Cultura & Società
L’antico culto della Corona di spine
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di Carlo Lapucci
Tra le reliquie della Passione di Cristo la Corona di spine è oggi rimasta in ombra, pur avendo avuto in passato un culto sentito e diffuso. La corona è il più importante ornamento della testa che può costituire segno di dignità oppure essere destinato ad accrescere la bellezza, questo soprattutto nel caso che la porti una donna. È comunemente simbolo di un’eccellenza, di un primato, di una superiorità riconosciuta, come s’incorona un atleta vincitore e quindi tende a separare l’incoronato da tutti gli altri, elevandolo a una dignità superiore. Di solito si orna il cerchio variamente con punte che ricordano l’antico segno di potere costituito dal corno e significano anche raggi di luce, di forza, che emanano dalla persona. Il caso più vistoso è la regalità: la corona pone il sovrano al di sopra di tutti. Per questo ha caratteristiche di bellezza nella forma, di perfezione nella struttura circolare e di preziosità nei materiali che la costituiscono: oro, argento, pietre preziose, ovvero di provenienza sacra come nel caso della Corona ferrea.
Vi sono molti tipi di corone. La corona sacrificale era posta sulla vittima che veniva portata al sacrificio; si trattava di vittima comunque eletta, scelta e ritenuta la migliore per essere offerta alla divinità: assumeva anche valore di consacrazione al sacrificio, alla divinità. C’è ancora la corona nuziale: la sposa sovente si presenta incoronata con ghirlanda alla cerimonia delle nozze e anche in questo caso la corona vuol significare elezione, in quanto scelta dal marito per la bellezza e per le qualità. Si intendeva anche come segno di verginità e come indicazione del passaggio a una condizione esistenziale superiore. Anche oggi spesso si pone sul capo della sposa una coroncina di fiori stilizzata o un diadema. Vi sono poi corone naturali che la tradizione riconosce a certi animali, come nel caso della cresta del gallo che, unita alla fierezza e alla combattività, lo fa re del pollaio e simbolo della regalità. La corona è assegnata anche a esseri fantastici come il basilisco.
L’antenata della corona deve essere stata la ghirlanda: semplice intreccio di rami, di tralci, di fiori, che si pone sul capo come omaggio alla bellezza di una donna oppure su una persona di riconosciuta qualità, come la corona d’alloro sul capo del vate, o di quercia sulla testa di una statua sacra. Anche l’aureola, pur avendo altro significato e altra origine, condivide in parte la funzione della ghirlanda e della corona, tendendo a separare il santo in una zona di qualità elevata e a un onore singolare.
L’agiografia nei secoli ha immaginato le spine più grosse, gli aculei più dolorosi delle diverse piante per sottolineare l’aspetto del dolore. Ma il confine tra il simbolo della tortura e quello della gloria diviene, dopo la Resurrezione, sempre più labile, facendo leva anche sugli aculei che si tramutano il punte d’oro, raggi luminosi, fulgore della regalità divina. La natura vegetale della corona di spine richiama la ghirlanda della vittima sacrificale e l’unicità della sua forma ne fa il simbolo dell’amore e della regalità divini.
Sulla corona di spine sono nate credenze e leggende che poco hanno a che fare con il semplice racconto evangelico, ma molto con la fede e il culto dei secoli passati. Del resto quello che riguarda la Passione è sempre stato oggetto d’interesse e reverenza da parte dei fedeli e ognuno di questi elementi ha la sua storia, a volte complessa, e la sua simbologia: la Santa Croce, il velo della Veronica, la lancia di Longino, La Santa Sindone, le corde, la scala, i dadi, il titolo INRI, la coppa del Graal, il manto scarlatto, la colonna della flagellazione, la Scala Santa, la veste inconsutile, i chiodi della Croce, il martello e le tenaglie, i flagelli, la canna, la spugna, la fiasca dell’aceto. Tutti questi oggetti, alcuni del tutti impropri, venivano un tempo raffigurati lungo l’asta e sul braccio delle croci dei tabernacoli della campagna, o fuori delle chiese, oppure presso le cappelle, come pro memoria delle varie fasi della Passione di Cristo e delle sue pene. In cima era posta anche un’altra figura della narrazione: il gallo che cantò a San Pietro. Ormai queste croci sono quasi scomparse e spariscono man mano che il tempo le deteriora. Qualcosa di simile richiama una leggenda che vuol vedere nel fiore della passiflora questi simboli della passione di Cristo: corona, chiodi, martello.
Le piante che pretendono d’aver fornito i tralci per formare la corona sono molte e variano secondo i luoghi in cui crescono arbusti spinosi che alla tradizione è piaciuto identificare come quelli veri. Da noi, ad esempio si dice comunemente che siano stati rami d’acacia (intendendo la robinia), assai comuni nella nostra terra e che portano spine tra le più grosse, acuminate, e dure che si conoscano, capaci di procurare ferite dolorose lasciando spesso la punta rotta nelle carne. La pianta però è arrivata molto più tardi nelle nostre zone e ci sono altre piante sulle quali è caduta l’attenzione degli studiosi del passato e anche della voce popolare.
Le piante che sono considerate come quelle che con più probabilità potrebbero aver fornito i rami per la corona sono tre, appartenenti alla stessa famiglia delle ramnacee. Una è lo Zizyphus Spina-Christi, ma si indica anche lo Zizyphus vulgaris (giuggiolo). Più comunemente si indica in Europa il Paliurus aculeatus, detto anche Paliurus Spina-Christi, chiamato marruca ed ha una doppia spina: una più lunga dritta e una uncinata; spina cattiva (malaspina) perché secondo il proverbio: Marruca, uno attacca e uno buca.
