Vita Chiesa
L’appello di mons. Cetoloni: «Non dimentichiamo la Terra Santa»
«Non abbiamo paura ad andare in Terra Santa! Non ci sono rischi, non ci deve essere timore. Il pellegrinaggio è sempre una ricchezza e ancor più ora: è un atto d’amore a quella terra e ai suoi figli». L’appello accorato è del vescovo di Grosseto Rodolfo Cetoloni, di ritorno dalla Palestina dove si è recato per alcuni giorni con una troupe di Tv2000 per registrare alcune Lectio sui Vangeli delle domeniche del Tempo di Pasqua (saranno trasmesse ogni domenica, a partire dalla II Domenica di Pasqua) nei luoghi più significativi di quella terra benedetta e martoriata. Per padre Rodolfo parlare della Terra Santa è alimentare una fiammella d’amore nel suo cuore che dura da decenni. Da quando, in particolare, da giovane frate francescano, appena emessa la professione solenne fu inviato a Gerusalemme per completare i suoi studi. Vi è rimasto dal 1971 al 1973, conseguendo la Licenza in Teologia e ricevendo lì l’ordinazione presbiterale il 26 giugno di 43 anni fa. Da Frate Minore prima, da Vescovo poi – pur impegnato in differenti ambiti di apostolato – ha continuato a coltivare questo amore forte, radicato verso la Terra Santa, organizzando pellegrinaggi, favorendo aiuti, sostenendo il lavoro della Custodia di Terra Santa.
Mons. Cetoloni, che cosa rappresenta per noi cristiani la Terra Santa?
«La Terra Santa è terra di passioni belle, di amori dolorosi, di ferite, è terra generatrice di legami forti. Per tutti: credenti o meno; ebrei, cristiani, musulmani. È la terra per eccellenza, santa appunto, a cui si pensa come a qualcosa di proprio e si vorrebbe solo per sé, ma che è chiamata a far incontrare tutti».
Per i credenti in Cristo quei luoghi acquistano un significato ancor più particolare nei giorni della Settimana Santa, quando facciamo memoria dei misteri della passione, morte e resurrezione di Gesù. Fatti accaduti lì.
«Senza dubbio la Settimana Santa segna per i cristiani giorni di amore e dolore, che ci fanno sentire quella terra ancor più vicina al nostro cuore. In particolare il Triduo sacro, giovedì, venerdi e domenica di Pasqua quando il Signore, “…avendo amato i suoi…lì amò sino alla fine”, prese il pane, fu innalzato sulla croce, sepolto e poi incontrato di nuovo, vivo! Nei giorni della Settimana Santa quei luoghi tornano di nuovo più familiari, noti anche a chi ancora non ha potuto visitarli. Sono luoghi cari a tutti e la Chiesa ha l’uso di raccogliere offerte, in particolare il Venerdì Santo con la colletta Pro Terra Santa, per sostenere i santuari, le comunità cristiane, le loro necessità».
C’è sufficiente sensibilità nelle comunità cristiane per questa colletta?
«Deve esserci! Deve essere una gara generosa, di amore e di condivisione come ci ha insegnato il Maestro: “Amatevi come io vi ho amati”».
Quali luoghi, quali segni sono i più significativi, nella Settimana Santa, nei luoghi della nostra salvezza?
«Durante la Settimana Santa le celebrazioni cattoliche e la devozione hanno elevato nei secoli memorie, tradizioni rituali (popolari e liturgiche), che “riportano” il cuore là dove tutti siamo nati. Tra il Calvario e il Santo Sepolcro c’è una piccola pietra chiamata “l’ombelico del mondo”. Quei luoghi ci hanno generati alla salvezza e ad una misura di umanità dove il divino si è spogliato di sé e l’uomo si è rivestito di immortalità: i testi, le memorie liturgiche raccontano; le forme popolari rielaborano con la fantasia dell’affetto. Anche chi non vi è ancora mai stato ha qualche immagine stampata negli occhi del cuore. E se il Golgota e l’Anastasis sono i luoghi centrali, ce ne sono altri che hanno preparato la nostra salvezza. I Vangeli ce li riconducono a Betlemme, Nazareth, Cafarnao, Betania, Gerico, nel deserto, sul Tabor, in Galilea. Se il rapporto tra Gerusalemme e la Terra Santa è come tra la geografia e la storia di un evento, il resto è come l’orizzonte che l’ha preparato e che per primo ne ha goduto».
