Toscana

L’Aquila, Pasqua sotto le tende

di Damiano Fedeli

«Non abbiamo più niente, ma abbiamo tutto». A guardare questo anziano, barba di giorni e basco in testa, non diresti mai che è una persona che ha tutto. Il suo «tutto», adesso, è un letto, due coperte di lana e un sacchetto di plastica. Ecco Centi Colella, periferia dell’Aquila. Dentro un campo coperto da calcetto, in uno degli impianti sportivi trasformati in campo sfollati, una branda accanto all’altra: quattrocento letti tutti in fila dove ogni residuo di intimità e di casa è cancellato. Trenta secondi in quella notte maledetta e il «tutto» di prima del signor Massimo se n’è andato, fra le crepe di una casa  che chissà quando potrà tornare a ospitarlo. Eppure lui, e sua moglie, si sono salvati. «E di questo ringraziamo Iddio», racconta. La moglie chiede una scopa e comincia a pulire intorno al letto («almeno cerchiamo di fare qualcosa che assomigli alla nostra vita di prima») e lui continua a ripetere: «Non abbiamo niente, ma abbiamo tutto, perché abbiamo tutte queste persone che ci sono venute ad aiutare». «Sì, chi si lamenta, farebbe peccato. Peccato mortale», gli fa eco la moglie.

La città dell’Aquila è devastata, anche nelle periferie, negli edifici più nuovi. Non ce n’è uno che non abbia uno squarcio, uno spiraglio da cui s’intravedono i frammenti di una vita che non c’è più. Un quadro appeso alla parete, i faldoni di un ufficio, un ventilatore. L’atmosfera è irreale, ovattata, le voci, i suoni, i rumori non sono quelli che ti aspetteresti. La voce della città è diventata un grido, quello del continuo rincorrersi degli allarmi che suonano a ogni minima scossa che impietosa torna a far tremare la terra. Intanto la gente si mette in fila, paziente, davanti ai vigili del fuoco. Tutti in coda per mandare i pompieri a recuperare qualcosa nelle case, qualche vestito, i soldi, uno stendino per i panni.

La città adesso vive nei campi sfollati e in questa mattina del sabato, vigilia di Pasqua, cinque giorni dopo la tragedia della scossa devastante, tenta di riappropriarsi della propria vita. C’è il signor Fausto, zio della bimba nata durante il terremoto «e che adesso sta a Pescara con i genitori». C’è Dorin, il muratore rumeno, «salvo perché la notte mi piace far tardi a risolvere i rebus, così ho sentito la scossa in tempo e ho portato fuori mia moglie e mia figlia». C’è Nicola, 11 anni, che a ogni tremito della terra riprova il terrore di quella notte e si paralizza completamente.

Le frazioni intorno sono paesi che non ci sono più: Bazzano, Fossa, San Gregorio. La tristemente famosa Onna in cui sono rimaste in piedi solo tre case. Davanti a una di queste, una signora è venuta a dare da mangiare ai suoi polli. E intanto piange per i quaranta morti del paese «Eravamo, siamo una famiglia», racconta mentre richiama il nipote che tenta di far volare un aquilone a due passi dalle macerie. A Sant’Elia (nella foto) è venuta giù una parete della chiesa di San Lorenzo, facendo vedere da fuori la statua del santo. «L’aveva fatta costruire mio zio prete, questa chiesa», racconta una donna piangendo.

Di giorno il sole picchia forte e addirittura c’è urgenza di creme solari, specie per gli anziani, costretti a passare tutto il giorno all’aria aperta. Ma appena viene sera, un’aria freddissima arriva dal Gran Sasso innevato, rendendo davvero duro dormire nelle tende. Cala la notte. E passando per le statali, fra le deviazioni e le macerie delle casa, quello che salta agli occhi è che si vedono solo le luci arancioni dell’illuminazione pubblica. Tutte le finestre delle abitazioni, vuote, sono spente. Da qualcuna sventola, surreale, un bucato di quasi una settimana prima.

