Cultura & Società
L’arcobaleno, porta del Paradiso
di Carlo Lapucci
Quando la pioggia s’incontra col sole in quel tempo che i raggi irrompono dal cielo aperto nell’aria carica di vapori lasciati dal temporale può apparire l’arcobaleno, spettacolo sempre diverso e nuovo che sorprende chi lo vede e non può fare a meno di fermarsi un attimo commosso. È una visione magica che gli antichi fissarono in un mito e in un nome: Iride, bella fanciulla dall’abito svolazzante fatto di tutti i colori, veloce messaggera degli dèi tra il cielo e la terra, ma soprattutto ancella di Era, divinità dell’aria. Figlia di Taumante (la meraviglia) e di Elettra (lo splendore) era una ninfa oceanina.
Il nucleo mitologico greco consiste proprio nel vedere l’arcobaleno come tramite tra il cielo e la terra e questo concetto appare in pratica in tutte le visioni mitiche degli altri popoli che in gran numero gli hanno dato nome di arco. La parola richiama naturalmente il ponte, l’arcata sospesa nel vuoto che unisce due punti e l’arco come arma, che ha la stessa forma curva e serve a lanciare la freccia che unisce anch’essa due punti: la corda e il bersaglio. Posto che il sole lancia i suoi raggi come saette che generano l’arcobaleno, l’arco è quello d’Apollo, divinità solare.
L’etimologia del termine che noi usiamo per indicarlo è assai misteriosa. L’idea più comune è che il baleno sia da intendere come lampo, non come scarica elettrica che lampeggia vicina e viva, appare e scompare rapidamente, ma alla tenue luce del baleno lontano che appare incerto illuminando da dietro una massa nuvolosa, senza l’evidenza, la forza, la forma che possano far pensare a una saetta. La parola ha un’attestazione relativamente recente (XIV secolo) e non ha equivalente in altre lingue o dialetti, che usano altri tipi di metafore o perifrasi. Poca probabilità ha anche il collegamento che alcuni fanno con il termine balena, e nemmeno altre ipotesi ci convincono, per cui affacciamo la nostra: che si tratti di una locuzione del tipo Arco di Beleno, il dio celtico venerato anche in Gallia in Bretannia come divinità solare il cui culto in Italia è documentato da iscrizioni nella zona di Aquileia: un dio solare, quindi armato di frecce, come Apollo, dio dall’arco d’argento, ma non vi sono altri elementi a favore.
I latini lo chiamavano arcus pluvius, oppure caelestis, imbrifer, Venerisarcus.
Nell’iconografia spesso Cristo siede sull’arcobaleno ed è considerato il suo trono, con riferimento al passo evangelico: «Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo, e tutte le tribù della terra si batteranno il petto, e vedranno il figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli che con trombe dallo squillo potente, raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli» (Matteo XXIV, 18 e segg.).
Questo grande prestigio si è tradotto in proibizioni e tabù che tendono ad affermare il rispetto dell’arcobaleno come segno o voce del divino.
Davanti all’arcobaleno non si deve fare alcun bisogno corporale.
Non lo si deve additare.
Non si deve bestemmiare quando è disteso nel cielo.
Non si deve in particolare orinarvi contro, né pronunciare ingiurie, maledizioni.
Viene chiamata nell’Italia meridionale dell’Italia male dell’arco l’itterizia che ha come manifestazione di ingiallire la carnagione con sfumature di altri colori. È detta così per il fatto che in più luoghi a lungo si è ritenuta effetto di un’ingiuria fatta all’arcobaleno particolarmente quella di orinarvi contro quasi come il dileggio di voler costruire simbolicamente un altro ridicolo arco di colore giallo.
