Cultura & Società

L’anima grande di Tiziano Terzani

di Mario Bertini«Al sindaco di Firenze perché possa farne una città con un’anima». A non saperne le origini, ne il nome del destinatario della dedica appena trascritta, questa frase sembrerebbe destinata ad un sindaco cattolico fiorentino di vecchia data: verrebbe da pensare a La Pira, Bargellini, Bausi… Di fatto sono le parole che Tiziano Terzani – scomparso il 28 luglio nella sua casa di Orsigna, sulla montagna pistoiese – volle trascrivere, come dedica personale, a Leonardo Domenici, sull’ultimo volume dato alla stampa dal giornalista-scrittore fiorentino: Un altro giro di giostra.

Una dedica e un augurio fra laici, potremmo scrivere, da parte di un uomo di dichiarata laicità ad un altro laico, recentemente confermato alla guida del comune di Firenze. Ma davanti a una figura di elevata interiorità come Tiziano Terzani, il rischio di liquidarlo, e di relegarlo, con un termine che spesso viene associato alla banale espressione di «non credente» è davvero forte. Perché Tiziano Terzani credeva nel Trascendente e la sua scommessa con l’Aldilà, con il Regno dell’anima, l’ha vinta, dopo lunghi decenni di esasperata ricerca d’Assoluto. Un premio ottenuto dopo aver studiato a fondo quasi tutte le religioni orientali, per cui al termine del suo cammino terreno non si è consegnato alla morte, ma trasferito in quel Regno, senza spazio e senza tempo, della Giustizia divina, abbandonando il suo corpo, nella sua capanna himalaiana della montagna pistoiese.

Fiorentino – era nato nel 1938 nel rione popolare di Monticelli –, nonostante le precarietà economiche familiari, studiò bene: medie e liceo nel centro storico della città e Scuola S. Anna di Pisa dove si laureò – 110 e lode – compagno di studi di Giuliano Amato. Subito occupato alla Olivetti fu trasferito in Asia con il ruolo di leader alle vendite di macchine da scrivere. Ma dopo il suo primo approccio con l’Oriente si accorse presto, che le lettera 22 non gli piaceva venderle, ma usarle. Dopo una testarda ricerca ottenne un posto come corrispondente asiatico per il Settimanale tedesco Der SpiegelIl Giorno, Il Messaggero, l’Espresso, La Repubblica e il Corriere della Sera.

In questo ruolo coprì – come usava dire lui – tutte le guerre asiatiche degli anni ’70: Vietnam, Cambogia, Corea del Nord soprattutto, sulle quali scrisse i suoi primi volumi, non trascurando di far cronaca in diretta di altri disordini popolari o rivoluzioni locali. Laos, Birmania, Filippine, Sri Lanka… o di raccontare viaggi avventurosi.Attratto dall’ideale comunista, nel quale credeva quale mezzo mirato al fine di una giustizia umana, non ebbe nessuna difficoltà a denunciare fatti e misfatti di quel Comunismo asiatico, testimoniato e vissuto con molti rischi sulla propria pelle; e lo fece con un’onestà intellettuale, difficilmente riscontrabile in altri scrittori o opinionisti. In questo senso, ebbe brividi di morte in Cambogia, salvandosi dai mitra spianati dei guerriglieri di Pol Pot, grazie al suo luminoso sorriso, e rischiò molto anche in Cina quando fu arrestato e imprigionato alla fine di un lungo soggiorno, per aver scritto coraggiosissime pagine sui mali di Mao e del successore Den Xiao Ping.I suoi soggiorni in Oriente, sempre con acconto la moglie Angela Staude e i figli Folco e Saskia, per viverne in pienezza ogni esperienza, furono caratterizzati da residenze quadriennali: Singapore, Honk Kong, Pechino, Tokyo, Tailandia, India. Tornando alle religioni asiatiche studiò, e in qualche modo praticò, ogni espressione: dal Confucianesimo cinese, allo Shintoismo giapponese, non trascurando il Buddhismo tibetano e coltivando amicizie personali con il Dalai Lama.Successivamente, in India, non poteva non interessarsi alla religiosissima non violenza di Gandhi e alla conoscenza diretta di Madre Teresa di Calcutta. E qui occorrerebbe aprire un intero capitolo perché, mentre Terzani voleva intervistarla, la Madre si oppose: «Non scriva di me, scriva di Lui», mi ha detto, alzando gli occhi al cielo… Poi s’è fermata, ha preso le mie mani nelle sue – grandi, tozze e già un po’ deformi – e come per confidarmi un segreto ha continuato: «Anzi, la smetta di scrivere e vada a lavorare in uno dei nostri centri… Vada a lavorare nella casa dei morenti». Per due settimane non ho fatto che seguirla: nella Casa Madre, nel centro dei lebbrosi, nella casa dei ritardati mentali e quella per le ragazze mezzo impazzite, nelle prigioni e a Kaligat, la casa per i moribondi». Siamo negli ultimi mesi di vita di Madre Teresa e Tiziano Terzani, affascinato da quella piccola-grande suora, telefona a suo figlio Folco, che si trova negli Stati Uniti, per dirgli di raggiungerlo a Calcutta, dove avrebbe trovato certamente delle motivazioni alle sue ricerche di quiete esistenziale: Folco accetterà l’invito del padre e resterà a Calcutta, nella casa del moribondo di Madre Teresa, alcuni mesi per fare un’esperienza che lo segnerà per la vita.Siamo nel 1997, l’anno in cui a Terzani verrà diagnosticato il cancro. Sarà la chiave di volta della sua vita che vuole spendere, dopo aver tentato tutte le terapie della scienza medica universale, alla ricerca di se stesso. E lo farà andando a vivere in una capanna tra le nevi eterne dell’Himalaia per nutrirsi di quell’immenso silenzio: un’anticipazione del distacco da quell’ammasso di cellule impazzite che è diventato il suo corpo. Una sublimazione di se stesso, ma che verrà violentemente profanata dai tragici eventi dell’11 settembre 2001 con l’attentato alle torri di New York.

