile affrontarli è grazie ad un grande Papa che ha avuto il coraggio di mettere il dito sulla piaga e proporre la sua “antropologia uniduale”.