Opinioni & Commenti
La Toscana nella rete che promuove il gender
Nata a Torino nel 2006, le rete «Re.a.dy» promuove in varie forme la cultura gender, quell’insieme di convinzioni che vorrebbero cioè negare il valore della differenza sessuale e, come dice la Relazione finale del Sinodo, «svuotare la base antropologica della famiglia». Naturalmente tutto muove dal proposito di combattere discriminazioni a sfondo sessuale e l’omofobia. In realtà «Re.a.dy» – come sabato 31 ottobre spiegava Avvenire – promuove «buone prassi» nei confronti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), che, come si sa, negano la centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, sostengono la necessità di aprire la strada al riconoscimento delle nozze gay, adozioni comprese. Basta leggere il portale «Re.a.dy» per accorgersi che tra i compiti della rete vi sono «campagne di comunicazione», «adesione e promozione di campagne europee», promozione di «una giornata tematica con eventi diffusi» (leggi Gay pride), «ricerca fondi per le attività della rete», «organizzazione di conferenze e incontri nazionali». Un’attività intensissima che dicono non costi nulla. In realtà, come spiega lo stesso sito sono i partner della rete, cioè i vari enti aderenti, a sostenere le varie attività con un costo per le tasche dei cittadini difficilmente quantificabile. Premesso che «ogni persona – come sottolineato anche dal recente Sinodo sulla famiglia –, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni “marchio di ingiusta discriminazione”», sappiamo che il gender è una realtà complessa e preoccupante.