Altrove si crede che la malattia derivi da forti paure, grandi dispiaceri che provocano uno spargimento della bile nel sangue. Da questa idea vengono le cure con ingestione di fiele di bue, oppure di pidocchi, cimici che assorbirebbero il fiele sparso nelle viscere, ma sempre si fa riferimento a quello che nella fantasia popolare è il patrono dei colori, l’iride e a questo rimandano in genere le cure diverse. Frequente è l’uso di annodare fili di vario colore, secondo quelli dell’arcobaleno e formare una cordicella che si fa portare al malato.
La cura più nota è quella di prendere un ramo curvo di frassino, o di nocciolo, piegarlo a forma di piccolo arcobaleno e farvi passare e ripassare sotto più volte il malato. Molti, ignorando l’origine credono che il male dell’arco prenda nome da questa cura.
Infinite poi sono a livello locale le cure per questo male che hanno come base l’idea che derivi dall’arcobaleno. In Calabria il male dell’arco si ritiene originato dall’aver fissato a lungo l’arcobaleno o dall’averlo indicato con un dito.
Fenomeno di ottica atmosferica l’arcobaleno si presenta in genere nella bella stagione, dovuto a rifrazione e riflessione della luce solare attraverso gocce di vapore acqueo diffuse nell’atmosfera. Appare solo quando il sole ha un’altezza inferiore ai 42° sull’orizzonte, altrimenti non può raggiungere l’occhio dell’osservatore, e varia secondo il punto da cui si guarda per cui, da posizioni diverse, ogni osservatore vede il suo arcobaleno. Non solo, ma in pratica non esiste arcobaleno uguale a un altro, non solo per la diversità del punto d’osservazione, ma per il fatto che, variando le condizioni atmosferiche, l’intensità della luce, la grandezza delle gocce di vapor acqueo, variano l’ampiezza delle fasce cromatiche e l’intensità dei colori.
Vi sono, se pure rarissimi, arcobaleni notturni prodotti dalla luce della luna in cui i colori sono spenti, non molto chiari e poco distinguibili con effetti psicologici di languore e malinconia.
Chi li fissò in questo numero (che rimane tradizionale e convenzionale) fu Newton che li fece risultare dal fenomeno di scomposizione della luce ottenuta per dispersione facendola passare attraverso un prisma, oppure gocce d’acqua piovana, ovvero nella trasparenze delle bolle di sapone. In pratica fu lui ad aprire lo scrigno segreto dell’arcobaleno con i suoi studi sulla luce e sui colori. Ancora oggi si parla dei sette colori, anche se lo stesso Newton nell’analizzare l’arco spesso ne individua cinque, ma quando li ordina ne considera sette. Così avviene nel suo noto cerchio cromatico col quale, per veloce rotazione, ottiene il bianco.
La tradizione distingueva sette colori nell’iride senza che ci fosse una credenza consolidata o un ipse dixit. Alcuni come Dante la seguivano, ma molti non la ritenevano una certezza, né si accordavano su quali colori. Newton individuò rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, violetto, disposti nel cerchio in sette parti proporzionali alle sette note musicali. Questa analogia è sorprendente in un procedimento scientifico e Newton, che ne è consapevole, scrive: «Ho concepito questa regola in modo abbastanza rigoroso per la pratica, sebbene non matematicamente rigoroso».
In un insieme fluido come l’iride si possono discernere infiniti colori, come segnare confini precisi a piacimento, soprattutto sapendo che mai si verificherà un altro arcobaleno uguale. Scrive Marc Lévy-Leblond: «Newton procede a questa discretizzazione dello spettro pienamente consapevole della contraddizione che esiste tra la realtà e il suo desiderio di una rigorosa classificazione in sette colori semplici distinti… Questa esperienza è una vera e propria manipolazione in ogni senso del termine».
