Prato

LA VOCE DEL VESCOVO – Il problema numero 1

Forzatamente lontano per alcuni giorni dalla Diocesi, sento non diminuito ma più acuto il senso della responsabilità apostolica e pastorale che ho «verso le anime» (come si diceva una volta), cioè verso tutti ma in particolare verso la comunità che mi è stata affidata. È una responsabilità che riguarda anzitutto la rettitudine, il rafforzamento, il risveglio, la vitalità della fede cristiana nel nostro popolo.

1. «Insisti, a tempo e fuori tempo…»Dando uno sguardo alla situazione generale e pratese, in particolare a questa intensa «concentrazione» di umanità che è Prato, torno a notare che molti sono i problemi spirituali, pastorali e sociali. Ma resto convinto, sempre di più, che il primo è questo: come percepisce e vive la vita, la nostra gente? Sospesa nel vuoto e avvolta solo nei «perché» che paiono irrisolvibili? Oppure radicata in Dio e da Dio sostenuta, illuminata e salvata per mezzo di Colui che è la Sua piena manifestazione e comunicazione, ossia il Signore Gesù? Dio o non Dio? Il mistero che magari ci attrae ma non si apre, o il mistero inteso, invece, come l’evento che, accolto dall’intelligenza e dal cuore credente si rivela e si dona? Questa è la più vera, profonda e radicale questione, per tutti, dovunque. Anche a Prato. Non voglio dire con questo, che la fede, tra noi, sia ridotta a una piccola oasi nel deserto. Nonostante ogni oscuramento, siamo una società di battezzati cristiani. Credo anzi che tanti lo sono più di quello che sembra. Anche al di fuori delle nostre comunità domenicali il mistero di Gesù Cristo attrae e inquieta la coscienze. Ma è sotto gli occhi di tutti che la fede di molti, di moltissimi, è o pare spenta, o sembra soltanto una logorata vernice esteriore, una fede in grande crisi sia quanto a contenuti (i contenuti professati nel Credo), sia quanto a vitalità (la fede incarnata nella vita concreta, sia nel pensiero, nelle scelte morali, nel cuore, nei comportamenti individuali e pubblici).Allora, poiché il credere deriva dall’ascoltare la Parola di Dio e dall’avvertire la sua risonanza nell’intimo delle singole persone, l’urgenza più urgente è quella di testimoniarla, è quella di offrire a tutti, piccoli e grandi, uomini e donne di qualunque condizione, la possibilità e la grazia dell’ascolto. Ma questo significa rendere più cristiane le nostre comunità cristiane (lo diceva chiaramente il Papa nella «Christifideles Laici»). O ci sosteniamo a vicenda, o diventiamo credenti anemici. O le nostre comunità testimoniano e dicono la Parola di Cristo, o la fede all’intorno si illanguidisce e si può spengere. 2. Il primo compitoMille condizionamenti ed influssi – di provenienza e di forza diversa – ci distraggono dall’essenziale.Per questo affermo: tutto si faccia e si sopporti – certo nella calma e nell’unione tra noi – purché le coscienze si aprano e si scuotano, purché si risvegli il senso di Dio, purché Cristo sia fatto conoscere e la sua presenza non sfiori ma pervada i cuori! Le varie forme di evangelizzazione, le liturgie vive, la coltivazione intelligente delle tradizioni, il dialogo culturale, i colloqui nelle famiglie, nei gruppi e negli ambiti sociali, gli incontri “da anima ad anima”, i percorsi di catechesi e di formazione e la multiforme presenza nel mondo, tutto concorra al grande scopo: svelare, col Vangelo, il vero e integrale volto della vita e delle cose! I primi ad averne bisogno siamo noi credenti, affetti purtroppo, molto spesso, da una grande ignoranza e superficialità. Sono gli adulti, sono le nostre famiglie, i ragazzi e gli adolescenti. Ma non solo, ovviamente. Cristo ripresentato alle coscienze, Cristo nel mondo più lontano, Cristo nel nostro mondo, anzi nei «mondi» della cultura e della società, Cristo alle nuove generazioni! È il nostro impegno programmatico. Ripeto: tutto ciò senza agitazione, e in un clima di preghiera e di fraternità (e forse è qui il problema, concreto, più serio). 