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L’Aquila nove anni dopo. Nell’area del «doppio cratere» dove la ricostruzione è «tutta in salita»
«La strada qui è tutta in salita» e non solo perché Montereale (Aq), è posto a quasi 1000 metri di altitudine in cima ad un colle che si affaccia sulla vasta Alta Valle dell’Aterno, tra alture ricche di castagneti che arrivano fino ai 1500 metri di altezza. Da qui il confine laziale non è lontano: Amatrice è solo a 25 chilometri, con tutte le sue ferite sanguinanti provocate dal sisma del 24 agosto 2016. Un dolore condiviso con altri comuni abruzzesi come Capitignano, Campotosto, Cagnano Amiterno e Pizzoli, centri abitati i cui nomi sono risuonati a lungo nelle cronache del sisma del 6 aprile del 2009 (Aquila). È questa, infatti, la zona del cosiddetto «doppio cratere», composta dai paesi colpiti sia dal terremoto del 2009 che del 2016, fino alle scosse del gennaio 2017. Lo sciame sismico non sembra voler abbandonare queste terre, così come la paura i suoi abitanti. Non basta conviverci con i movimenti della crosta terrestre per esorcizzarne la paura.
Nella storia locale resta viva la memoria del devastante terremoto del 1703 che distrusse L’Aquila e che cancellò quasi del tutto Montereale. Di quel passato restano il palazzo del ‘500 che aveva ospitato Margherita d’Austria, la torre civica e alcuni conventi. Oggi vestiti di impalcature e travi per evitare il crollo. Perché la terra trema ancora: ai primi giorni di giugno si sono registrate scosse di 3.1 con epicentro in diversi comuni tra cui Cagnano Amiterno e Montereale.
«La strada qui è tutta in salita» ripete il sindaco di Montereale, Massimiliano Giorgi, mentre nella casa comunale sfoglia l’ordinanza n. 51 del 28 marzo 2018 riguardante gli «interventi di ricostruzione su edifici pubblici e privati già interessati da precedenti eventi sismici». Ricostruzione da queste parti è, come si suol dire, una “parola grossa” e il sindaco lo sa bene. Il sisma del 6 aprile 2009 ha messo in ginocchio il comune aquilano che nel suo territorio annovera ben 36 frazioni. Pesanti i danni: crolli e lesioni degli edifici, chiese e scuole chiuse. Per tutto il 2010 movimenti tellurici hanno provocato l’attivazione della faglia che passa da Montereale al comune di Capitignano: circa 400 scosse fino al grado 4 della scala Richter ma senza vittime. Poi qualche anno di tregua per i circa 3000 abitanti, in gran parte artigiani e agricoltori. Il 24 agosto 2016, giorno del terremoto di Amatrice, è tornata la paura. Ai danni del 2009 si sono aggiunti quelli del 2016, alla ricostruzione del 2009, parzialmente partita, si è aggiunta quella del 2016, che attende di prendere il via.
«La strada qui è tutta in salita» anche perché l’ostacolo più grande da superare è, come per tutte le zone terremotate, «la burocrazia». Una sorta di muro di gomma su cui rimbalzano le attese e le speranze di tanti cittadini che hanno perso, nel migliore dei casi, la casa e che chiedono venga ricostruita. Un muro che rende difficile il lavoro dei Comuni. «Per ciò che riguarda il sisma del 2009 – spiega il sindaco Giorgi – avevamo stilato i piani di ricostruzione come molti altri comuni limitrofi. Dovevano partire lavori per i primi aggregati di abitazioni ma il sisma del 2016 ha bloccato tutto. Abbiamo dovuto così sospendere ogni attività nelle more di accertamento dei danni del nuovo terremoto. La stessa cosa si è ripetuta anche per il sisma del gennaio del 2017 che ha visto come epicentro proprio la nostra zona». Le speranze di ricostruzione ora sono tutte appuntate su questa ordinanza n.51: «la nuova normativa – dice il primo cittadino di Montereale – ci consente di dare continuità al lavoro amministrativo già intrapreso senza azzerarlo. L’ordinanza stabilisce i criteri per poter andare avanti e ci attendiamo di vedere i primi frutti. Sia i tecnici che gli uffici comunali e della ricostruzione sanno cosa devono fare. In questo modo si può dare il via all’approvazione dei progetti e al ripristino dell’agibilità delle abitazioni».
«Ma la strada resta tutta in salita». Perché non è facile essere «due volte terremotati» ammette, con sorriso amaro, il sindaco. «La differenza tra un Comune terremotato una volta ed uno terremotato due volte è semplice: è come pensare ad una persona già malata che si trova a fronteggiare un’altra patologia. La situazione di tanti centri di queste aree interne è già precaria. Abbiamo problemi legati allo spopolamento, alla mancanza di lavoro, alla viabilità compromessa, all’età media elevata della popolazione. Il sentimento prevalente che tocco con mano tra la popolazione è quello della rassegnazione. Affrontare la sfida della rinascita di questi territori con queste premesse è davvero difficile». Ma la speranza e la tenacia non fanno difetto da queste parti. Lo testimoniano i piccoli negozi aperti di Montereale che il sindaco definisce «dei veri e propri presidi sociali perché non hanno utenza, non hanno clienti, non hanno guadagno ma stanno aperti e per una legge del governo sono costretti a pagare di nuovo le tasse. Una cosa inaccettabile».
La pensano così anche Marcella Polidori e Adriana De Santis, di Montereale, mentre guardano i negozi ancora chiusi e gli aggregati di abitazioni inagibili – e per questo disabitate – che si rincorrono lungo il corso cittadino. «Qualche negozietto – dicono le due donne – ha riaperto sfruttando anche l’agibilità parziale. Ma è dura resistere. Mentre dopo il sisma del 2009 le tasse furono dilazionate in 10 anni al 40%, sul terremoto del 2016 e 2017 abbiamo dovuto pagare tutto al 100%. E così salteranno altri esercizi commerciali e piccole imprese. Nell’ultimo anno e mezzo, vale a dire dal sisma del gennaio 2017, qui hanno chiuso i battenti ben 7 attività commerciali. Per non parlare delle casette provvisorie che non sono state consegnate. Ci sono persone che vivono ancora in albergo». «Rischiamo la desertificazione di questa terra – aggiunge il sindaco Giorgi – ma non lo permetteremo mai. Anzi, spero, da qui a qualche anno di poter dire che la ricostruzione c’è stata e con essa la rinascita economica, lavorativa e sociale».
Tra gli edifici chiusi di Montereale anche la chiesa del Beato Andrea, ricostruita nel 1726 sulle rovine della preesistente chiesa duecentesca dedicata a Sant’Agostino. Era stata riaperta al culto ma il sisma di Amatrice l’ha resa di nuovo inagibile. Al suo interno, tra calcinacci e macerie, si trova la cripta che custodisce la teca d’argento contenente il corpo ancora intatto del Beato Andrea, morto nel 1479. La storia narra che 212 anni dopo la morte, il 13 settembre 1691, la salma del Beato levò in aria la mano destra a protezione di Montereale colpito da un violento terremoto. Allora come oggi.
«Il beato Andrea – dicono Marcella e Adriana – dovrebbe rialzare di nuovo la sua destra per spingere Montereale verso la sua ricostruzione materiale e la sua rinascita sociale ed umana».
Perché speranza e fede vanno sempre a braccetto, anche tra le macerie.
*inviato del Sir