Drammatiche le notizie delle ultime settimane nel cortonese: quattro persone hanno deciso di togliersi la vita, una quinta è stata salvata all’ultimo minuto. La gente è sotto choc: tutto è avvenuto nel raggio di due o tre chilometri e nello spazio di appena due mesi. «Perché»?, ci si chiede, ma la domanda rimane senza risposta. La fredda determinazione con cui queste persone sono andate incontro alla morte provoca sgomento. Quale assillo, quale angoscia può portare a una simile decisione, che passa sopra gli affetti familiari e ad ogni altro valore dell’esistenza? Sarà forse un fenomeno di emulazione o una tragica resa di fronte ai problemi della vita? Resta il fatto che una serie di suicidi, così ravvicinati nel tempo e nello spazio, storie diverse che si concludono con una drammatica escalation verso la morte, diventano un dramma per tutta la comunità.Per individuare qualche possibile risposta, dobbiamo probabilmente ritornare un po’ indietro nel tempo, al Convegno ecclesiale di Verona, dove, tra l’altro, si è portato al centro dell’attenzione il fenomeno della fragilità. In ogni stagione della vita, si è detto, la persona è «umana», cioè «fragile»; tutte le generazioni hanno fatto esperienza di fragilità. Fragile è tutto ciò che può facilmente spezzarsi, è uno stato o un limite della materia e degli organismi viventi, è una situazione problematica tipicamente umana sempre più in espansione, tanto da apparire come la connotazione più esatta dei tempi che viviamo. Si parla perciò di emarginazione, di precarietà, di nuove povertà, di disagio, di soggetti a rischio. «Soltanto in questi nostri tempi la fragilità appare come un problema culturale, nel senso cioè che incide in modo e grado decisivi sulla concezione che ogni individuo ha della vita e dell’uomo. C’è in queste tensioni tutta intera un’esperienza di disagio, ingravescente fino al rifiuto verso le caratteristiche di particolare penosità che la realtà di ogni uomo può presentare». Il nostro è un tempo strano, in cui si affermano grandi capacità ed entusiasmi, ma è anche un tempo in cui risaltano incapacità inaudite, forse perché abbiamo trasformato tanti sogni in bisogni.Di fronte a tali penose situazioni la Chiesa è più che mai chiamata a proporsi come comunità che ama il Cristo in coloro che Lui ha più amato, cioè nei sofferenti e nei più deboli e insignificanti, in quelle persone di cui nessuno si accorge o vuol prendersi cura. E’ chiamata ad innescare una nuova esperienza di ricerca del vero valore della vita umana, che le restituisca ricchezza e pienezza e ne metta in luce l’essenziale contenuto. Riprendendo, dunque, le conclusioni emerse a Verona (e che oggi paiono acquisire tutta la loro attualità), ci rendiamo conto che il nostro tempo esige uno sforzo supplementare per garantire, anche nelle situazioni più delicate e drammatiche, un aiuto e un accompagnamento personale nello stile di una piena condivisione, della delicatezza e del rispetto per formare la convinzione che la persona fragile non è quella che si deve «maneggiare con cura», ma quella che si «maneggia con amore». Un amore che la comunità cristiana è chiamata a dimostrare.di Benito Chiarabolli