3. Quale fede?Domanda non inutile. Un aspetto del problema della fede è il problema della sua qualità e integrità. In Italia – e a Prato – non c’è da allarmarsi ma neppure da minimizzare. Quale fede? Certamente la fede della Chiesa una, santa, cattolica, che ha le sue sorgenti a Gerusalemme e il suo principale punto di riferimento e di magistero a Roma. Mentre scrivo, sento la necessità di dire che la mia fede di cristiano e di vescovo è la fede di Giovanni Paolo II. È la fede contenuta nella Parola di Dio e nel Credo che la comunità credente ascolta e professa ogni domenica: la Parola di Dio tutta intera, il Credo tutto intero. Per me e per gli altri ho il dovere e l’esigenza di affermare che io, vescovo, credo in Dio Padre Figlio e Spirito Santo, credo nel Signore Gesù e a quanto da Lui rivelato su Dio e sull’uomo, sul cosmo e sulla storia, sul tempo e sull’oltre-tempo.Aperto – per quanto so e con tanti limiti – ad ogni dialogo, ad ogni approfondimento e scoperta della «verità tutta intera», ad ogni voce del passato e del presente; e desideroso anch’io dell’unità dei cristiani «secondo la Sua volontà» e della pace religiosa con tutti, resto convinto che l’ecumenismo e il colloquio-ascolto con chiunque sono in linea col Dna della fede cattolica. La «verità tutta intera» non è ingessata.Lo Spirito – la cui opera non ha confini – guida la Chiesa a «conservare il deposito ricevuto» e a scoprirne aspetti sempre nuovi. L’ortodossia non è sinonimo di acquiescenza pigra o di mancanza di apertura spirituale e di senso critico. Essa ha però la sua identità precisa e indefettibile.Sono vescovo cattolico, siamo preti cattolici, fedeli cattolici. Sulla porta dell’episcopio e della cattedrale e su quella di ogni parrocchia, comunità e aggregazione dev’essere chiaro questo segno di identità e di riconoscimento. Un segno però, tanto più riconoscibile quanto più espresso da una vita che, nonostante le umane debolezze cerca sinceramente di ispirarsi al Vangelo. Al Vangelo della speranza e della legge di Dio creatore e liberatore, portata a compimento dalla carità.Scrivo ancora qualcosa ai lettori del nostro settimanale, pochi o più numerosi che siano coloro che mi seguono. Spero così di rendere un servizio mentre son costretto, dallo stop di questi giorni, a tagliare impegni e appuntamenti. 4. Guai a me se non testimonio GesùÈ già un fondamentale valore umano il «vivere onestamente, non far del male a nessuno e dare a ciascuno il suo». Ma quale distanza dalle più fondamentali aspirazioni umane in questo antico detto della sapienza latina… La pienezza della vita sta nell’essere conosciuti, accolti e amati, e nel conoscere, nell’accogliere e nell’amare, e tutto ciò per sempre. È una pienezza ricevuta, donata e diffusa. Una pienezza vissuta nel rapporto «vero» con gli altri e con Dio. Con gli altri e con Dio scoperti e «ritrovati» alla scuola di Gesù e nell’unione con Lui, culmine assoluto e «abisso» della verità e del bene. Ecco la nostra certezza. Nessuna religiosità e spiritualità, nessuna sapienza e cultura, nessuna gioia e bellezza – pur grandi – possono sostituirLo, il Signore Gesù.L’urgenza più urgente, perciò – dicevo la scorsa settimana – è testimoniare e «dire» sul serio, individualmente e comunitariamente, la fede cristiana, e offrirla, ricordarla e proporla a tutti, vicini e lontani. Sul serio, appunto. E vivendo non sulle nuvole ma fianco a fianco con la gente, nel mondo.Ecco il problema radicale della Chiesa. Il che comporta anzitutto, nei singoli e nelle comunità, l’impegno della coerenza e della trasparenza. È la coerenza della fede intesa come quotidiano riconoscimento del Signore Gesù, affidamento a Lui e cammino dietro di Lui. È un cammino talvolta faticoso per la nostra debolezza, ma è sostenuto dalla grazia dello Spirito, ed è animato da una fiduciosa speranza, sorella della fede. Un cammino compiuto nella ricerca costante di corrispondere all’«immagine bella» di Cristo, alla