Lei di recente ha fatto parte, come delegato CEI, dell’Holy Land coordination, il coordinamento Terra Santa costituito da vescovi da tutta l’Europa, dal Nord America e dal Sud Africa istituito dalla Santa Sede con lo scopo di visitare annualmente e sostenere le comunità cristiane di Terra Santa. Quale situazione avete trovato?
«Una situazione difficile, come in altri luoghi che in questo periodo occupano le cronache. Palestina ed Israele restano uno dei nodi essenziali per le problematiche della pace in Medioriente, nel Mediterrano, ma direi in tutto il mondo. “Domandate pace per Gerusalemme”, dice il Salmo, e quel sospiro di preghiera si allarga, dalla città santa, a tutte le terre intorno. I confini degli Stati sembrano sicuri, ma l’umanità intorno ha bisogno di respirare, di vivere, ha bisogno di pace. Non dimentichiamo la Terra Santa e allarghiamo il nostro sguardo a tutto il Medioriente e a quelle popolazioni, coi loro morti verso cui avere pietà e verso i profughi che da quelle terre cercano vita in Europa e in Occidente».
I pellegrinaggi sono in crisi…
«E invece bisogna continuare ad andare, proprio come pellegrini! Non ci sono pericoli particolari. Il pellegrinaggio è come riempire i polmoni di nuovo ossigeno, come ritrovare una fonte buona, come incontrare di nuovo i luoghi della propria infanzia, la propria casa. Ogni volta, anche se rivisti; ogni volta di più perché ne gusti meglio il messaggio e la testimonianza, andando oltre l’emozione della prima volta».
Potremmo dire che il pellegrinaggio fa bene a chi lo compie e fa bene anche ai cristiani di Palestina.
«È così. Attraverso il pellegrinaggio diciamo a quei popoli: non siete soli, i vostri problemi ci riguardano. E’ dare possibilità di lavoro a tanti che operano nei servizi, nella ricettività alberghiera, nei santuari. Il pellegrinaggio è una visita ai cristiani, piccola minoranza, che sono le pietre vive della Terra Santa e che ci permettono una continuità con essa».
La Conferenza Episcopale Toscana sta lavorando per favorire la ripresa dei pellegrinaggi. Come?
«Nelle ultime due riunione della CET è stato dato il via ad una iniziativa che va proprio in questa direzione. Gli uffici pastorali di Fiesole (con Carla Gonfiotti) coordineranno e daranno aiuto per i pellegrinaggi di singole Diocesi e tra Diocesi insieme. Dopo Pasqua vorremmo radunare tutti i sacerdoti, guide e animatori di pellegrinaggi per pensare insieme come muoversi».
Questo impegno conferma il legame solido che c’è tra la Toscana e la Terra Santa.
