Opinioni & Commenti

La visita di Bush in Italia e le due anime americane

di Giuseppe SavagnoneGli Stati Uniti sono un grande paese e il mondo è loro debitore della sua libertà, minacciata durante la seconda guerra mondiale dai totalitarismi di destra e, dopo di essa, da quello comunista. Ce lo viene a ricordare, in un momento critico per l’America, l’imminente visita del presidente Bush in Italia. È un’occasione per oltrepassare, in una più ampia visione storica, l’ottica, spesso angusta e acrimoniosa, di tante polemiche sulle vicende irachene. Se si vuole mantenere il diritto morale alla protesta, bisogna a tutti i costi sottrarsi ad un anti-americanismo unilaterale, che in un recente passato non ha trovato nulla da obiettare alle violenze perpetrate dai russi in Afghanistan o in Cecenia e che sembra ritrovare la sua carica d’indignazione solo quando sono in gioco i comportamenti del nostro alleato d’oltreoceano.

Ma questo allargamento dell’orizzonte storico ci fa anche percepire la differenza tra l’immagine degli Stati Uniti di Roosevelt e quella della nazione guidata da George Bush. Ogni grande popolo ha molte anime. Dell’America, qui, ce ne interessano due, entrambe presenti nei vecchi western: da un lato, la percezione dei valori fondamentali della vita e la sorprendente capacità di farli fiorire nelle condizioni più difficili (il famoso «spirito della frontiera»); dall’altro, la ricorrente tendenza a semplificare i conflitti nel dualismo tra «buoni» e i «cattivi», e a ritenere la violenza giustificata quando è al servizio dei primi. Gli Stati Uniti del New Deal, gli stessi che hanno saputo riprendersi dal disastro di Pearl Harbour, non erano certamente esenti dall’influsso della seconda anima, ma riuscivano a subordinarla alla prima.

Oggi il rapporto sembra essersi capovolto. Certo, le ragioni dell’anima generosa e creativa non mancano: la lotta contro il terrorismo mondiale, la tenace fede nella democrazia, la fiducia nel futuro, anche dopo il colpo dell’11 settembre. Ma quella che si manifesta in modo prevalente, nel volto degli Stati Uniti odierni, è l’altra anima. E non solo per gli episodi delle torture: essi sono solo l’ultima tappa di un processo, che ha avuto inizio con la sciagurata dottrina della «guerra preventiva», si è sviluppato con l’ostinata quanto infondata accusa all’Iraq di possedere armi di distruzione di massa, culminando poi con la decisione di scatenare il conflitto misconoscendo il ruolo dell’Onu, per concludersi, infine, con una infelicissima gestione del dopoguerra. Il confronto tra le due anime avviene, innanzi tutto, all’interno dello stesso popolo americano. Sono il New York Times e il Washington Post, non la Pravda, a denunziare le responsabilità dell’amministrazione Bush. Come in ogni vera democrazia – e l’America in questo è esemplare – il confronto si svolge alla luce del sole.

Resta da stabilire quale può essere, in questa circostanza, il ruolo di un sincero amico degli Stati Uniti, com’è l’Italia. Certamente non quello di una criminalizzazione, sul tipo di quella che frange estremiste dell’Islam, ma anche un certo pacifismo a senso unico di casa nostra, celebrano volentieri. Neppure ha senso, però, per evitare ciò, un appiattimento sulle posizioni di Bush. Si può essere americani e amici degli americani facendo sentire, alto e forte, il proprio dissenso rispetto a una logica che danneggia, prima di ogni altri, proprio l’immagine della democrazia e dell’America. È proprio questa franchezza, anzi, il compito di un vero amico. Onore, dunque, al presidente degli Stati Uniti che viene nel nostro paese. Ma anche sincero, pubblico richiamo a far prevalere, una buona volta, l’anima degna di questo onore.

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