Toscana
La Toscana e la crisi/4: intervista a Ivano Paci
di Antonio Lovascio
E’ proprio all’allarme rosso per il nostro tessuto produttivo. L’impatto della crisi economica in Toscana sta raggiungendo il suo picco proprio in questa fase. Basta esaminare attentamente il «termometro» della cassa integrazione, aumentata in modo esponenziale: il suo andamento nei primi 8 mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo 2010 nel quale si è toccato il record storico nel ricorso a questo strumento conferma un forte calo. Si passa infatti da 33.519.052 ore a 31.379.884 in valore assoluto (-6,38%), con un crollo dell’ordinaria legata a crisi congiunturali (-26,8%), una lieve flessione di quella in deroga (-4,05%), ma con una preoccupante crescita di quasi il 10% (da 10.037.414 a 11.010.028 ore), della cassa straordinaria. L’ammortizzatore sociale più «preoccupante», perché precede la messa in mobilità senza retribuzione dei lavoratori. Le turbolenze degli ultimi due mesi per usare parole di Confindustria Toscana a commento delle freschissime indagini di Irpet e Unioncamere hanno gettato sabbia negli ingranaggi di una ripresa ancora timida, disomogenea ed insufficiente rispetto alla voragine aperta dalla crisi; che è un po’ «la guerra di questa generazione, le cui conseguenze ci accompagneranno ancora a lungo se non avviamo una fase di ricostruzione».
È almeno dall’introduzione dell’Euro che la Toscana ha abbassato i suoi ritmi di crescita; e già da metà anni Novanta la globalizzazione aveva mostrato le debolezze del nostro modello di sviluppo che tanto ha puntato sui distretti. Un declino economico che segna la metamorfosi della «Toscana Felix». I sindacati sono andati all’attacco («Le non politiche del governo peggiorano una situazione già critica») ed insieme alle categorie economiche hanno chiesto alla Regione misure di rilancio economico e in primo luogo la ripresa degli investimenti. Con l’urgenza sottolineata nel corso della nostra inchiesta dalle interviste al presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Gabriello Mancini, al direttore dell’Irpet professor Stefano Casini Benvenuti e alla presidente di Confindustria Toscana Antonella Mansi. Urgenza oggi condivisa dall’economista professor Ivano Paci, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.
Professor Paci, l’economia toscana uscirà da questa crisi? Secondo alcuni ricercatori bisognerà attendere il 2017 per tornare ai livelli di PIL del 2007.
Dal suo osservatorio (Pistoia) vede un autunno nero? Finmeccanica vuol cedere la Breda (si parla di una trattativa con General Electric). Chi trainerà le piccole e medie imprese verso una ripresa? La situazione complessiva è migliore o peggiore rispetto alle altre province toscane?
«Vedo un autunno molto difficile per l’aggravarsi del disagio sociale e dei problemi del lavoro sia per i giovani sia per i disoccupati e per quelli che rischiano di diventarlo. Pistoia si colloca fra le province toscane che hanno maggiori problemi, per le caratteristiche strutturali della nostra economia, che per lungo tempo hanno avuto effetti positivi, ma oggi non più adatte a fronteggiare una crisi di questa portata. In questo contesto la vicenda della Breda ha un suo grande peso sotto molteplici aspetti. Il problema più rilevante non è tanto la vendita in sè, che pure sarebbe dolorosa, ma a chi, per fare cosa e con quali garanzie. Non so niente di ventilate trattative con General Electric; ma, se guardiamo al caso del «Nuovo Pignone», non vi è stato declino, ma sviluppo e valorizzazione di giovani professionalità».
L’Irpet calcola 150 mila i disoccupati, ma sarebbero a rischio altri 40 mila posti di lavoro. Senza contare che la disoccupazione giovanile supera il 25 % ed un giovane su due è precario. Quando torneremo a livelli sostenibili?
«Difficile, per me, fare previsioni in questo campo. Ma se la situazione è quella che tutti avvertiamo, il ritorno a livelli sostenibili, non sarà facile, nè breve».
Molti commentatori ed economisti sostengono che le manovre varate dal governo, anzichè favorire la crescita, hanno dato un duro colpo alle famiglie e alle imprese. Sono davvero sbagliate le scelte di Berlusconi e Tremonti? Cosa avrebbe fatto l’economista Paci?
«La mia opinione è in linea con quelle richiamate. Penso che le manovre siano, tranne che nell’immediato, inefficaci e ingiuste e favoriscano l’impoverimento che sta vivendo il Paese nel ceto medio e nei ceti popolari. Non ho ricette; ognuno deve trovarle per le responsabilità che gli sono affidate. E la situazione è obbiettivamente difficile. Ma sopprimere l’ICI e, per quanto discutibile, rinunciare a un contributo di solidarietà più ampio, non tagliare gli sprechi, quelli veri, della pubblica amministrazione, non intervenire sulle pensioni future e non avere misure per la crescita, giustificano un giudizio non positivo».
Come docente di gestione delle aziende, che consigli dà alla nostra classe imprenditoriale? Si può migliorare la competitività?
