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L’Anp: per i due Stati è necessaria la volontà internazionale

Il capo negoziatore palestinese Saeb Erakat: «Gli insediamenti rappresentano una minaccia alla "two States solution". Per esempio, nel caso di Gerusalemme gli insediamenti israeliani e le loro infrastrutture, incluso il Muro di Annessione, hanno modificato il panorama della città con la separazione da Ramallah e finanche da Betlemme, negando il diritto di culto ai cristiani palestinesi e ai musulmani. Così come si presenta ora lo scenario è senz'altro cupo».

Dopo circa tre anni sono ripresi il 29 e 30 luglio i negoziati tra israeliani e palestinesi. Evidente è la soddisfazione del Segretario di Stato Usa, John Kerry, che è tornato in Medio Oriente per sei volte in quattro mesi, per convincere le parti in conflitto a riprendere i colloqui. A Washington si sono seduti al tavolo delle trattative il ministro della Giustizia israeliano, Tzipi Livni, mentre per l’Anp, l’Autorità nazionale palestinese era presente Saeb Erakat, storico negoziatore palestinese. “L’incontro alla Casa Bianca è stato molto positivo” ha detto il segretario di Stato che ha rivelato che “israeliani e palestinesi hanno accettato di provare a raggiungere un accordo di pace entro i prossimi nove mesi”. “La pace è possibile, ma ci sono scelte dure da fare” è stato il commento del presidente Obama. La delegazione israeliana e palestinese si rivedranno presto, entro le due prossime settimane, in Israele o nei Territori Occupati. Sulla ripresa dei negoziati il Sir ha posto alcune domande a Saeb Erakat, capo negoziatore palestinese.

Pace in nove mesi: crede a questa possibilità?

“Faremo del nostro meglio per raggiungere un accordo che conduca al ripristino della giustizia e della pace; dobbiamo continuare a sperare nonostante le difficoltà, nonostante le prevaricazioni quotidiane e l’occupazione, nonostante l’esilio e la prigionia… faremo il possibile per porre fine a questa brutta situazione. Ci aspettiamo che la comunità internazionale agisca di conseguenza, e che fornisca i giusti incentivi alle parti in causa, innanzitutto attraverso l’applicazione del diritto internazionale e del diritto consuetudinario nell’esercizio dei rapporti bilaterali e multilaterali con Israele e con la Palestina”.

Mr. Erakat, lei è lo storico capo negoziatore palestinese: vede questa volta un clima positivo per arrivare a una soluzione giusta e durevole del conflitto? Ritiene ancora praticabile la soluzione di “due Stati” (two States solution)?

“Gli insediamenti rappresentano una minaccia alla ‘two States solution’. Per esempio, nel caso di Gerusalemme gli insediamenti israeliani e le loro infrastrutture, incluso il Muro di Annessione, hanno modificato il panorama della città con la separazione da Ramallah e finanche da Betlemme, negando il diritto di culto ai cristiani palestinesi e ai musulmani. Così come si presenta ora lo scenario è senz’altro cupo. L’alternativa è l’adozione ufficiale di un regime di apartheid, in altre parole, la realtà di un solo stato, non la soluzione. Se le parti interessate e la comunità internazionale mostreranno una reale volontà politica, e se le parole saranno seguite dai fatti, la ‘two States solution’ sarà senz’altro praticabile”.

Le questioni che saranno tutte al centro degli incontri sul “Final status”, i confini, gli insediamenti, la sicurezza, i rifugiati, Gerusalemme, l’acqua, fanno capire che non si tratterà di una passeggiata. Tuttavia l’annunciato rilascio, a scaglioni, dei 104 prigionieri palestinesi detenuti da prima degli accordi di Oslo del ‘93, possono essere considerati segnali importanti in vista del negoziato?

“Stiamo aspettando questo passo da 14 anni: nel 1999 Israele si è impegnato a rilasciare i prigionieri in carcere prima degli accordi di Oslo. La consideriamo una mossa importante, ma restano ancora 5000 prigionieri politici palestinesi in attesa di tornare alle loro case, inclusi Marwan Barghouthi e Ahmad Saadat: due leader palestinesi eletti dal popolo”.

Il rilascio dei prigionieri imposto da Netanyahu al suo governo, un certo rallentamento nella costruzione di nuovi insediamenti, in particolare per quanto riguarda quelli più esterni, al di là del muro, e anche l’annuncio del Segretario Kerry di nuove iniziative israeliane, per alleviare la vita quotidiana della popolazione in Cisgiordania, potrebbe far pensare ad un mutato atteggiamento del premier Netanyahu nei riguardi del processo negoziale? Netanyahu come Olmert, Sharon e Begin?

“Il nostro popolo non è fatto di animali la cui sofferenza deve essere ‘alleviata’ per respirare: a questa mentalità noi diciamo basta. Il nostro popolo è fatto di esseri umani, titolari degli stessi diritti di cui godono il popolo italiano, quello inglese, brasiliano o israeliano. Tutti gli esempi da lei citati sono ben poca cosa rispetto agli obblighi ai quali Israele è tenuto ad attenersi secondo quanto previsto dagli accordi che ha sottoscritto e in base ai suoi doveri sul piano internazionale in qualità di Paese firmatario della Convenzione di Ginevra. Detto questo, siamo disposti a raggiungere la pace con qualsiasi Primo Ministro israeliano”.

La ripresa del negoziato che ricadute avrà per la stabilizzazione della regione mediorientale segnata da tensioni in Egitto, dal conflitto siriano, da un Libano sempre più instabile…?

“La soluzione alla Questione della Palestina è un fattore importante per la stabilità della regione. Milioni di arabi cristiani e musulmani hanno il loro cuore ad Al Quds, Gerusalemme. Per questo motivo la soluzione alla situazione della Palestina avrà un impatto positivo sul resto della regione”.

Mr. Erakat, un’ultima domanda: la maggioranza dei cristiani che vive nei Luoghi Santi è palestinese. Per quanto esigua in percentuale la loro presenza che valore ha per le Istituzioni palestinesi e che ruolo possono giocare i cristiani palestinesi per il futuro del loro Paese?

“I cristiani che vivono in Palestina non sono una minoranza ma una parte integrante di tutto il popolo palestinese, inclusi i musulmani e i samaritani, con cui condividono la stessa cultura, la stessa storia e la stessa lingua. I cristiani palestinesi sono stati una parte integrante del movimento nazionale palestinese. Hanno combattuto, sono stati uccisi, sono stati arrestati, sono stati privati della loro terra, sono stati espulsi esattamente come qualsiasi altro palestinese, e hanno combattuto con grande coraggio per vedere rispettati i loro diritti. Persone quali il patriarca cattolico Michael Sabbah, il vescovo ortodosso Atallah Hanna e il vescovo luterano Mounib Younan sono vividi esempi di religiosi cristiani che hanno dedicato il loro servizio e le loro preghiere a una causa nazionale che evoca il valore della pace e della giustizia diffuso nel mondo da Gesù Cristo. Noi ci auguriamo che Betlemme sia presto nuovamente unita a Gerusalemme, e che tutti i cristiani palestinesi, così come il resto del nostro popolo al quale è stato negato il diritto di vivere in Palestina, possano farvi ritorno”.