sua norma di vita umano-divina, che ha il suo fondamento e il suo vertice nella conoscenza e nell’amore di Dio e del prossimo, secondo la vocazione di ciascuno.Bellezza e verità dei santi, trasparenza fedele e fedele memoria del Signore! Ognuno di noi è chiamato sulla stessa via. Poveri cristiani se non cerchiamo di seguirla anche noi. 5. La fede speraUn aspetto essenziale della fede è che la fede spera. Nessuno spazio per la disperazione e neppure per il grigiore di un pessimismo triste e chiuso, senza orizzonte, nel cuore, nelle case e nelle comunità dei credenti!Facile dirlo, penserà più d’uno. Verissimo, è tutt’altro che facile vivere la speranza. Eppure essa resta un ideale “obbligato”, una qualità sostanziale del cammino cristiano. La sua pratica è un test, una riprova, una verifica per conoscere lo stato della fede. Al riguardo, la fede ci dà anzitutto la sicurezza della vita oltre «questa» vita, ci fa intravedere il panorama infinito del regno di Dio oltre l’esistenza terrena e la storia. L’immensità e l’intensità del bene, della gioia, della bellezza, della pienezza profuse nel mondo costituiscono la prima fase – e come l’antifona – del bene, della gioia, della bellezza, della pienezza proprie dell’altra dimensione dell’esistenza, quella che sta al di là del passaggio supremo. La morte non è la precipitazione nel nulla. a morte, così come avviene, ci ripugna ed è buio doloroso; ma in realtà, e più in profondità, essa è, appunto, il passaggio “pasquale” verso l’assoluta comunione umano-divina. La costruzione e lo sviluppo della vita e della convivenza terrena – fine effettivo, anche se non «ultimo», dell’impegno umano – ricevono una ragione e una motivazione in più dalla preparazione e dal dono della vita e della convivenza che è al di là delle cose di quaggiù. La speranza è anzitutto la sicurezza e l’attesa delle “cose ultime” verso cui camminiamo.Chi crede, al tempo stesso, dispone di una riserva illimitata di fiduciosa speranza non solo perché è certo, nel corso del cammino terreno, della vita eterna, ma anche perché è certo che, lungo i suoi percorsi non sempre felici, mai siamo lasciati soli, mai esposti senza scampo alle effimere felicità, alle illusioni, alle sofferenze e alle tragedie del mondo. Il cielo, non di rado, sembra chiuso e sordo. Ma la fede, potenziata dai doni dello Spirito, ci aiuta a vedere – in mezzo e oltre ai problemi e ai dolori – i dati irrefutabili del bene e della grazia, delle risorse naturali e di quelle soprannaturali, tutte, in definitiva, dono di Dio. La fede genera la confidenza in Lui «ora e nell’ora della nostra morte», come preghiamo nell’Ave Maria: anche «ora», anche quaggiù. Mai verrà a mancare ai singoli e alla comunità l’amore provvidente, il perdono, la forza rinnovatrice del Signore. Mentre, sia di fronte alla morte, sia in mezzo alle crisi e alle rovine terrene, tutto sembra compromesso e finito, Dio apre non solo l’orizzonte dell’eternità ma anche nuovi cammini sulle strade del mondo.Di quanto sperimentiamo, viviamo e compiamo in unione con le Tre Divine Persone – Iddio santissimo e unico – niente è inutile e niente senza frutti, visibili o invisibili. Possiamo piangere, essere afflitti, sentirci gravati o schiacciati in certi duri momenti; ma abbiamo il potere – aiutati dalla comunione dei santi e di Maria – di non perdere la fiducia e di non bloccarci nel lamento e nel buio. La serenità del cuore e, il più possibile, sul volto, la serenità nelle parole e nel rapporto con gli altri, è possibile, anzi è doverosa sebbene talvolta faticosa. Il futuro è soprattutto nelle mani del Signore. Il regno di Dio – dentro di noi, nella comunità cristiana e nel mondo – è condizionato e contrastato dai nostri peccati, dalla somma drammatica dei peccati dell’umanità, dagli spiriti maligni, ma il suo cammino e la sua espansione non si arrestano, e il suo approdo eterno e infinito è sicuro. Seguendo il Signore Gesù – Salvatore di tutti e di