È il giorno di Pasqua. Ci sono i volontari organizzati della Protezione civile e di tante associazioni, di ogni tipo. Gli scout si occupano di distribuire vestiti. Nel campo di Centi Colella i pompieri hanno reso agibile una palestra con delle docce. La voce si sparge e d’improvviso si scopre che i gesti cui nessuno fa mai caso, lavarsi la faccia davanti allo specchio, spazzolarsi i denti con acqua non gelida, pettinarsi, sono la cosa più bella del mondo. Da Roma sono arrivati tre parrucchieri  volontari che si mettono a fare sciampi e tagli alle signore. Poco importa che uno, forse, è un barbiere e le acconciature che crea non sono proprio femminili.

A Tempera il tendone che è mensa, sala tv, assemblea delle famiglie, si trasforma in chiesa. C’è un prete spagnolo che celebra la messa di Pasqua. Il parroco del paese non sta bene e non lo può fare. Sui tavoli ci sono i giornali con le foto di tutte le vittime. Non c’è nessuno che non pianga.

Fuori, cuochi venuti da ristoranti di tutta Italia danno una mano ai volontari (fra cui anche alcuni dal Lido di Camaiore) a preparare il pranzo. Accade anche a Montereale, un paesino sperso fra le montagne, dove il parroco, la «sindaca» e il maresciallo dei carabinieri passano a salutare tutti fra i tavoli, mentre gli abitanti vogliono in tutti i modi servire loro i volontari venuti qui dalla Calabria. «Quanta gente che è arrivata», si commuove Francesco, che ha cento anni e ha visto anche il terremoto del’58 “«quando ci costruimmo le baracche da soli e si dormiva in terra».

A Bazzano la Pasqua e la Pasquetta vanno via con la pala in mano. C’è da portare la corrente alle tende, così da poter finalmente accendere le stufe di notte. I bambini scorrazzano per il campo. Per alcuni sembra un gioco, meglio così. Di un uovo di Pasqua colossale regalato da un gruppo di pasticceri, resta solo un pezzo di scritta: «Nonostante tutto…».

Sono campi a cinque stelle…

«Devo dire che i toscani non li conoscevo e, anzi, ne ero un po’ diffidente. Non me li aspettavo di vederli così generosi, mi hanno sorpreso e dobbiamo tutti ringraziarli». La signora Raffaella è una delle abitanti di Castelnuovo, il paese che non c’è (nella foto). Il suo castello, la sua chiesa, le sue case non esistono più. Crollando, rase al suolo in trenta secondi, in quella notte di lunedì 6, si sono portate via sei vite. La Castelnuovo del giorno dopo vive nel campo base della Protezione civile della Regione Toscana. Qui, a fianco del borgo arroccato sui 900 metri, operano e fanno capo tante associazioni regionali di volontariato: il Vab, antincendio boschivo, che coordina, le Misericordie – Pistoia qui ha portato qui il proprio posto medico avanzato, ovvero un ambulatorio da campo – le Pubbliche assistenze Anpas, che gestiscono la mensa, la Croce Rossa. Ma ci sono anche i tecnici del Genio civile per visionare le case, la polizia provinciale di Firenze per prevenire lo sciacallaggio e garantire la sicurezza, e i veterinari e gli uomini di Legambiente che controllano i tanti animali randagi dispensando antiparassitari.

Gli abitanti del campo sono circa 200. Dai primi giorni i volontari toscani che li assistono sono un’ottantina, con un ricambio piuttosto frequente. Passata l’emergenza il loro numero diminuirà, ma – lo ha assicurato anche il presidente della Regione Claudio Martini, venuto in visita qui venerdì 10 – l’impegno della Toscana e dei suoi volontari durerà a lungo.

«Il campo lo abbiamo allestito già lunedì sera, il giorno stesso dell’emergenza», racconta Antonello Zamarchi, della Misericordia di Torre del Lago, mentre passa fra la ventina di grandi tende verdi da dodici posti dove vive adesso la popolazione. «È stato appena portato il riscaldamento nelle tende, grazie a queste grandi stufe che soffiano dentro aria calda», spiega Stefano Benedetti, rocciatore della Misericordia di Massa. Insieme a loro tecnici e volontari come Marco Puglisi o Francesco Marrano. Diversi sono stati in altre emergenze come in Umbria o a San Giuliano di Puglia. Ma con i volontari versiliesi c’è anche uno studente di 18 anni, Nicola Pardini, che ha deciso di passare qui le sue vacanze di Pasqua semplicemente «per aiutare gli altri».