In realtà a Newton interessavano aspetti ben diversi da quello di stabilire un’analogia tra i colori e le note musicali: rifacendosi a Pitagora e a Platone comprendeva che il sapere mira essenzialmente all’unificazione dei fenomeni in un cosmo coerente e unitario, aggregante e corrispondente nelle sue parti in maniera tale da creare un’armonia. Anche Einstein mirava a scoprire l’equazione totale. Il grande inglese, studioso di scritture esoteriche e dell’Apocalisse, si accorgeva invece di vivere in un tempo in cui le scoperte divaricavano e sbriciolavano la realtà in una visione incoerente e disordinata con effetti che noi ormai conosciamo bene e che lui forse intuiva. Per questo scelse, in modo che pare a me commovente, di mantenere la catena delle armonie universali, di cui il sette è forse l’anello fondamentale, seguendo un uso della matematica per fini filosofici, le tradizioni classiche e quella giudaico cristiana: sacramenti, doni dello Spirito Santo, opere di misericordia corporali, opere di misericordia spirituali, virtù, vizi capitali, le Pleiadi, le stelle dell’Orsa Maggiore, le stelle dell’Orsa Minore, le stelle d’Orione.
Arcobaleno mena il sereno.
Scrive Dante (Paradiso XII, 16):
Diversa è la cosa se si passa sopra o si scavalca l’arcobaleno. È una credenza nordica che se si riempie una borsa, o una scarpa di pezzi di metallo e si lancia sopra l’arco facendola passare dall’altra parte, i metalli si tramutano in oro.
Ciò significa che oltrepassare l’arcobaleno comporta superare il limite del mondo reale per entrare nel mondo dell’eternità, il cui simbolo è l’oro incorruttibile.
Passare l’arcobaleno è affacciarsi di là dalla porta del mondo e se ne torna mutati: da piombo in oro, da maschio in femmina, come nel passaggio di un altro confine, quello del tempo, al solstizio, nella Notte di Natale, tutto per un attimo diventa d’oro. Nella lingua anamita il nome dell’arcobaleno è Porta del cielo: «Sô bloi» mentre, si dice anche Arco di Dio, del Paradiso, della Trinità.
Si dice anche che l’iride attinge l’acqua dai laghi con grandi secchie d’oro: chi riesce a raggiungere il punto dove l’Arco di Noè sfiora la superficie può prendersi quante vuole di quelle secchie diventando ricchissimo. Ma si oppongono i malvagi scienziati che con i loro calcoli hanno stabilito che nessuno potrà mai raggiungere l’arcobaleno.
Se predomina il violetto ci sarà un buon raccolto di uva e vino.
Se predomina l’arancione ci sarà un buon raccolto di granturco.
Se predomina il giallo ci sarà un buon raccolto di grano.
Se predomina il verde sarà un’annata favorevole agli ortaggi e all’erba.
Se predomina il rosso ci sarà un buon raccolto di olio.
Se predomina l’azzurro ci sarà un buon raccolto di castagne.
Arc as dai cèu – Arco del cielo (Provenza)
Arc de Dieu – Arco di Dio (Vallone)
Arcandèl – Arco candela (Piemonte)
Arcbalestr – Arco di balestra (Parma)
Arc-en-ciel – Arco in cielo (Francia)
Pai-jô – Arco del tuono (Siberia)
Rainbow – Arco della pioggia (Gran Bretagna)
Bwa y Drindod – Arco della Trinità (Galles)
Arcu de Noé – Arco di Noè (Sicilia)
Arc di S. Marc – Arco di S. Marco (Friuli)
Arco de S. Marti – Arco di S. Martino (Spagna)
Lost ar bleiz – Coda di lupo (Bretagna)
Cuoronne de S. Bernard – Corona di S. Bernardo (Metz)
Cuoronne de S. Léonard – Corona di S. Leonardo (Vosgi)
Dangaus josta – Cintura del cielo (Lituania)
Dewlèskeri – Tzigani Himmelring – Cerchio di cielo (Baviera)
Poin de S. Bernard – Ponte di S. Bernardo (Provenza)
Qaws – Arco (Arabia)
Ray-duga – Arco del Paradiso (Russia centrale)
Ustarguia – Luce di luglio (Paesi baschi)