tutto, Dio presente ieri, oggi e domani – siamo certi che dinanzi a noi, a dispetto di ogni bufera, ci sarà Lui. Con la speranza noi partecipiamo alla sua regalità sul tempo e sul futuro. Un atto di speranza ci libera dall’essere ostaggi delle cose negative che subiamo o che facciamo. Ecco: una persona, un gruppo di persone, una comunità che si impegnano per Cristo nella speranza, comunicano speranza all’intorno e nel mondo. E aprono, così, nuovi canali al regno di Dio. È una contraddizione in atto vivere, operare, cooperare, soffrire, pregare – nella Chiesa – «come coloro che non hanno speranza». «Non temere, piccolo gregge», ha detto il Signore. 6. La nostra carta d’identità cristianaSto cercando con queste riflessioni – e questa è l’ultima – di richiamare alla mente, per quanto in modo elementare, la nostra carta di identità cristiana, quella, si potrebbe dire, che in sostanza si esprime sinteticamente nel segno della croce. Con esso professiamo la fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo “confessando” col cuore, con le labbra e col gesto delle mani il Signore Gesù, che ha dato la vita per noi e per l’umanità intera, esempio assoluto d’illimitata fiducia nel Padre e di amore senza confini. Più di qualunque scoperta ed esperienza religiosa, più di qualunque segno dell’esistenza e della presenza di Dio nella natura, nella cultura e nella storia, in questo mondo bellissimo e insieme limitato e drammatico, la croce di Gesù vista nella luce pasquale svela in pienezza Iddio Amore e Sapienza impensabili e indica nella fede, nella speranza e nella carità la redenzione e il compimento dell’esistenza. 7. «Ma più grande è la carità…»La fede non solo spera, ma al tempo stesso ama. “La fede è operativa per mezzo della carità”, e si esprime in modo sommo, ed è viva, nella carità. Oltre questa esistenza terrena, approdati sulla sponda eterna dopo il nostro cammino nel tempo, la fede cesserà e farà spazio alla visione divina immedesimata con l’amore. Alla speranza succederà il perfetto soddisfacimento delle aspirazioni umane nella comunione perfetta di Dio con noi, di noi con Dio, di noi fra di noi, assorbiti e come trasfigurati in Lui.Ma quale carità, quale amore? E’ la carità-amore per Gesù Cristo creduto e seguìto, ed è, insieme, indivisibilmente, la carità-amore di Cristo in noi, nello Spirito Santo, nutrita dalla Parola interiorizzata, dai Sacramenti vissuti, dal respiro della preghiera e della comunità della Chiesa. E’ la Sua carità-amore verso il Padre e i suoi figli vicini e lontani, a cominciare dai fratelli e dalle sorelle di fede, la Sua carità-amore che anima tutto l’agire umano.Questo dinamismo spirituale che ci unisce a Dio e ci spinge a farci “prossimi” al prossimo è la dimostrazione della vitalità della fede, è la forza della speranza. Si tengono insieme, distinte ma intimamente connesse e inscindibili, le virtù teologali, queste energie fondamentali infuse dentro di noi dall’innesto battesimale di Gesù Cristo nell’intimo delle nostre persone, vitalmente legate a Lui e compaginate nel Suo Corpo Mistico, nel suo popolo, nella sua Chiesa.La fede ci fa conoscere e apprezzare, in assoluto, Gesù, ci fa aderire a Lui e a Dio. La speranza ci dà la fiducia nella Sua presenza anche nei momenti più difficili e ci fa aspirare, per i Suoi meriti e la Sua misericordia, alla visione e alla comunione senza ombre della vita eterna. «Ma più grande è la carità…», sia perché rende possibile ed effettiva l’adesione al Signore e realmente progettata e vissuta, nonostante ogni miseria e ogni caduta, un’esistenza modellata “alla sua maniera”, sia perché la carità teologale non avrà mai fine. 8. Il nostro ideale moraleSe la carità di Cristo è viva in noi, allora sarà viva la ricerca quotidiana di Dio, sarà viva la comunicazione con Dio nell’ascolto, nella preghiera, nella liturgia, nell’Eucarestia in particolare, nella Riconciliazione sacramentale.Se la carità di Cristo è viva in noi, allora