Opinioni & Commenti
L’assurdo caso del burkini, aria fritta di mezza estate
Sono stato invitato a esporre il mio personale parere sulla faccenda del burkini. Onestamente preferirei tacere: per due motivi. Primo: non ho ancora del tutto perduto la fiducia nelle facoltà raziocinanti dei miei simili, per cui ritengo che tra qualche giorno questo nuovo pallone pieno d’aria fritta che i media (e qualche politico dedito all’accattonaggio molesto di voti…) ci hanno rifilato come regalo estivo sarà già dimenticato, tantopiù che ormai la stagione dei bagni è già molto inoltrata. Secondo: ho un senso di disagio, quasi di pena, nel vedermi ridotto a ricordare a qualcuno due o tre norme di banale convivenza e di necessario rispetto altrui.
Ad ogni modo, se amassi le vacanze al mare (non so nemmeno nuotare) a questo punto mi presenterei in spiaggia con un bel costume di quelli che andavano tanto ai primi del secolo scorso: quelli di solito a righe bianche e blu, che ti coprivano dal collo fino al polpaccio lasciandoti libero solo la testa, le braccia e i piedi; e magari, anche per scrupolo igienico, mi calcherei in testa una bella cuffia di plastica di quelle che si usano in piscina. Vorrei proprio vedere chi avesse a che ridire; o chi invocasse una legge che impedisca revivals nostalgici e ripescaggi di mode d’antanBei Tempi di Quando c’Era il Re e pertanto illegittimo in quanto implicito oltraggio alle istituzioni repubblicane.
Che poi, anche se così fosse, risponderei che il processo alle intenzioni non si può fare e che io – nel rispetto appunto delle leggi vigenti e del comune senso del pudore – mi abbiglio, in spiaggia o altrove, come mi pare e piace. Ora, qui ci si trova davvero dinanzi a una novità che «fa notizia»: come si spiegava una volta ai novellini nelle redazioni dei quotidiani, cioè che un cane che morde un bambino non fa notizia, mentre un bambino che morde un cane la fa.
In effetti, in tema di costumi da bagno, che io sappia i criteri cui uniformarsi sono tre: primo, debbono rispettare comuni e semplici regole igieniche (quindi essere puliti e confezionati con materiali non tossici né inquinanti); secondo, non debbono impedire la piena libertà dei movimenti; terzo, debbono rispettare quel che un tempo si definiva il «comune senso del pudore» (vi sono spiagge nelle quali signore e signorine possono accedere a petto scoperto o indossando costumi audacissimi e anche spiagge per nudisti, ma fino ad oggi non è mai successo che a qualcuno – uomo o donna – fosse impedito di arrivar sotto l’ombrellone troppo vestito: salvo regolamenti particolari in specifici ambienti o in circoli esclusivi). Abbiamo ormai gli occhi pieni di burkini d’ogni foggia, colore e dimensione: a quanto sembra, essi rispettano in pieno queste tre regole. Per vietare questo tipo d’indumento balneare, pertanto, bisognerebbe scrivere una bella legge che impedisse di esporsi in pubblico un po’ più coperti se lo si fa per motivi di convinzione religiosa: ma qualunque legislatore vi spiegherebbe che leggi di questo genere, grazie a Dio, non se ne possono fare per la limpida ragione che vietano uno dei diritti fondamentali dell’individuo, quello della libertà di pensiero e d’espressione.
E, premesso che in tutti i paesi liberi esistono spiagge riservate alle quali solo un certo tipo di persone ha diritto di accedere, voglio proprio sperare che a nessuno venga al contrario in mente d’inaugurare spiagge all’insegna dell’apartheid, l’accesso delle quali sia vietato a qualcuno per motivi di razza, di religione, di sesso, di gender, di convinzione politica, di età o altro. A parte poi il fatto che molte donne potrebbero anche aver piacere, o necessità per motivi di salute, di non prender troppo sole sulla spiaggia: e il burkini è a ciò adattissimo. Chi ha mai detto che lo debbano indossare solo le musulmane? A questo punto, si pone comunque un problema di elementare convivenza. Signore e signorine musulmane, che hanno un concetto del corpo umano ispirato a un dato rigore, non potranno certo protestare sulle nostre spiagge in caso che le loro vicine d’ombrellone, agnostiche o di altra fede religiosa, sfoggino abbigliamenti troppo audaci: da noi la legge lo consente e chi non ama questo tipo di spettacoli è pregato di rivolgersi a stabilimenti esclusivi – di solito privati – dove il suo personale senso del pudore sia tutelato. Ma il caso opposto è impensabile: nessuno può certo protestare perché gli tocca ad assister in spiaggia a esibizioni di pudore ch’egli ritenga «eccessive», che possono anche urtare i suoi fieri sensi libertari ma non offendono né danneggiano nessuno.
Ciò premesso, che cosa resta? L’isterìa dei soliti fallaciolatri (intendasi: adoratori di Oriana Fallaci) per i quali tutte le occasioni sono buone per gridare alla profanazione della nostra identità, alla «cultura della resa» dinanzi all’arroganza musulmana, ai nostri bei panorami marini minacciati da chi vuol ridurci a vivere in Eurabia, al burkini come propaganda fondamentalista e quindi apologia di terrorismo e amenità del genere.
D’altronde, la cosa sta risolvendosi da sola. Premesso che non sembra proprio che le spiagge siano invase da gente in burkini, qui in Francia dove sono adesso qualche sindaco ha emesso ordinanze che vietano tale indumento. Ma il Consiglio di Stato ha impugnato la loro legittimità in quanto, appunto, suscettibile di violare una libertà fondamentale. Ci sono sindaci che preferiscono anteporre la loro arroganza e la loro ricerca di squalificati ma facili consensi ai loro doveri: insisteranno con l’ordinanza e ne affronteranno le conseguenze. In Italia, quando queste righe vedranno la luce, sarà già accaduto qualcosa di analogo.