Duecento neonatologi hanno firmato un documento a difesa della tutela della vita dei nati prematuri in risposta alle raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse presentate dall’Ordine dei medici della Toscana e da altre società scientifiche.In queste raccomandazioni si metteva in discussione l’opportunità della rianimazione e delle cure intensive per questi piccoli pazienti.Ne ha parlato in questi giorni a Marina di Pisa in un dibattito pubblico – promosso dal Centro cattolico di documentazione e dall’associazione «Scienza & Vita» – la dottoressa Laura Guerrini, neonatologo in servizio all’ospedale santa Chiara di Pisa nel reparto diretto dal professor Antonio Boldrini.Dottoressa, lei è favorevole o contraria a cure intensive per i bambini nati pre-termine?Provo a rispondere partendo dai dati scientifici. Dati che parlano di una sopravvivenza anche del 50% dei nati sotto le 23 settimane. Dunque?Dunque dovrebbe prevalere un atteggiamento cautelativo a favore della vita. Le linee guida oggi esistenti (Child Neurol 2004) indicano come limite inferiore di sopravvivenza quello delle 22 settimane al di sotto del quale sono proposte solo cure «minime». E sottolineano come, data la possibilità di errore nella datazione della gravidanza, è opportuno valutare sempre il singolo neonato ed intervenire nei casi dubbi. Anche perché è dimostrato che la prognosi è nettamente migliore quando si interviene tempestivamente (Pediatrics 2004).Quanto possono valere linee guida, protocolli o raccomandazioni di fronte alla scelta di avviare o meno cure intensive per dare «speranza di vita» ad un neonato?Linee guida, protocolli o raccomandazioni sono solo degli strumenti e come tali il loro valore dipende dall’uso che ne viene fatto: possono essere utili quando obbligano noi operatori sanitari a riflettere sulla nostra pratica clinica, ma possono diventare anche espressione di quella «deriva scientista» che caratterizza il nostro tempo; e cioè del tentativo di dare risposte tecniche a tutti i problemi dell’esistenza nell’illusione di poter tenere tutto sotto controllo. Cosa impossibile di fronte alla meravigliosa irripetibilità di ciascuno dei nostri piccoli neonati. Quali conseguenze ci potrebbero essere alzando il limite di sopravvivenza per i neonati pretermine?Direi che la conseguenza più immediata sarebbe quella di rendere molto difficile l’operato dei medici – ginecologi e neonatologi – in caso di nascite alla 23° o 24° settimana. Le raccomandazioni definiscono «non giustificato» il ricorso ad un taglio cesareo, ma noi sappiamo benissimo che il parto naturale espone questi prematuri a grossissimi rischi. Inoltre non si può ignorare il fatto che nella nostra professione siamo sempre più minacciati da provvedimenti legali ed un documento del genere approvato da alcune società scientifiche potrebbe ridurre ulteriormente la serenità con cui possiamo lavorare.Vedo però anche un’altra possibile conseguenza alla quale forse non si è data molta importanza: la legge 194 (quella che regola le interruzioni di gravidanza) sottolinea che in caso di possibilità di vita autonoma del feto, l’aborto può essere motivato solo dall’imminente pericolo di vita della madre tanto che in questi casi, al nascituro deve essere garantita tutta l’assistenza possibile. Non sarà allora che innalzare così il «limite di vitalità» sia un modo per «autorizzare» delle interruzioni di gravidanza tardive (cioè oltre la 23° settimana)?Si sente parlare sempre di più del diritto alla salute e del diritto di un figlio a nascere sano… Esiste un diritto alla cura ed esiste anche un dovere per ciascuno di noi di tutelare la propria salute. Ma non può esistere un diritto alla salute se non come aspirazione legittima in ciascuno di noi. Lo stesso vale anche per il neonati: non condivido allora quello che, almeno secondo quanto riportato dalla stampa, avrebbe detto il dottor Mario Barni (Vicepresidente del CNB) e cioè che «un figlio ha diritto a nascere sano»! Mi sembra più giusto invece affermare che ciascun «figlio ha il diritto di essere amato» anche quando, per situazioni le più disparate, sano non è!Troppo spesso, a mio avviso, si corre il rischio di dimenticarci che davanti ad un neonato, anche se molto prematuro, siamo di fronte ad una persona che interpella la nostra professionalità, ma soprattutto la nostra umanità: stiamo attenti allora a non permettere che concetti molto pericolosi come quello di «qualità della vita» (ma chi decide quale sia il livello giusto?) siano la «lente» attraverso la quale guardiamo questi piccoli pazienti diventando di conseguenza dei «giudici» anziché dei medici!Ma a volte non si rischia l’accanimento terapeutico?Questo è un rischio che possiamo correre ma sono convinta che proprio il mantenere un giusto sguardo ci aiuterà ad evitarlo. L’accanimento terapeutico è, a mio avviso, una sconfitta della medicina e del medico in una delle fasi più delicate dell’esistenza che è quella della morte. Esso indica spesso la nostra incapacità ad accettare la morte ed a volte anche il rifiuto di ammettere che non siamo onnipotenti nonostante i mezzi che abbiamo a disposizione. Non dobbiamo fare tutto quello che è tecnicamente possibile, ma solo quello che ci permette di agire pensando al bene del paziente: forse è giunto il momento di migliorare la nostra professionalità riscoprendo la vera «vocazione« del medico. Secondo Jaspers la medicina non è arte, non è scienza ma è relazione! Dov’è segnato il confine oltre il quale si può parlare di eutanasia?Il confine è scritto dentro questa relazione ed è conseguente al fine che vogliamo raggiungere con quello che decidiamo di fare. Se la nostra azione ha come fine fare morire un neonato (anche se pensiamo di farlo mossi da buone intenzioni come quella di non dare ad una famiglia un bambino con handicap) quello che commettiamo è un’eutanasia. Se siamo consapevoli che quello che stiamo facendo non ha alcuna possibilità di aiutare il nostro piccolo paziente e ne prolunga solo la sofferenza, siamo di fronte ad un accanimento terapeutico. Saremo dei veri medici quando, facendo quanto ci è possibile per il bene del neonato, saremo capaci di curare là dove è possibile e di comprendere quando ciò non è più possibile riuscendo quindi ad identificare quali trattamenti sono assolutamente inutili o addirittura dannosi (sospendendoli serenamente) e quali, pur richiedendo l’impiego di macchinari sofisticati, costituiscono una forma di accompagnamento al piccolo bambino verso un exitus inevitabile ma che almeno non sarà gravato da un inutile carico di sofferenza. La morte potrà allora essere accettata come un evento naturale sia da noi che dai genitori e potremo dimostrare la nostra professionalità mettendoci accanto ad entrambi con quel silenzio solidale che troppo spesso manca nei nostri reparti.Anche questo è, a mio avviso, essere un buon medico!