Cultura & Società
L’anima grande di Tiziano Terzani
Una dedica e un augurio fra laici, potremmo scrivere, da parte di un uomo di dichiarata laicità ad un altro laico, recentemente confermato alla guida del comune di Firenze. Ma davanti a una figura di elevata interiorità come Tiziano Terzani, il rischio di liquidarlo, e di relegarlo, con un termine che spesso viene associato alla banale espressione di «non credente» è davvero forte. Perché Tiziano Terzani credeva nel Trascendente e la sua scommessa con l’Aldilà, con il Regno dell’anima, l’ha vinta, dopo lunghi decenni di esasperata ricerca d’Assoluto. Un premio ottenuto dopo aver studiato a fondo quasi tutte le religioni orientali, per cui al termine del suo cammino terreno non si è consegnato alla morte, ma trasferito in quel Regno, senza spazio e senza tempo, della Giustizia divina, abbandonando il suo corpo, nella sua capanna himalaiana della montagna pistoiese.
Fiorentino era nato nel 1938 nel rione popolare di Monticelli , nonostante le precarietà economiche familiari, studiò bene: medie e liceo nel centro storico della città e Scuola S. Anna di Pisa dove si laureò 110 e lode compagno di studi di Giuliano Amato. Subito occupato alla Olivetti fu trasferito in Asia con il ruolo di leader alle vendite di macchine da scrivere. Ma dopo il suo primo approccio con l’Oriente si accorse presto, che le lettera 22 non gli piaceva venderle, ma usarle. Dopo una testarda ricerca ottenne un posto come corrispondente asiatico per il Settimanale tedesco Der SpiegelIl Giorno, Il Messaggero, l’Espresso, La Repubblica e il Corriere della Sera.
Terzani, afferrando appieno il pericolo universale di quell’attentato, ne immaginò le conseguenze anche perché, mentre opinione pubblica e media di tutto il mondo ne faceva cronaca, lui avendo già praticato gli uomini di Bin Laden, nelle loro tane al confine fra Pakistan e Afganistan, non ebbe nessuna difficoltà a scrivere che «… per Bin Laden e la sua gente quello delle armi non è un mestiere ma una missione che ha radici nella fede…».
E non si limitò soltanto a scrivere in contrapposizione alla altrettanto sanguigna concittadina Oriana Fallaci, che con la sua «La rabbia e l’orgoglio» aveva scatenato una bagarre editoriale e di pensiero filo americana e anti islamica, accanendosi contro ogni espressione pacifista di casa nostra. Lui, dopo aver scritto le sue «Lettere contro la guerra» si fece pellegrino di pace, testimoniando, in centinaia di platee di tutt’Italia e con qualche sortita anche all’estero, la sua veemente esperienza di uomo, che dopo aver raccontato decenni di guerre e di rivoluzioni, si riproponeva citando la prima frase del suo primo libro: «La guerra è una cosa triste e ancora più triste è il fatto che ci si fa l’abitudine».
Durante il massacrante, quotidiano itinerario delle sue serate, da Palazzo Vecchio, alle Case del Popolo, dalle piazze, alle scuole, alle chiese e perfino nei conventi di clausura, Tiziano Terzani, più che presentarsi come uomo contro la guerra, seppur dichiarandosi asettico alla religione di casa, si trasformò in un evangelico operatore di pace, predicando e testimoniando messaggi d’amore di francescana memoria.
Per la sua specchiata eloquenza si rese scomodo anche davanti a situazioni che parevano cucite addosso al suo nuovo ruolo. A Firenze, per esempio, all’apertura del suo tour di pace, di fronte al titolo che i lapiriani promotori avevano dato alla conferenza «La forza delle armi o la forza della ragione», non ebbe difficoltà ad affermare: «Né l’una, né l’altra, ma la ragione del cuore!».
Ho appena scritto del suo innato francescanesimo che, al momento dell’estremo addio, Tiziano Terzani volle lasciare, quale eredità, alla moglie e ai figli poco prima di abbandonare il suo corpo.
Pare un testamento spirituale, che il figlio Folco amò rileggere, nel Salone dei Cinquecento all’affollata platea lì convenuta, il 29 luglio, per portare l’ultimo saluto della città di Firenze al suo amato padre: «Prima anch’io vedevo il mondo diviso… vedevo me, separato da tutto quello che vedevo, ed ora vedo il mondo tutto unito… È successo qualcosa, non vedo più la separazione… vedevo me, parte di tutto, e questo è bellissimo perché, improvvisamente, ho ritrovato un altro me… È il risultato del tempo passato sull’Himalaia: quando ho incominciato a buttar via tutti i miei desideri mi sono accorto che ora e tutt’uno… che non ci sono più divisioni… che quando guardi i fiori e l’erba non sono fiori e erba, ma fanno parte di questa gloriosa bellezza che è la vita… E allora, non c’è da chiederci se è minerale, se è vegetale… appena incominci a guardare ti accorgi che è tutt’uno, per cui, guardi la bellezza della terra, e vedi l’unità di questa… Si vive senza più attaccamenti… ti metti a guardare e scopri la bellezza del minerale senza escludere il vegetale, e l’animale… E vedi la grande bellezza della terra, per cui abbracci il minerale, il vegetale, l’animale e tutta l’umanità… Abbracci tutta l’umanità perché non c’è differenza… non c’è differenza!».
Un canto al creato, e a ogni creatura, di forte intensità: un sigillo spirituale che solo una grande anima poteva lasciare come sintesi di una vita interamente spesa alla ricerca della verità, della giustizia e della pace fra i popoli.