i comandamenti –che nella carità hanno la loro anima e il loro compimento – saranno praticabili tutti, allora ci potremo rialzare dai nostri peccati e sarà possibile sconfiggere e tenere a bada o cercare sinceramente di vincere l’odio, il rancore, la vendetta, la frode, l’inganno, lo sfruttamento del prossimo, la concupiscenza del potere, dell’avere e del piacere senza regola alcuna, la preconcetta sfiducia, le separazioni cattive e superabili, l’indifferenza ai problemi e ai dolori altrui, l’assuefazione ai diffusi e “pre-potenti” modi di pensare e di vivere “al di là del bene e del male”. Allora ci sarà un motivo in più per il rispetto del corpo, e la purezza diventerà un’esigenza e un’espressione di un amore più vero, di un’umanità più vera, e non un tabù fuori moda. In questi giorni, a fine giugno, mi è capitato fra mano un settimanale di successo e “moderato”, che in piena copertina, con la solita signorina o signora ovviamente “discreta” e quasi nuda, faceva questo annuncio: «Abiti trasparenti, abbronzature integrali, crociere nudiste … dal microbikini metropolitano al boom dei paradisi libertini, sarà la stagione del corpo esibito». Non solo d’estate, per la verità, il corpo è esibito. Altro che “ostensioni” del Sacro Cingolo di Prato… Ma, a costo di essere considerati retrò, i cristiani sanno o dovrebbero sapere andare controcorrente, contestando nei fatti non tanto i cambiamenti del costume e del gusto, di per sé, quanto quei cambiamenti o quei ritorni di un costume e di un gusto ispirati a una mentalità e a una prassi edonista e individualista, funzionale a una “dispotica” cultura libertaria e ad interessi finanziari sradicati da ogni principio, senza riguardo né per i poveri, né per i piccoli, né per la famiglia. Anche nelle chiese, non di rado, bisogna vigilare perché non venga meno il rispetto della Parola, dell’Eucarestia, della comunità e perché – quel che conta ancora di più – nei nostri ambienti si sappia parlare serenamente del valore della castità.In forza dell’amore-carità potremo superare la dittatura del nostro “io” egoista, orgoglioso, vanitoso, pavido, pigro, insofferente, sensuale, e cercare di mettere in atto, pur tra imperfezioni e fragilità immancabili, i buoni rapporti fraterni, il perdono, l’operosa cura di chi soffre e subisce indigenze d’ogni specie e la generosità nell’offrire tempo, capacità e denaro per la comunità e per i poveri, imitando – personalmente ed insieme – il buon samaritano del Vangelo. Infine, lo stesso amore-carità ci spingerà e ci ispirerà a pensare, progettare e attuare – anzitutto mantenendo il raccordo fra noi credenti, pur nella legittima diversità delle opinioni – programmi di giustizia, di solidarietà e di liberazione dalle oppressioni economiche, politiche, ideologiche e d’altro genere, ad ogni livello della convivenza umana. Questo impegno sarà guidato dalla luce della fede e della dottrina sociale che ne deriva e sostenuto dalla fiducia propria di chi spera a dispetto di ogni disillusione; ma la sua anima è l’amore-carità. 9. Teniamo alto questo idealeE’ nell’esperienza cristiana che vengono portate a compimento le più autentiche aspirazioni umane. Il fatto che essa si realizzi a fatica e spesso così mediocremente nella vita dei cristiani, o che sia disprezzata, schernita e come sommersa sulla scena mondana e dal male dilagante, non fa venir meno la sua verità. Pur sapendo che siamo i primi a doverci convertire di continuo, è questo ideale di vita e di “nuova” umanità che vogliamo tenere alto nel mondo, come un segnale indicatore e una proposta credibile di salvezza per tutti. Senza retorica, con coraggio umile e mite, nell’ordinaria esistenza quotidiana intessuta di gioia, di bellezza e non di rado di affanno e di pesante dolore, e condivisa con tutti. Sta qui la nostra testimonianza e la nostra missione necessaria e bellissima, che gli impegni e i programmi pastorali comuni devono favorire.

+ Gastone Simoni, Vescovo