«Chi è imprenditore, chi utilizza il lavoro di altri e impiega a scopi produttivi risorse finanziarie proprie e di altri, è di per sè classe dirigente di questo paese. Quello che fa non è solo affar suo. Che abbia successo non è solo suo interesse, ma interesse di tutti. E’ un mestiere difficile e prezioso. Quello che necessita all’Italia e al nostro territorio in particolare sono imprenditori disponibili a rischiare, a utilizzare moderni criteri di gestione e di organizzazione, ad uscire dal pur comprensibile confine familiare; capaci di capire quando è il momento di cambiare e avere il coraggio di farlo».
Le Banche sono state spesso criticate in questi mesi. Gli imprenditori toscani lamentano un rapporto insoddisfacente. In poche parole gli Istituti di credito non saprebbero scegliere tra chi presenta piani industriali validi, innovativi e chi invece chiede finanziamenti per progetti che non hanno futuro. È vero?
«Non ho alcuna intenzione di fare il difensore delle Banche: sanno farlo bene da sole. Ma la dialettica banche-imprese è un dato permanente del nostro Paese, in parte fisiologico. Le Banche vengono criticate se danno poco, ma anche, di fronte alle crisi aziendali, quando ci si accorge che hanno dato troppo e vanno incontro a perdite. Che non sappiano valutare bene un progetto imprenditoriale penso corrisponda abbastanza al vero: ma è un mestiere molto difficile e va imparato, perché è nuovo rispetto al passato. Ma, uscendo fuori dal coro, penso che, salvo casi singoli sempre possibili, i validi progetti imprenditoriali non siano impediti da carenza di finanziamenti».
A frenare la crescita in Toscana c’è anche il problema delle infrastrutture. Sono state programmate diverse opere, ma mancano i soldi per realizzarle. Se il Governo e la Regione chiamano, le Banche sono pronte a fare la loro parte?
«La carenza di infrastrutture, materiali e immateriali, è un dato di tutta evidenza e pesa sulla crescita. Per Pistoia il problema è addirittura drammatico. Non sempre mancano i soldi; incidono molto anche i tempi infiniti che occorrono per deciderle, progettarle, appaltarle. I vincoli del patto di stabilità non aiutano. Non vedo perchè le Banche dovrebbero rifiutare il loro sostegno, ma certo nelle forme e con i criteri che sono loro propri. Dopo le speranze suscitate, anche il project financing non ha dato esiti particolarmente confortanti».
Come vanno le sinergie tra Università ed imprese?
«La nostra regione ha tre atenei con alcune attività di ricerca importanti. Nelle università si trovano i saperi e le conoscenze, una grande risorsa per le nostre industrie, per realizzare innovazioni, cosa che nelle economie evolute è una delle condizioni per crescere e svilupparsi, per competere con nuovi prodotti sui mercati. Le esperienze di sinergia sinora conosciute non sono brillanti. Il contatto fra due mondi assai diversi non è agevole, a differenza di quanto avviene in altri Paesi. Per favorire questo dialogo si apre un ruolo indispensabile per il potere pubblico, segnatamente quello regionale».
Una scelta di continuità maturata per la sua lunga esperienza, per il prestigio e le prove date non solo come teorico, ma anche come grande conoscitore delle applicazioni e osservatore acuto dei riflessi sociali. E per questo chiamato a far parte di importanti commissioni dell’ACRI. Classe 1932, sposato e padre di 5 figli, Paci è stato professore ordinario di Economia e Gestione dell’Imprese e di Finanza Aziendale nella Facoltà di Economia dell’Università di Firenze. Nel corso degli anni ha condotto numerose ricerche sulla politica degli investimenti e del finanziamento alle imprese, rispondendo alle istanze che il tessuto economico e sociale toscano e gli enti pubblici hanno via via posto all’ateneo fiorentino. Su queste tematiche legate allo sviluppo industriale, oltre che sulle società finanziarie regionali, ha firmato una trentina di pubblicazioni. Il rapporto tra credito e impresa è dunque sempre stato al centro della sua attività di studio, ma come presidente della Cassa di Pistoia e Pescia e poi della Fondazione bancaria ha sempre cercato di operare per il bene della città e della provincia, privilegiando il campo della solidarietà e della cultura. Citiamo alcune opere: la costruzione del padiglione di emodialisi all’ospedale del Ceppo, ricco di tante opere d’arte che rendono meno pesante il soggiorno ai pazienti; la realizzazione di un centro a Gello, che ospiterà tredici ragazzi autistici; i restauri del Battistero in Corte, della Resurrezione di Allori e della Croce di Coppo di Marcovaldo che figurano entrambe in Duomo. E ancora l’installazione delle fontane di Buren a Villa La Magia di Quarrata e di Shingu e Bury a Montecatini. L’ultima creatura culturale del professor Paci è il Festival dell’antropologia contemporanea « Dialoghi sull’uomo», nel quale da due anni – durante il mese di maggio – si alternano in piazza filosofi, ballerini, psichiatri ed attori e che richiama a Pistoia studiosi e giovani non solo dalla Toscana ma da tutta Italia.
La Toscana e la crisi/1. Intervista a Gabriello Mancini