Vita Chiesa

L’ascesi? Non è rinuncia, ma libertà

Può sembrare strano che il grande San Paolo, uomo che, certo, non ha mai fatto sconti a se stesso in materia di digiuni e rinunce, faccia una certa critica a quell’ascesi che, in nome dell’amore per Cristo, non risparmia durezze e austerità. Per secoli e secoli, l’autentico cristiano è stato colui che disprezzava il corpo a favore di un’esaltazione dello spirito. Leggiamo, nella vita di grandi mistici medievali, i maltrattamenti che essi riservavano al corpo, quasi per castigarlo del suo essere un impedimento alla santità dell’anima. Sono vissuti in un tempo in cui questo era il modo di intendere la religiosità.

Ma San Paolo così ammonisce i Colossesi: «Fratelli, nessuno vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; la realtà invece è Cristo!». E, più avanti, continua: «Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali “Non prendere, non gustare, non toccare”? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2). Ciò che apparentemente può sembrare ascesi di un’anima illuminata, può divenire addirittura mezzo di soddisfazione personale. Paolo non denigra il digiuno e la penitenza, ma di certo esorta i cristiani a persuadersi che la salvezza non sta negli sforzi umani («osì che nessuno possa gloriarsi»!), quanto in un dono gratuito di Dio che, certo, richiede corrispondenza.

Scrive A. Grun: «oi pensiamo che Dio voglia che noi soddisfiamo questo o quell’ideale; più o meno, che abbiamo sempre il controllo di noi stessi, che siamo sempre gentili e disponibili, sempre disposti a cedere, mai egoisti. Ma non si tratta della volontà di Dio, bensì del nostro ideale attraverso il quale appaghiamo il nostro amor proprio. La volontà di Dio è l’umanità vivente» E ancora: «l soffocamento delle proprie esigenze e dei propri impulsi porta all’aggressività verso se stessi e alla durezza verso gli altri» Ciò che Dio chiede è un grande sì all’Amore che, certo, comporta delle rinunce, ma solo come conseguenza del sì. Scrive Grun: «ivere in armonia o in pace con se stessi non può voler dire che io soddisfo tutti i miei desideri. Perché in quel caso dipenderei completamente dai miei desideri e dalle mie esigenze» Il cristiano è, dunque, chiamato alla libertà più profonda, che ritrova nel percorrere la strada che Dio gli indica, senza disprezzare niente, ma semplicemente evitando tutte quelle vie che gli impedirebbero il raggiungimento della meta. E il traguardo non è tanto la perfezione, quanto l’essere in Cristo.Suor Mirella Caterinadelle contemplative domenicane di Pratovecchio