Vita Chiesa

La violenza dei fatti, la violenza delle parole

DI DON FRANCESCO SENSINIPer la situazione francese siamo già nella fase dei numeri. Il che vuol dire che quella realtà sta già perdendo di interesse. A chi interessa il numero dei morti? Ormai è successo (c’è stata una prima vittima) e uno più o uno meno non fa differenza. A chi interessa il numero delle macchine incendiate? Basta che non tocchino la mia.

Anche le analisi sul perché della situazione sono state tutte ben espresse con varietà di colori. C’è chi ha sottolineato la componente religiosa; chi quella «strutturale», chi quella razzista, chi quella culturale, chi quella economica, chi quella demografica. Nessuno comunque ha concluso che non bisogna costruire le periferie.

E sulla base delle analisi ciascuno poi ha potuto confrontare la nostra realtà italiana con quella francese. Un esempio per tutti: se le nostre periferie sono come «ghetti» in cui vivono extracomunitari, musulmani, poveri, giovani senza lavoro… allora anche da noi potrebbe scoppiare una rivolta. Ma, in realtà, come sono le nostre periferie? Purtroppo questa è una domanda la cui risposta è profondamente condizionata dalla visione politica: il governo, che ne ha la diretta responsabilità, risponde «sono buone», chi contesta il potere del governo risponde «sono cattive».

Avverto lo stesso fastidio che provo quando sento parlare di strade killer. Non sono le strade che uccidono ma gli uomini. È rischioso responsabilizzare le strutture. Sono un buon alibi per giustificare la violenza degli uomini.Il vangelo di Marco (7,21) ci ricorda: «È dal di dentro, dal cuore degli uomini che escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo». E proprio in riferimento a questa affermazione di Gesù , leggendo vari quotidiani, ho trovato illuminante questo titolo: «Una guerra verbale ha anticipato l’odio che si esprime nei quartieri».

Le parole sono veramente l’arma più forte dell’uomo: perché arrivano direttamente dentro, al cuore (al cervello) dell’altro. Quante parole nelle canzoni, a teatro, in TV, nella satira, nelle battute, apparentemente innocue anzi divertenti, per gli uomini più deboli e poveri risultano comandi, imperativi, inviti alla violenza, alla distruzione, alla reazione incontrollata.

In certi paesi si sfrutta la componente religiosa per motivare la violenza degli uomini e noi questo lo condanniamo. Ma quante nostre parole sfruttano il bisogno di libertà e il senso della giustizia per motivare e giustificare ogni tipo di violenza?