Due maestre, entrambe si chiamano Giuseppina, una è in pensione, tengono a bada i bambini su cui si concentrano tante delle attenzioni (arriva anche un furgoncino del Siena Calcio con il sindaco Cenni e scarica per loro palloni e vestiti e accappatoi per i piccoli e per gli adulti). Volontarie della sezione femminile della Misericordia di Prato gestiranno qui una ludoteca per loro e per gli anziani. «Gestiamo questo servizio all’ospedale di Prato. Qui faremo non solo giochi, ma anche dopo scuola», spiega il governatore Maria Petrà.

«Questo è un campo a cinque stelle», ride una signora del paese con un curioso accento misto francese-abruzzese. Le docce calde sono arrivate presto, in arrivo ci sono anche le lavatrici. Intanto ci si arrangia lavando a mano. C’è anche una tenda che funge da chiesa e anche da moschea, per la numerosa comunità macedone. E ci sono gli psicologi «dell’emergenza» che passano per il campo, discreti: «Ci aspettavamo diffidenza, e invece le persone hanno bisogno di noi, ci vengono a cercare», racconta Marco Vieri Cenerini, dell’associazione Phantàsia di Firenze che ha mandato qui quattro psicologi. Due psicologhe le ha inviate qui anche la Misericordia di San Francesco, a Massa, «Un supporto alla popolazione, ma anche ai volontari», come spiega il vicepresidente Desiderio Antonioli. Sottolineano Rachele Anna Valori e Barbara Intaglietta: «Il volontariato dev’essere specifico, sempre più si delineano i bisogni di queste persone che vanno aiutate con il rispetto e il confronto a elaborare delle perdite enormi».

Poco distante da Castelnuovo, il suo comune capoluogo, San Pio delle Camere. Qui, nel campo gestito dai vigili del fuoco in congedo (nella foto), dieci Misericordie della provincia di Siena (Siena, Rapolano, Abbadia San Salvadore, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Sarteano, Asciano, Torrita, Torrenieri e Montepulciano) gestiscono un vero e proprio ospedale da campo da venti posti letto, in un enorme tubone gonfiabile riscaldato. «Ci sono tre medici, quattro infermieri e una trentina di volontari che portano avanti anche il servizio di 118», sottolinea Giampiero Ciacci, responsabile organizzativo. Qui nel campo è ospitato anche un malato di Sla che nonostante tutto non ha voluto lasciare il suo paese e la sua gente.

Dai monti alla periferia dell’Aquila. A Bazzano le Misericordie d’Italia gestiscono direttamente il campo da 400 sfollati. E anche qui tanti volontari dalla Toscana, da Livorno, da Prato, e ancora – ma l’elenco è lungo ed è quasi impossibile essere completi – da Pontassieve, Fiesole, San Mauro a Signa, Lastra a Signa, Uzzano. E proprio a Bazzano, a seguito dell’impegno per il sisma, nascerà presto una nuova Misericordia. All‘Aquila sono arrivati anche vari pulmini dell’Unitalsi Toscana, con una quindicina di volontari. «È la nostra prima volta come Protezione Civile», racconta Furio Fratoni, dell’Unitalisi di Prato. «Qui nel campo di piazza d’Armi ci occupiamo dell’organizzazione e della distribuzione del vestiario. Poi, naturalmente, stiamo vicini alle persone, specialmente i malati: abbiamo assicurato la nostra presenza, con vari volontari, fino almeno a giugno».

A due passi dall’ospedale che non ha retto alle scosse, c’è il campo, enorme, fra gli impianti sportivi da rugby del Cus Aquila. Qui, a Centi Colella, è la Misericordia di Empoli ad assicurare il presidio sanitario. Gionata Fatichenti (nella foto) coordina il lavoro, mentre la radio lo chiama in continuazione. «La cosa più straordinaria – racconta – è la gente di qui: c’è un signore che gira con due tartarughe “unica cosa che mi è rimasto”, spiega, ma non dispera. E le emozioni sono tante: alla vigilia di Pasqua, un’anziana, si chiama Colomba, guarda caso, è stata ritrovata qui dai suoi figli che la cercavano dovunque e la davano per dispersa». Appena il tempo per due lacrime e poi via, c’è da andare a prendere gli scatoloni dei farmaci.

