Cultura & Società
La vita di mille paesi nelle figure del Presepe
Certo, dal momento di sublime mistica nel quale nacque, il presepio si è trasformato: San Francesco quella notte di Natale a Greccio seppe dare un valore altissimo a quella celebrazione, ma il cambiamento ha seguito una via naturale per cui, se si è depotenziato il valore di immedesimazione nel Mistero del Natale, il rito si è prestato a manifestare in seno di ogni casa l’incontro tra Cristo e l’uomo, tra la Santa Famiglia e ogni famiglia, fra la salvezza dell’individuo e il Salvatore, tra l’amore fraterno degli uomini e l’amore di Dio per loro.
Così Cristo è nato tra la borraccina, le fronde di ginepro e d’alloro, qualche ramo invernale di bacche, sotto un ricovero fatto di corteccia di pino, di quercia o di sughero. Nello sfondo la carta dipinta simula rocce e montagne, altra carta nuvolette e stelle, la stagnola riga il muschio al modo di ruscello finendo in uno specchio che s’intende lago. Non mancano ponti e ponticelli oltre il bisogno e l’utilità.
Non importa se il torrente prima scende e poi sale raggiungendo il lago in cima a una faticosa salita, poco importa se tra i personaggi qualcuno legge il giornale, se ci sono tacchini venuti dall’America un millennio e mezzo più tardi, se qualcuno, precedendo di molto i tempi, ara i campi con un trattore: l’anacronismo è una caratteristica del presepio in quanto ognuno riproduce in quello il suo sogno, prendendo gl’ingredienti dalla sua realtà nello spazio e nel tempo. Se si dovesse fare un discorso filologico addio presepio: via la neve del tutto improbabile nell’evento reale, via i vestiti quasi tutti rinascimentali, via di doni che si ridurrebbero a latte, qualche caciotta e a qualche conocchia di lana. Ognuno mette nella rappresentazione della Notte santa le sue cose e ognuno depone il suo mondo, la sua vita, se stesso.
Tenendo conto del valore psicologico e spirituale di questa proiezione si può dare un’occhiata ai mutamenti, alle variazioni e agli arricchimenti o amplificazioni di un elemento importante del presepio, che è la folla silenziosa, variopinta ma raccolta, che anima l’oscurità, i vari tipi umani che ci rappresentano.
Su alture dirupate sta Gerusalemme, ridondante di luci come Las Vegas (non si può porre limiti all’elettricista di famiglia), mentre in una tetra vallata sta il castello medievale dove il Re Erode ne sta pensando qualcuna delle sue. La stella cometa si aggira in una parte imprecisata del cielo, aspettando il suo giorno, l’Epifania, e i Magi che, per loro ragioni, come si è detto, vanno piano. Ultimo elemento evangelico è l’angelo che vola sulla capanna con grande cartiglio Gloria in excelsis Deo; da qui comincia la fantasia.
Si dice che nel presepio ci vogliono le figure dei pastori, ma ognuno mette i suoi. Ormai l’industrializzazione ha omologato anche le statuine del presepio, ma un tempo ogni zona ne aveva alcune di specifica appartenenza. Si sono sentite quest’anno lamentele sulla scomparsa delle statuine dai grandi magazzini. Non è il presepio in crisi. Si vede che la gente è tornata ad acquistare le figure locali, legate al proprio ambiente, preferendole a quelle fatte chi sa come chi sa dove.
Le immagini infatti non erano dello stesso tipo sulle Alpi e sull’Appennino, in Maremma e sull’Adriatico: si differenziano per l’abbigliamento, i doni, gli atteggiamenti. Una delle figure tipiche e ricorrenti del presepio siciliano è il pastore che si toglie la spina da un piede, e si capisce che è tipico di un ambiente non freddo, povero, dove si può andare scalzi. A Napoli abbiamo il pastore della meraviglia, una figura che, lasciate cadere a terra le sue offerte sta in ginocchio davanti alla cuna, con le braccia spalancate, il volto rapito in estasi. Il figulo inesperto spesso faceva questo pastore un po’ imbambolato, per cui a Napoli si dice «pastore della meraviglia» chi resta a guardare senza una grande luce d’intelligenza negli occhi.
L’altro artigiano molto gettonato è il vasaio davanti al tornio che gira, insieme al fabbro che ha la forgia accesa e batte col martello sopra l’incudine finché non chiudono l’interruttore. Non sempre appare il mugnaio con le macine rotanti, ma la grande ruota grondante acqua gira e gira, indicando che l’uomo è al lavoro.