«In effetti la Toscana ha sempre avuto legami forti con la Terra Santa. Pellegrini del passato hanno scritto diari e descritto luoghi e santuari; frati francescani vi hanno speso la vita e ne hanno illustrato la storia e l’archeologia; artisti del secolo scorso l’hanno arricchita di opere. E tante offerte sono sempre state raccolte dai frati commissari di Terra Santa nelle parrocchie toscane. Fino a qualche anno fa c’era un calendario per cui ogni domenica il frate francescano toscano incaricato le visitava, parlava ai fedeli della Terra Santa, raccoglieva offerte per i santuari, le scuole, le opere della Custodia. Dagli anni ’90 questo servizio si è ulteriormente intensificato, certamente grazie ai frati, ma anche a tanti sacerdoti e laici che si sono impegnati per promuovere gemellaggi, sostegni economici e professionali. Basti pensare che durante la seconda intifada per un certo tempo sembrava che solo i toscani avessero il coraggio e la voglia di recarsi laggiù, di occuparsi di parrocchie, comunità religiose, santuari, opere di carità. Ne è un esempio la nascita di una realtà importante come la Fondazione Giovanni Paolo II, ma innumerevoli sono le altre iniziative fatte di aiuti, gemellaggi, visite, progetti accoglienza. Sarebbe bello farne una mappa, ma come tenere sotto controllo noi toscani? Impossibile, grazie a Dio! Dobbiamo continuare, perché sono convinto che siamo chiamati ancora una volta a dare un segno di attenzione e di coraggio a quella terra dove tutti siamo nati alla fede».
La colletta per la Terra Santa
«In quest’anno giubilare siamo più che mai esortati a dimostrare la nostra misericordia e vicinanza ai nostri fratelli del Medio Oriente». È quanto scrive il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che come ogni anno ha inviato una lettera ai vescovi di tutto il mondo per ricordare la Colletta per la Terra Santa che viene fatta, tradizionalmente, in tutte le chiese il Venerdì Santo.
«Rifugiati, sfollati, anziani, bambini, ammalati hanno bisogno di noi», scrive il cardinale Sandri: «In questa terra d’Oriente si viene uccisi, si muore, si viene rapiti, si vive nell’angoscia per i propri cari, si soffre quando la famiglia viene smembrata dalle emigrazioni e dagli esodi. Si sperimenta il buio e la paura dell’abbandono, della solitudine e dell’incomprensione». E tutto questo, commenta Sandri, «si ripercuote sul dovere di aiutare, di far fronte alle emergenze, di ricostruire e di trovar spazi, di creare nuovi modi e luoghi di aggregazione, di assistenza». «Tutte opere di misericordia, necessarie e urgenti», sottolinea il Prefetto a proposito di uno dei compiti del Giubileo. «Non possiamo restare indifferenti», scrive Sandri citando Papa Francesco: di qui la necessità di «tendere la mano per offrire generosamente il proprio contributo, e non aver timore di continuare i pellegrinaggi ai luoghi della nostra salvezza, ma anche cercando in essi di visitare le scuole e i centri assistenziali, luoghi del farsi prossimo dei cristiani locali, ascoltando le loro testimonianze. La Colletta per la Terra Santa ci richiama ad un dovere “antico”, che la storia di questi ultimi anni ha reso ancora più urgente, ma ci procura la gioia di aiutare i nostri fratelli».
La Colletta è regolata da specifiche disposizioni pontificie che ne stabiliscono l’assegnazione alla Custodia Francescana, incaricata del mantenimento dei santuari sorti sui luoghi santi e delle strutture pastorali, educative, assistenziali, sanitarie e sociali gestite dalle comunità cristiane. Un contributo è assegnato anche alle diocesi e ad altre comunità ecclesiali e famiglie religiose cattoliche presenti in Terra Santa. I territori che beneficiano sotto diverse forme di un sostegno proveniente dalla Colletta vanno da Gerusalemme, Palestina e Israele fino alla Giordania, Cipro, Siria, Libano, Egitto, Etiopia ed Eritrea, Turchia, Iran e Iraq.
La Colletta sostiene un rete scolastica capillare, specie attraverso le parrocchie, seminari e case di formazione religiose, centri di assistenza medica e sociale, opere culturali, imprese artigiane che garantiscono lavoro per molte famiglie. Un’attenzione particolare viene rivolta anche alle situazioni di emergenza, come quella della Siria e e dei profughi siriani accolti in Giordania e in Libano.