Terzani, afferrando appieno il pericolo universale di quell’attentato, ne immaginò le conseguenze anche perché, mentre opinione pubblica e media di tutto il mondo ne faceva cronaca, lui avendo già praticato gli uomini di Bin Laden, nelle loro tane al confine fra Pakistan e Afganistan, non ebbe nessuna difficoltà a scrivere che «… per Bin Laden e la sua gente quello delle armi non è un mestiere ma una missione che ha radici nella fede…».

E non si limitò soltanto a scrivere in contrapposizione alla altrettanto sanguigna concittadina Oriana Fallaci, che con la sua «La rabbia e l’orgoglio» aveva scatenato una bagarre editoriale e di pensiero filo americana e anti islamica, accanendosi contro ogni espressione pacifista di casa nostra. Lui, dopo aver scritto le sue «Lettere contro la guerra» si fece pellegrino di pace, testimoniando, in centinaia di platee di tutt’Italia e con qualche sortita anche all’estero, la sua veemente esperienza di uomo, che dopo aver raccontato decenni di guerre e di rivoluzioni, si riproponeva citando la prima frase del suo primo libro: «La guerra è una cosa triste e ancora più triste è il fatto che ci si fa l’abitudine».

Durante il massacrante, quotidiano itinerario delle sue serate, da Palazzo Vecchio, alle Case del Popolo, dalle piazze, alle scuole, alle chiese e perfino nei conventi di clausura, Tiziano Terzani, più che presentarsi come uomo contro la guerra, seppur dichiarandosi asettico alla religione di casa, si trasformò in un evangelico operatore di pace, predicando e testimoniando messaggi d’amore di francescana memoria.

Per la sua specchiata eloquenza si rese scomodo anche davanti a situazioni che parevano cucite addosso al suo nuovo ruolo. A Firenze, per esempio, all’apertura del suo tour di pace, di fronte al titolo che i lapiriani promotori avevano dato alla conferenza «La forza delle armi o la forza della ragione», non ebbe difficoltà ad affermare: «Né l’una, né l’altra, ma la ragione del cuore!».

Ho appena scritto del suo innato francescanesimo che, al momento dell’estremo addio, Tiziano Terzani volle lasciare, quale eredità, alla moglie e ai figli poco prima di abbandonare il suo corpo.

Pare un testamento spirituale, che il figlio Folco amò rileggere, nel Salone dei Cinquecento all’affollata platea lì convenuta, il 29 luglio, per portare l’ultimo saluto della città di Firenze al suo amato padre: «Prima anch’io vedevo il mondo diviso… vedevo me, separato da tutto quello che vedevo, ed ora vedo il mondo tutto unito… È successo qualcosa, non vedo più la separazione… vedevo me, parte di tutto, e questo è bellissimo perché, improvvisamente, ho ritrovato un altro me… È il risultato del tempo passato sull’Himalaia: quando ho incominciato a buttar via tutti i miei desideri mi sono accorto che ora e tutt’uno… che non ci sono più divisioni… che quando guardi i fiori e l’erba non sono fiori e erba, ma fanno parte di questa gloriosa bellezza che è la vita… E allora, non c’è da chiederci se è minerale, se è vegetale… appena incominci a guardare ti accorgi che è tutt’uno, per cui, guardi la bellezza della terra, e vedi l’unità di questa… Si vive senza più attaccamenti… ti metti a guardare e scopri la bellezza del minerale senza escludere il vegetale, e l’animale… E vedi la grande bellezza della terra, per cui abbracci il minerale, il vegetale, l’animale e tutta l’umanità… Abbracci tutta l’umanità perché non c’è differenza… non c’è differenza!».

Un canto al creato, e a ogni creatura, di forte intensità: un sigillo spirituale che solo una grande anima poteva lasciare come sintesi di una vita interamente spesa alla ricerca della verità, della giustizia e della pace fra i popoli.

Il fiorino d’oroAlla memoria del grande giornalista e scrittore fiorentino il comune di Firenze dedica il «Fiorino d’oro». La consegna del premio alla memoria di Tiziano Terzani si svolgerà il 25 settembre (ore 16,30) nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Il ricordo di Terzani, autore di «Un altro giro di giostra», e la consegna del Fiorino chiuderà il Festival «Parole a caso», l’appuntamento letterario dell’estate fiorentina che fino al 23 settembre coinvolge scrittori e poeti in incontri, dibattiti convegni, spettacoli.