Anche la lavandaia può essere fornita di movimento e sta presso il torrente e la fontana stropicciando sull’asse il suo bucato. Altri che lavorano appaiono da qualche finestrucola, da una porta, magari accanto a un lumino: la tessitrice, la filatrice, la fornaia, il ciabattino, il falegname. Per la campagna vanno invece figure tipiche del presepio toscano: il magnano (o stagnino, mentre in Sicilia c’è il conciavasi), il venditore ambulante, il cencialiolo, la guardiana d’oche, la ragazza che va ad attingere alla fonte con la mezzina sulla spalla (nel Meridione ha la conca in testa), e assai frequente è il pescatorello a canna, che sta in riva al lago o lungo il ruscello, oppure cammina con l filza o la reticella di pesci. Sulle coste si trovano pescatori che portano le reti o le rassettano intorno a un falò, il calafatare di barche.
C’è poi il pastore adorante davanti alla cuna, il pastore offerente con vari tipi di doni: quello che porge il vello di lana, quello che porta l’agnello, l’altro le caciotte, il latte, la ricotta. Poi nella campagna ci sono i pastori al bivacco col gregge e l’immancabile cane, coloro che mungono pecore o mucche, quelli che fanno il burro e il formaggio intorno a una caldaia sul fuoco. Sui gruppi di pastori addormentati spesso aleggia un angelo che sta svegliandoli per dar loro l’annuncio della nascita di Gesù.
Il pastore che intaglia un legno è un brano di un trattato sociologico: il passatempo più pratico e prediletto dei pastori ha dato un’arte caratteristica, ingenua, spontanea e viva della quale molti esemplari sono nei musei.
Un’altra categoria ben rappresentata sono i contadini dei quali, a dire il vero, nei Vangeli non si parla. Per la raffigurazione del nostro mondo, dove sono stati la parte più numerosa della popolazione, non potevano mancare, e infatti costituiscono un gruppo considerevole degli abitanti del presepio. Curiosamente mentre i pastori sono infagottati in mantelli, pellicce, cappelli, grossi zoccoli e fasce alle gambe, i lavoratori della terra poco si curano anche della neve e stanno spesso scalzi, scamiciati, con cappelli di paglia più adatti al sole che alle stelle.
Anche per loro sono interessanti le tipologie: il contadino che va al campo col somaro è, tipico dalla Sicilia, insieme alle zone brulle di scarsa vegetazione; quello che lavora presso la casa colonica in mezzo alla campagna è tipico dell’area della mezzadria. Nonostante l’ora notturna i contadini sono al lavoro: arano, seminano, zappano, gramolano canapa e lino sotto i loggiati. Verso la Capannuccia vanno i contadini con le offerte, che provengono ovviamente dai campi: polli, fiaschi di vino e d’olio, forme di pane, prosciutti, cesti di frutta. Tra loro si distingue l’ortolano per il grembiale e i doni provenienti dall’orto. Anche la montagna ha le sue figure caratteristiche, vistosissime nelle zone alpine, ma anche in quelle appenniniche compaiono il boscaiolo, il carbonaio, il tosatore di pecore, il portatore di fieno.
Altra gente gira intorno alla capanna: sono le persone più diverse: viandanti, mercanti, accattoni, cenciaioli, ovvero rappresentanti di diversi mestieri, ognuno con gli attributi del suo lavoro. Le donne fanno il bucato, il pane intorno al forno, cullano i bambini, stendono i panni sulle siepi. È una minuscola, ma grande rappresentazione della vita.
Gli animali hanno il posto d’onore con il bue e l’asino accanto alla mangiatoia, ma animano la campagna e la notte senza limiti di ambienti: l’Oriente permette la presenza di cammelli e altri animali esotici, insieme ai nostri animali: volatili da cortile, porci, cavalli, asini, gatti, cani, e qua e là, nell’ombra, qualche rapace.
Naturalmente i bambini sono coloro che interpretano con più libertà e genuinità il presepio, vi mettono dentro le loro cose, a cominciare da quelle più care, contribuendo all’aggiornamento costante dell’iconografia, infischiandosene dell’anacronismo e di considerazioni filologiche: tutti gli esseri sono presenti nella notte della Salvezza. Piovono così sulla borraccina gente con l’ombrello, marziani, robot, mostri di ogni genere, superuomini, perfino il frate del sale e la monaca del pepe, che la mamma va cercando per casa giorni e giorni e ritrova per caso a Betlemme il giorno della Befana.
Sarebbe doveroso parlare dei fasti del presepio, delle grandi realizzazioni artistiche, di quanta sia stata la sua importanza nelle vita culturale. Il discorso si farebbe lunghissimo e deborda dal nostro argomento, basterà dire che l’arte del presepio ebbe la sua culla a Napoli, il massimo fulgore nel 1700 e il periodo di espansione in questo secolo e metà del successivo con i migliori artisti che crearono capolavori per questa sacra rappresentazione.
La forza fascinatrice e spirituale del presepio è ancora fortissima e investe la società ai vari livelli, non di rado anche senza un collegamento a una fede praticata. È la vita, quella di tutti, la quale per un momento dell’anno, quello in cui il sole torna nel segreto della notte a ravvivare la sua luce, viene deposta umilmente ai piedi del Redentore perché la santifichi, la renda migliore di quello che è, la faccia vera, buona, eterna.