Altre piante di siepe che si trovano indicate sporadicamente sono lo spino nero, lo spino bianco, il Lycium Europaeum, detto inchioda-cristi o spino da crocifissi; queste piante più che altro venivano usate per fare corone di spine da mettere sul capo ai crocifissi o opportunamente impiegate nelle sacre rappresentazioni.
La presenza di reliquie nelle varie località segue la logica dello zelo devozionale che le ha moltiplicate a dismisura, provocando anche il sarcasmo degl’increduli, i quali hanno tutte le ragioni, meno un torto: che una reliquia non vale tanto per quello che è realmente, quanto per quello che ci trova un credente, come in qualunque mausoleo o tomba di granduomo.
Una spina viene conservata a Solesmes donata da San Luigi IX re di Francia; un’altra, sempre dono di San Luigi a Notre-Dame-du-Puy, portata poi a Saint-Etienne-en-Forez. Parecchie città ne conservano una, spesso trascurata o dimenticata: Milano, Livorno, Bordeaux, Autun, Gand, Tolosa e diverse ne ha Roma. Una spina fu donata da Maria, Regina di Scozia, al duca di Northumberleand Tommaso Percy e viene conservata nel collegio di Stonyhurst. Un’altra fu donata al British Museum in un prezioso reliquiario dal barone Ferdinando Rothschild. Ad Andria, in Puglia, si conserva una simile reliquia particolarmente venerata e festeggiata in coincidenza con la festa del Ritrovamento della Croce. Stando alla Raccolta delle notizie storiche delle chiese dell’Arcidiocesi fiorentina di Luigi Santoni (1847), Firenze ne aveva una bella collezione: tre spine si trovavano nella Chiesa di San Giuseppe, una nella chiesa di Sant’Iacopo tra’ Fossi che ora non c’è, tre in un prezioso reliquiario a San Giovannino di Via Cavour e ben sette in Santa Maria Novella.
Successivamente comincia la dispersione della varie spine di questa corona che possiamo considerare quella vera. Giustiniano nel VI secolo fa dono a San Germano vescovo di Parigi di alcune spine staccate dalla corona. Molto dopo l’Imperatrice Irene di Bisanzio dona altre spine a Carlo Magno che le colloca ad Aquisgrana e sembrano quelle che vi si conservano ancora.
Nel 1063 la Corona di Spine viene trasferita da Gerusalemme a Costantinopoli e durante i torbidi politici e militari che si determinarono durante la crociata sotto Alessio I Comneno, imperatore di Costantinopoli, fu custodita dai greci e quindi durante la IV Crociata, nel 1204, cadde nelle mani dell’armata cristiana finché Baldovino II, abbandonando Costantinopoli portò la reliquia in Italia, ma dovette cederla ai Veneziani come pegno di un considerevole prestito. Così la Corona fu oggetto di uno strano mercato: non essendo più in grado Baldovino di riscattarla, la donò per così dire a San Luigi IX re di Francia (1215-1270) che sborsò l’intera somma del debito entrando in possesso della preziosa reliquia che volle fosse ospitata nel suo palazzo. Nel 1239 la Corona fu portata a Villeneuve vicino a Sens e da qui, nel 1248, riportata a Parigi dove nel frattempo Luigi IX le aveva preparato un magnifico reliquiario degno di custodirla: la Sainte Chapelle, opera di Pietro da Monterau, oggi ancora intatta nell’architettura, anche se più volte devastata.
La Chapelle è un vero gioiello dell’arte gotica, celebre anche per le meravigliose vetrate che rappresentano ben 1130 scene della Bibbia, fu costruita in soli 33 mesi e qui Luigi depose, insieme ad altre reliquie del Calvario, la Corona, sia pure privata di quasi tutte le spine. Vi rimase oltre cinque secoli finché Luigi XVI non la rimosse per sottrarla alle bande della rivoluzione, portandola nella cattedrale di Saint-Denis. Ma il governo rivoluzionario la sequestrò nel 1793 depositandola nell’Hôtel des Monnaies, e quindi alla Biblioteca Nazionale. Il 10 agosto 1806 fu portata infine a Notre Dame.
Furono comunque le crociate a dare impulso in Europa al culto della Corona di spine, culto che fu assai vivo in Francia e in Germania da dove le crociate partirono. Elemento determinante fu l’arrivo della Corona in Italia e l’onore che gli riservò in Francia Luigi IX: sul suo esempio e sulla Sainte Chapelle nel XIII secolo iniziarono le costruzioni di edifici per ospitare le varie reliquie.
A diffondere una quantità straordinaria di spine, o pretese tali della Corona, contribuirono anche i mercanti che sulle vie aperte dai crociati percorsero le contrade dell’Oriente. Bisogna dire che alla fede si univano interessi concreti: una reliquia di tale valore costituiva per una città, un paese, un blasone onorevole e una fonte di entrate costante per mezzo dei pellegrini che la visitavano. Ma si può osservare che le numerose chiese che ancora in Italia e altrove custodiscono gelosamente una di queste spine, hanno continuato a onorarle anche nel tempo in cui questo tipo di turismo non rendeva più, anzi era diventato, nel passato prossimo, quasi oggetto di ironia.