«Lo conosce qualcuno di Scandicci?»«Sei è toscano, conosce mica qualcuno che sia di Scandicci?». Giovanni Tarquini ha 90 anni e due grandi occhi chiari. Cappello, bastone. Cammina a rilento fra le tende del campo di Bazzano, frazione dell’Aquila, sotto una pioggia sottile sottile. «Lo conosce qualcuno di Scandicci?». Arrivano dei volontari, proprio di Scandicci. E Giovanni comincia il suo racconto. «La guerra era finita da poco e avevo conosciuto uno che era di Ponte a Greve. Si chiamava Dolfi. Lo rividi subito dopo guerra, nel ’46, mi invitò a Firenze, da lui. E mi ricordo che venne a prendermi col calesse e che mi portò alla fiera a Signa». Il ricordo si interrompe più o meno qui, a più di sessant’anni fa. Ma la voglia di rivedere quel Dolfi o i suoi discendenti, per Giovanni, è tanta. I suoi occhi si bagnano. Le parole vanno via. Ricomincia la passeggiata, sotto l’acqua, verso la tenda, sua nuova casa. «Se lo trovate, ditegli che Giovanni Tarquini è vivo, alle tende di Bazzano». Vincenza e la sua badante ucraina«Vieni accà, assiettati». L’invito a mettersi a sedere viene da una tenda, nel campo che raccoglie gli sfollati di Paganica. La signora Vincenza (nella foto) ha 85 anni, accoglie con grandi sorrisi e fa cenno di mettersi davanti a lei, in quello che è l’ingresso della tenda. Ha uno scialle, due occhiali e legge un quotidiano, alla pagina dei viaggi. Sta lì e ride, ride. «Non si rende conto di niente, direi per fortuna», racconta Natasha, la badante cinquantenne, originaria dell’Ucraina. «L’ho aiutata a scappare dalla casa e ora siamo qua, ma siamo una bella coppia, non è vero?», e sorride alla sua «nonna», come la chiama con affetto. L’altra la guarda e ricomincia a ridere. «I miei parenti in Ucraina hanno visto le immagini dall’Abruzzo, vorrebbero che tornassi a casa. Ma io ho lei e non la posso lasciare. Chi si prenderebbe cura di lei?». Lasciarla è obiettivamente difficile. «ndù vai? Vieni accà, assiettati!». Corsinovi: «C’è una gran voglia di lavorare insieme»Passata la prima emergenza, anche il ruolo dei volontari cambia. «Sì, all’inizio c’era da tamponare i casi sanitari più gravi, ovviamente. Adesso la funzione sanitaria tornerà gradualmente nelle mani dei medici di famiglia e noi, ad esempio, assicureremo loro un supporto. Ma l’apporto dei volontari qui servirà a lungo, per molti mesi. Per questo le forze vanno dosate bene». Alberto Corsinovi (nella foto)è il vicepresidente della conferenza regionale delle Misericordie toscane. È qui in Abruzzo per raccordare il lavoro dei volontari della confraternita. «Le Pma, postazioni mediche avanzate, ovvero ambulatori da campo presenti in ogni tendopoli in questi primi momenti d’emergenza, lasceranno gradualmente il passo a postazioni sanitarie presidiate dal medico di famiglia. Lì i nostri volontari e il nostro personale garantirà il supporto e la logistica. Alle Misericordie ne spetteranno sei, all’Aquila e nelle frazioni». Ma come giudica l’organizzazione in Abruzzo chi ha vissuto diverse emergenze? «Ho visto una mobilitazione imponente», spiega Corsinovi. «Non tutti i campi funzionano ugualmente bene, ma è chiaro che più che passano i giorni, più che gli standard diventeranno alti. Ho notato una grande voglia di lavorare insieme da parte di tutte le associazioni, anche se forse occorrerà mettere meglio insieme le linee di comando. Ora l’impegno sarà di mesi e ci sarà da mantenere alta l’attenzione e la mobilitazione».

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